Di George Sand non ho mai sentito parlare più di tanto. La letteratura francese è l’ultimo dei miei pensieri, ma non perché non mi piaccia. Semplicemente perché non mi coinvolge né ammalia come quella inglese, vittoriana, persino americana, di cui è corredata da un bellissimo corredo di opere che sembra quasi impossibile non leggere e riporre speranze assolutamente indecifrabili. La letteratura vittoriana, i classici ottocenteschi hanno sempre funto da beneficio alla mia anima semplice e appassionata, rispondendo nient’altro che ai miei bisogni, permettendomi di trascorrere quasi tutto il tempo soggiornando per molto più tempo di quel che credevo. Fino ad allora, non credevo di dover prestare ascolto agli incauti sussulti di un cuore giovane, ingenuo ma dolce che mediante la risacca disomogenea dei ricordi estrapola senza alcuna autoironia – piuttosto tragicamente e sentimentalmente – figure soggette al predominio di valori più forti, la cui anima è sempre stata sottratta ad ogni privazione, rinuncia, sacrifici, isolata dal mondo intero, da un paradiso mancato irraggiungibile e alieno. Fino ad allora, della piccola Nanon non ne sapevo nemmeno l’esistenza né tantomeno di ciò che avrei dovuto aspettarmi dalla lettura di queste pagine. Il mio cuore, durante il corso della lettura, ha preso una strada tutta sua, spingendomi ancora di più ad amarne ogni pagina e al fervore del periodo storico in cui è proiettato, non riuscendo più a simulare moti di compassione o affetto nei suoi riguardi, non comprendo ancora perché abbia procrastinato per così tanto tempo. Accettare questa storia, la storia che la Sand si portò dentro non risponde esclusivamente alle << necessità >> dei suoi protagonisti, bensì è una critica piuttosto curata indirizzata a questioni politiche, passioni che avrebbero soppiantato ogni cosa, catapultandoci inevitabilmente in una dimensione urbana implicita e più complessa, simile tuttavia a quella ritratta in altri romanzi.
Titolo:
Nanon
Autore:
George Sand
Casa
editrice: RBA
Prezzo:10€
N°
di pagine: 300
Trama:
Romanzo storico che narra le vicende di un’umile contadina intrecciata alle
vicissitudini politiche della Rivoluzione francese, Nanon adotta lo sguardo
ingenuo ed entusiasta di una bambina avida di sapere, che si affaccia alla vita
facendo leva sui primi rudimenti di conoscenza urgentemente reclamati,
riuscendo così ad appropriarsi del suo destino grazie all’istruzione. Parallelamente
alla sorte della protagonista, si snoda il sofferto percorso di instaurazione
della prima Repubblica, afflitta da sospetti tradimenti e viltà che scatenano
la spietata repressione giacobina, un evento di cui il romanzo offre una
vibrante testimonianza per voce dei suoi personaggi.
La recensione:
Il male genera il male, bisogna sempre ritornare all’idea del priore. Ma dopo questo, verrà l’esigenza di intendersi e sacrificare i febbrili sofismi alla voce della natura.
La bontà d’animo, l’
ingenuità, l’essere dolce e caritatevole della piccola Nanon hanno fatto
breccia nel mio cuore e schiarito le idee su qualcosa che, nonostante i miei
insegnanti ne avessero fatto cenno fra le mura scolastiche, più gracilina e
tendenzialmente simile alla mia anima, era circondata da una luce più ambrata,
luminosa a circondarla i capelli come una piccola aureola. Non ne sapevo niente
della sua esistenza, ma come il reverendo Emiliane mi ha donato una felicità,
quelle giuste attenzioni che inconsapevolmente reclamavo, sortite negli anni da
giuste riflessioni, da forti desideri insopprimibile di capire ed essere capita.
Dopo quasi tre giorni di lettura intensa ed effervescente, non mi capacito
ancora come di lei e della sua bellissima storia non ne sapevo assolutamente
nulla. E siccome, negli ultimi anni, il mio amore per i classici è cresciuto a
dismisura, recitando la parte di quella che ai miei occhi ha vestito i panni di
una giovane contadina dall’anima semplice ma appassionata, era ridotta in uno
stato particolarmente discutibile, pronta ad accogliere nel suo grembo
qualunque forza, elemento o sacrificio che il Caso le era disposto a dare, e
adesso che è tutto finito mi rendo conto di aver confidato in tutto questo,
disposto io stessa a donarle la mia anima, e quando giunsi alle pagine dell’epilogo
bivaccai per qualche minuto muovendomi a tentoni in una realtà la cui forza mi
era del tutto insopprimibile.
