La lettura di questo volume di Zafon mi
ha offerto una serie di sfaccettature delle innumerevoli facce di questo
autore. Un aspetto di bontà e di grazia che rivela tutte le capacità
immedesimali di questo uomo. Non ho rimpianto nemmeno per un secondo i miei
sforzi di comprendere Max Carver, né le sue innumerevoli scoperte. Zafon molti
anni fa ha piantato un seme: giorno dopo giorno cresce sempre di più. La sua
prosa, le sue immagini, la sua voce, sono una felicità talmente grande per me,
una felicità così familiare e profonda, di una qualità così rara, che
ogniqualvolta decido di accoglierlo nel mio cantuccio personale lo accolgo con
un sorriso stampato sul petto. Nessuno può immaginare come questo autore
spagnolo ha completato la mia vita donandomi semplicemente un senso d'intimità
e penetrazione spirituale che solo pochi autori sono riusciti a fare così bene.
Il principe della nebbia, un altro
tassello a parte della sua produzione, non può di certo considerarsi come uno
dei suoi più grandi capolavori. Eppure ha aperto lo scenario in un importante
giorno di festa, allontanandomi per qualche oretta da tutte le forme di
drammaticità che ci sarebbero attorno. Il mio mondo silenziosamente ringrazia
per tutto questo, e i ricordi ripescati dalla risacca disomogenea del tempo
hanno cominciato a parlarmi, risonanze della parte più profonda del mio cuore.
Titolo: Il principe della nebbia
Autore: Carlos Ruiz Zafon
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 200
Trama: 1943. Il vento della guerra soffia
impetuoso quando il padre di Max Carver decide di trasferire la famiglia sulla
costa spagnola. Il luogo sembra protetto e tranquillo ma, appena arrivati, cominciano
a succedere strani fenomeni. Max scopre un giardino disseminato di statue
orribili, la sorella Alicia inizia a fare sogni inquietanti, compare una
scatola piena di vecchi film che sembrano aprire una finestra sul passato,
mentre l'orologio della stazione va all'indietro. E ci sono le voci, sempre più
sinistre, che riguardano i precedenti proprietari della villa, e i racconti che
accompagnano la misteriosa scomparsa del loro unico figlio. Quando un incidente
colpisce la sua famiglia, Max è costretto, suo malgrado, a improvvisarsi
detective. Assieme ad Alicia e al nuovo amico Roland, nipote dell'anziano
custode del faro, inizia a indagare sull'oscuro naufragio di una vecchia nave
che giace sui fondali della baia custodendo molti segreti…
La
recensione:
Sentiva
che, per la prima volta nella vita, il tempo scorreva più in fretta di quanto
lui desiderasse e che non poteva più rifugiarsi nel sogno degli anni trascorsi.
Zafon
ha amalgamato questo romanzo e il suo auto ritratto di quando era ragazzo in
questo piccolo tassello zafoniano. Ha prodotto una massa esigua di pagine di
diario, che sono state tutte smembrate e sistemate al posto giusto, pezzo per
pezzo. Confondendo la realtà con la fantasia, attingendo dalle opere dei suoi
autori preferiti, confondendo il suo ruolo di autore con l'uomo che prende
appunti. C'è sempre un grande lavoro di sintesi creativa da fare su frammenti
di questo tipo, una lotta per la sopravvivenza. Il suo lavoro infatti è ampio,
diversificato, corretto, inarrestabile, come un torrente la cui acqua scorre a
dismisura, che travolge e affoga chiunque gli ostacoli il cammino. Sembra che
io mi arrenda quando io leggo qualcosa di suo. Mi lascio spazzare via, travolta
dalla sua immane capacità narrativa, dalla sua sensibilità, dal suo bisogno di
mettere per iscritto ciò per cui molti lettori come me letteralmente vivono,
dal suo bisogno di espandersi. E poi, ci riesce perfettamente. Se di poche
pagine la lettura può divenire semplice ma appassionante, se si presenta con
una certa sicurezza quel romanzo potrebbe prendere vita.
E'
stato in un momento inaspettato, in un giorno di festa che ho ricordato un mio
vecchio amico d'infanzia: Max Carver, la sua vita e la sua splendida avventura.
La musica sprigionata dal racconto delle sue pagine ha evocato ricordi, nozioni
che credevo perduti. Eppure ricordavo ogni cosa: i miei innumerevoli viaggi
nella Barcellona odierna o passata, la mia divisione fra leggere una storia
zafoniana o murakamiana, l'odio per la frequente mancanza di tempo.
Quando
Zafon scrive, produce delle pagine folli, straordinarie, condensate in quella
che altri non è che l'essenza stessa della vita. La follia dei poeti, degli
scrittori russi del XX secolo, di scrittori disillusi e insoddisfatti, delle
ironie, dei dolori di una vita sovraccarica e strapiena. La vita dei suoi
personaggi non termina mai in una cristallizzazione, ma in una fantastica
spirale estatica, il movimento di una trottola che gira sempre.
Quando
ho rivisto Max, ho divorato la sua storia vivendola con una certa intensità.
