Non dedico grande attenzione ai
romanzi antropologi, o, per lo meno, a quel di tipo di letteratura che getta una
luce particolare su popoli, culture, razze diverse. Oltre che alle loro modalità
di pensiero, tale discorso è soprattutto relativo a constrinzioni o imposizioni.
Non proprio elementi di semplice digestione, ma una quantità sufficiente per farmi
giudicare positivamente o meno un romanzo.
Il romanzo di Michela Murgia fa
parte di quella categoria di romanzi che attendono il momento più adatto per
essere letti. Si trattano di letture veloci, rapide, ma intrise di dramma, riti
spirituali o bellici che limita l'attenzione più al suo contenuto che alla sua
quantità. Accabadora né è uno di
questi, e non solo i temi trattati sono piuttosto attuali, ma adesso che ho
letto a fondo questa sua opera, combino in questa recensione quegli elementi
primordiali che mi portino dritto dritto una certa strada. E la Murgia devo
dire ha scritto questo piccolo gioiellino magistralmente, creando dal nulla una
storia realistica ma originale, proiettando su carta ogni rimasuglio della
sensibilità con cui ha scritto queste pagine di cui le stesse parole vanno
oltre i sentimenti. L'emozioni che vi sono nascoste nel più intimo dell'essere.
Titolo: Accabadora
Autore: Michela Murgia
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 12 €
N° di pagine: 166
Trama: Perché Maria sia finita in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un mondo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 12 €
N° di pagine: 166
Trama: Perché Maria sia finita in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un mondo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
La recensione:
Le anime ci
conoscono, sono dei nostri parenti, e quindi non ci faranno del male, perché
gli abbiamo cucinato anche la cena.
Penso
al mio cervello. Ci sono così tante cose che conserva, come un contenitore
talvolta troppo piccolo per cose forse fin troppo grandi.
Negli
ultimi anni il mio cervello ha quadruplicato le sue dimensioni, ha rettificato
certe nozioni o saperi che prima conosceva in maniera alquanto superficiale e,
per quanto riguarda il suo peso, la sua sostanza, corrisponde fedelmente a ciò
che riflette il mio animo, nonostante quando si imbatte in romanzi la cui
lettura non la si può definire semplice consuma una certa percentuale di
energia. Ciò che però ricavo grazie a questa incredibile spossatezza sono i
concetti di tempo, spazio e possibilità. Concetti che, così come nella vita di
tutti i giorni, mi concedono l'opportunità di giudicare o criticare un romanzo.
Sapevo
quindi che con il romanzo di Michela Murgia sarei dovuta procedere cauta,
assumendo forme che si adeguassero alla mia figura minuta. Il tempo in questo
romanzo ha avuto una sua struttura; uniforme, in cui vi regna sovrano il
silenzio e che, una volta consumato, si deforma. Un periodo di tempo piuttosto
breve è stata la lettura del mio primo approccio letterario con Michela Murgia,
in cui però vi sono aggiunte cose che non mi sarei aspettata e che per questo
mi hanno indotta a considerare Accabadora
un romanzo estremamente bello, dolorosamente sentito, in cui ogni cosa, persino
la più insignificante, si perse nella cenere, sbiadendo alla luce del sole.
Forse la Murgia, regalando ai suoi lettori una storia originale e arbitraria ha
in un certo senso regalato un certo significato all'esistenza. In altre parole,
ha contribuito a plasmarlo, riuscendo a mantenere, seppure con grande fatica,
la propria dignità artistica. Se per un istante ci soffermiamo ad analizzare il
tema fondamentale su cui ruotano queste poche pagine, seguendo un ordine
diacronico e in modo uniforme, di sicuro molti ripudierebbero questo tipo di
cultura, volterebbero le spalle a un Dio di cui non si sentono figli. La nostra
vita equivalerebbe a una tortura, così ho letto e interpretato la storia della
piccola Maria. L'insignificante, l'invisibile. Colei che è stata
"affidata" alle amorevoli cure di una donna dall'aspetto oscuro,
inquietante e misterioso, che veglierà su di lei come due satelliti vicini
nella volta celeste.