Ciò fu quel contrappeso che mi indusse a comprendere come la letteratura classica, in generale, è perlopiù motivo di grande fascino per me. Non importa quale sia la sua provenienza: americana, inglese, norvegese. Ogniqualvolta mi imbatto in romanzi ambientati fuori dal mio mondo trovo il tutto estremamente affascinante. E intanto, io mi sono innamorata di questa lettura, o almeno della storia della dolce Nanon, non maturando l’idea di lasciare la mia casa irrimediabilmente e con frenesia ma considerando seriamente l’idea di cibarmi di qualche altra opera dell’autrice. Il problema non era la mancanza di volontà. Bensì il mancato numero di romanzi disponibili in Italia. Perciò la consapevolezza che la casa editrice RBA stampi qualche altra copia mi inorgoglisce. Perché certe letture mi fanno bene, smorzano qualunque sentimento di odio o astio che tendenzialmente insorgono fra i meandri più oscuri della mia coscienza. Una ragazza dei poveri, una contadina militante, una neo combattente che fece dell’istruzione il miglior strumento di comunicazione, manifestazione nel relazionarsi col prossimo che avrebbe indotto una guerra contro i padroni di zone terriere piuttosto ricche, avidi e irresponsabili, dato che la Rivoluzione francese, la presa della Bastiglia, un giorno sarebbero finite, donando così più possibilità di mandare in galera gli avidi padroni anziché supplicarli di donare ai più misericordiosi qualche indennizzo. La Sand descrive il tutto ponendo come elemento primordiale non il timore reverenziale con cui si affronta il tutto, bensì evidenziando come di quella fetta di persone umili si anela nient’altro che il fare del bene. Gli altolocati, i ricchi, hanno dimenticato ogni sentimento di natura per fare della corte la sua famiglia, mentre i più umili sono consapevoli di non poter detenere una certa eternità. Afflitti e umiliati per essere stati sconfitti, animati dal nulla più assoluto. Anime dannate che hanno sempre creduto alla giustizia, all’amicizia, all’amore. Hanno visto l’avvenire di progetti sfumati nell’etere, prevalere l’odio, l’invidia, l’ingiustizia. E la Francia fu il terreno più fertile per l’autrice, che fece di questo romanzo una proiezione ricco di disgressioni filosiche, arcigne, complicate, ardite, sotto le mentite spoglie di una trama apparentemente semplice che tiene insieme un complesso non sempre perfetto ed echeggiante di richiami stilistici che hanno del solenne.
In fin dei conti non ho idea di cosa abbia voluto vivere tutto ciò. L’uomo moderno non sa cosa stroncò, stupì nel suo stretto abbraccio, inconsapevoli delle ripercussioni che certe battaglie, certi assetti politico e sociali si sposarono nelle loro vite. Specie se immersi in una sorta di immobilità dell’anima, di solitudine che ci impedisce di non tormentarci di certi frangenti, ignorare certe agitazioni e sventure che scovino una forma di fuga, in cui il mondo svanisce così dal baratro in cui la sorte ci ha disgraziatamente relegato nel vivere come miseri insetti destinati a vivere nell’ombra. Nanon, infatti, insegna come non bisognerebbe preoccuparsi dell’uomo, delle sue azioni spesso inconsapevoli e ingiuste, bensì delle cose che sono più forti di noi. Scovando quella giusta forma di vita che possa soddisfarci, beneficciarci, eremiti alla contemplazione e a pratiche ascetiche. Piegati in due dall’Inquisizione e dalla Rivoluzione, surclassati dalla presenza costante di leggi ingiuste e inviolabili. L’ignoranza e le passioni non avrebbero soffocato tutto questo, dato che la Rivoluzione ci impartisce certi valori, ma l’esigenza di tollerarsi e aiutarsi reciprocamente sorgerà fra il popolo perdendo così qualunque forma di libertà piuttosto che la carità, il reclamo nel combattere la pace.