L'ho rivisto esattamente come l'avevo lasciato; con l'aspetto nobile, fiero,
gli occhi pazzi di gioia nel rivedermi, lo sguardo attraversato da lampi di
gioia e orgoglio. Odorava di magia, che era sparsa fra le sue pagine, e di
avventura che ha impregnato il mio naso come un odore acre. Poi qualche scena
nitida. Una famiglia attorniata nel salotto di casa che, lontana dal peso dal
fantasma invisibile della guerra che avvolge il futuro come un manto di
tenebre, decide di trasferirsi sulla costa, in una casa accanto alla spiaggia
di un piccolo villaggio sulle rive dell'Antlantico. Pare un sussurro in una
nuda parete, un mormorio lontano impossibile da distinguere persino le parole.
Anche la voce narrante mi è sembrato avesse la parvenza di un illusione. Una
chimera che, solo più tardi, Max potrà vivere.
Un amico, un bambino che smise di essere bambino, il giorno in cui
s'inoltrò lungo la riva di un viaggio verso una meta sconosciuta che,
rimanendomi vicino, mi raccontò entusiasta, cosa avevo visto: un giardino
disseminato di statue orribili, una sorella preda di sogni inquietanti, una
scatola vecchia di film che sembrano aprire una finestra sul passato. Ancor
oggi non so il motivo per cui abbia sentito l'esigenza di confidarsi.
Probabilmente sognavo. Sognavo che mentre leggevo, a un certo punto venivo
catapultata in un epoca che avevo visto solo per sentito dire. Protagonista di
fantasie scritte in una biografia che nessuno ha mai vissuto veramente. Nell'unico
posto in cui avrei potuto vedere ogni mattina la luce azzurrina e accecante che
saliva al cielo come fiati di vapore magici e trasparenti.
Tuttavia, nonostante siano passati due anni dalla mia ultima visita,
ogni tanto queste parole tornano a frullarmi per la mente.
Ed è proprio in questi momenti che mi metto a pensare alla mia esistenza
tanto essere umano quanto lettrice e alla strada che percorsi all'epoca.
Come ne Il palazzo della
mezzanotte, nel Principe della nebbia
ho rivisto uno Zafon giovane che, nonostante tutto, non riesce a nascondere
quel marchio letterario che lo contraddistingue: fantasiose metafore e
sconcertanti atmosfere che rifiutano di perdersi nei recessi più reconditi
della mente. Non esistono casi fantasmagorici di voci e volti, di creature le
cui azioni si intrecciano o si sovrappongono per tessere la catena di eventi
che determinano il loro destino e, fra le sue pagine, così vive e pulsanti, è
possibile avvertire misteri e segreti
inconfessabili di una famiglia, di una Barcellona sempre più gotica e sempre
più amata. Un quadro raffinato in cui si parla di personaggi oscuri e maledetti
che, così come la letteratura, riescono a dar voce a chi non ha voce. Le loro
sensazioni sono come una variazione dell'aria. Condensano la luce. Fanno
vibrare il vuoto.
L'intreccio spedito e
limpido come acqua, spedisce dritto fra le braccia di una famiglia timorosa del
tempo e della vita. Riesumano un lato oscuro di storie che hanno del macabro, che
sopravvivono nella memoria delle generazioni come una cronaca del passato. E ci
catapultano in un luogo dove tutti noi abbiamo, in un modo o nell'altro,
lasciato una traccia del nostro passaggio.
Fra vecchi lupi di mare,
sotto un cielo limpido e luminoso, la storia ci dà la possibilità di ascoltare
storie di uomini vecchi ma coraggiosi, per nulla timorosi della vita o della
morte.
Allo stesso modo di Marina, rimane ancora saldamente legato
al mondo dell'infanzia e, ritratto umano terribilmente coinvolgente di
protagonisti soli e incompresi, lascia dietro di se uno spazio vuoto che ha la forma di una persona. Qualcosa di più di semplici statue di marmo.
Valutazione d'inchiostro: 4+
Ciao, ti ho lasciato un premio qui: https://www.ilmondodisopra.it/2018/04/my-world-award-2018.html :) ti aspetto :)
RispondiEliminaGrazie mille! Passo subito ☺
EliminaQuesto libro di Zafon mi manca, è un autore che mi piace molto quindi me lo segno subito
RispondiEliminaIo ho letto tutti i suoi libri, Susy, e questo è pure meraviglioso ☺☺
EliminaCiao, sembra interessante, ma ammetto anche di non aver mai letto niente di questo autore :D
RispondiEliminaFallo!! XD
EliminaMolto interessante... me lo segno :*
RispondiElimina☺☺
EliminaCiao Gresi, Zafon è un autore che mi manca, ma prima o poi vorrei colmare questa lacuna ;-)
RispondiEliminaNon posso non consigliartelo caldamente, Ariel! :)
EliminaAdoro Zafon!!Però prima di buttarmi nella lettura di tutti gli altri libri che non hanno a che fare con Daniel Sempere, voglio finire la saga de L'ombra del vento. La tua recensione mi ha accesso una fortissima curiosità. Adoro storie del genere. Un abbraccio cara Gresi
RispondiEliminaUn abbraccione anche a te :*
EliminaZafon è uno dei miei autori preferiti ho praticamente letto tutto di lui :-)
RispondiEliminaSono diventata una tua lettrice fissa ho scoperto il tuo blog per caso :-)
Se ti va di passare da me io sono Il salotto del gatto libraio
Grazie mille, Sonia! ☺☺
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