Con
Accabadora ho acquisito una certa
espansione per la curiosità, il mio animo di lettrice ha acquisito un certo
senso di voracità, frenesia impellente che non cessa nemmeno quando giungo
all'epilogo, imparando però persino i modi per modificarla o regolarla. Mentre
consumo senza sosta un romanzo dopo l'altro, parallelemente riproduco nella mia
mente quella nozione di idea che l'autore o l'autrice ha manipolato. Un lavoro
non facile, ma che mi concede l'opportunità di estaurare un certo legame con il
mondo di qua e quello di là.
Il
romanzo della Murgia ha vasti richiami a quel genere di letteratura orientale
del XIX secolo. Ma stranamente io non mi sono soffermata più di tanto su questo
aspetto, bensì sull'odore che le loro pagine hanno sprigionato. Michela Murgia,
a questo proposito, ha spremuto fuori efficacemente da Maria il desiderio
accumulato da anni di libertà. Sebbene sia un concetto piuttosto trattato, il
suo Accabadora non si limita solo a
questo ma ha significati più profondi.
In
questo caso, è la figura di una donna oscura, misteriosa e inquietante ad
svolgere un ruolo piuttosto importante. Quasi senza pensarci, la Murgia si limita
a rappresentarcela esattamente com'era, senza aver avuto bisogno di
spiattellare qua e là, senza prendere alcuna decisione. Gli è stato chiesto
un'unica cosa: prendersi cura di piccole creature, affidate volontariamente dai
genitori, e, se riuscivano a resistere, sarebbero state protette per sempre.
Accabadora è un urlo
contro la società contemporanea, un atto di ribellione - a modo suo - che
desidera ristabilire un certo equilibrio - sia fisico, sia mentale - che
tuttora è infranto da diverse suddivisioni. Michela Murgia concede così, in
questa sua breve ma saliente opera, una certa forza spirituale di diversa
natura ancorato fedelmente alla nostra anima, in cui non vi è una spiegazione
da dove o da cosa provenga, metodo segreto utile per interpretare e capire un
po' meglio il mondo.
In
uno spazio non del tutto sconosciuto, animato dal caos e dalla guerra, gruppi
di anime malate e dilaniate portano il peso di gravi e atroci sofferenze.
Trascinati dalla miseria, dalla solitudine, dimostrandoci quanto c'è di
importante nell'esser liberi. La vulnerabilità, l'essere remissivi e deboli
sono una potente arma contro chi predomina, e la Murgia coglie questo aspetto
con eleganza e profondità. Ci parla degli affetti e dei legami che incorrono
fra genitori e figli, ma anche di qualcosa che frantumerà la pace, La materia
finita in uno spazio infinito. Quella bandiera che io, come tanti altri
lettori, ha seguito per migliaia di chilometri, in fiumi di parole, fino a un
cruciale epilogo.
Sperimentando
qualcosa che tuttavia trascende qualsiasi limite d'età, qualunque reperibile
saggio visivo, Accabadora è una forte testimonianza che si è espansa oltre le
pagine, al di là della realtà. E, emergo inaspettatamente dopo lunghi anni
della sua pubblicazione, è un meccanismo ordito con diligenza che nasce e
matura nel momento giusto e che ha visto diffondere il sapere di un altro
mondo, di un'altra cultura come qualcosa di straordinariamente universale.
Valutazione
d'inchiostro: 4
Interessante, ottima recensione
RispondiEliminaGrazie mille! Spero lo leggerai anche tu, così potremo confrontarci :)
EliminaPiaciutissimo. Che stile la Murgia, mamma mia!
RispondiEliminaGià, un pugno nello stomaco :)
EliminaDella Murgia avevo letto Il monde deve sapere, ma era una lettura completamente diversa rispetto ai suoi romanzi e Accabadora vorrei proprio leggerlo anche io.
RispondiEliminaA me è piaciuto davvero moltissimo, e in particolare mi ha colpito il tema trattato :) Mi piace molto come scrive la Murgia, e presto leggerò altro di suo :)
EliminaGrazie per questo bel pensiero; non ho letto nulla della scrittrice e forse iniziare con questo romanzo sarebbe una buona idea, vista la profondità dei temi!
RispondiEliminaGrazie a te! :)
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