Essenzialmente complesso perché composto su tre linee narrative centrali, filosofico, moralista, dolorosamente sentito, genuino, bonario intinto in un grigiore che inzuppa l’anima persino dei più puri, pone delle particolari distinzioni fra intelligenza e mediocrità, in cui le anime dotate di un certo bagaglio culturale non si oppongono alla chiesa ma si accontentano a guardarla e abbracciarla criticandola solo se non diretto verso la giusta strada indicata dal Cielo. Il Clero dovrebbe dunque aiutarci ad amare Dio, non superficialmente ma profondamente, consolare le pene e venire in soccorso della disgrazia. Nascondendosi così dietro mondi falsi, speranze fasulle, selvagge indipendenze che fanno ampio uso dell’intelligenza senza farsi influenzare da niente e nessuno.
Nanon, dunque, è quella piccola mente allevata come in una gabbia che spiccherà il volo verso l’orizzonte, dissipando qualunque paura. La povertà riconosciuta, il lavoro benedetto dal Cielo e dalla Terra, accresce qualunque forma di passato che coincide col coraggio, la paura di perdere ogni cosa. La proclamazione dei propri diritti, delle proprie libertà, la densità di un universo ancora incomprensibile, rendono il tutto bellissimo ma estremamente complicato. Una lettura per nulla semplice che parla continuamente di fede, di battaglie, e che ha un chè di trascendentale poiché mosso da diverse angolazioni, maggiormente umili, quasi impotenti, a cui ci si appassiona con un certo coinvolgimento emotivo. Accrescendo non solo il disagio morale iniziale e il tono drammatico del romanzo, ma anche un sentimento d’amore reverenziale che ho riposto nei suoi riguardi.
Ciò fu quel contrappeso che mi indusse a comprendere come la letteratura classica, in generale, è perlopiù motivo di grande fascino per me. Non importa quale sia la sua provenienza: americana, inglese, norvegese. Ogniqualvolta mi imbatto in romanzi ambientati fuori dal mio mondo trovo il tutto estremamente affascinante. E intanto, io mi sono innamorata di questa lettura, o almeno della storia della dolce Nanon, non maturando l’idea di lasciare la mia casa irrimediabilmente e con frenesia ma considerando seriamente l’idea di cibarmi di qualche altra opera dell’autrice. Il problema non era la mancanza di volontà. Bensì il mancato numero di romanzi disponibili in Italia. Perciò la consapevolezza che la casa editrice RBA stampi qualche altra copia mi inorgoglisce. Perché certe letture mi fanno bene, smorzano qualunque sentimento di odio o astio che tendenzialmente insorgono fra i meandri più oscuri della mia coscienza. Una ragazza dei poveri, una contadina militante, una neo combattente che fece dell’istruzione il miglior strumento di comunicazione, manifestazione nel relazionarsi col prossimo che avrebbe indotto una guerra contro i padroni di zone terriere piuttosto ricche, avidi e irresponsabili, dato che la Rivoluzione francese, la presa della Bastiglia, un giorno sarebbero finite, donando così più possibilità di mandare in galera gli avidi padroni anziché supplicarli di donare ai più misericordiosi qualche indennizzo. La Sand descrive il tutto ponendo come elemento primordiale non il timore reverenziale con cui si affronta il tutto, bensì evidenziando come di quella fetta di persone umili si anela nient’altro che il fare del bene. Gli altolocati, i ricchi, hanno dimenticato ogni sentimento di natura per fare della corte la sua famiglia, mentre i più umili sono consapevoli di non poter detenere una certa eternità. Afflitti e umiliati per essere stati sconfitti, animati dal nulla più assoluto. Anime dannate che hanno sempre creduto alla giustizia, all’amicizia, all’amore. Hanno visto l’avvenire di progetti sfumati nell’etere, prevalere l’odio, l’invidia, l’ingiustizia. E la Francia fu il terreno più fertile per l’autrice, che fece di questo romanzo una proiezione ricco di disgressioni filosiche, arcigne, complicate, ardite, sotto le mentite spoglie di una trama apparentemente semplice che tiene insieme un complesso non sempre perfetto ed echeggiante di richiami stilistici che hanno del solenne.
In fin dei conti non ho idea di cosa abbia voluto vivere tutto ciò. L’uomo moderno non sa cosa stroncò, stupì nel suo stretto abbraccio, inconsapevoli delle ripercussioni che certe battaglie, certi assetti politico e sociali si sposarono nelle loro vite. Specie se immersi in una sorta di immobilità dell’anima, di solitudine che ci impedisce di non tormentarci di certi frangenti, ignorare certe agitazioni e sventure che scovino una forma di fuga, in cui il mondo svanisce così dal baratro in cui la sorte ci ha disgraziatamente relegato nel vivere come miseri insetti destinati a vivere nell’ombra. Nanon, infatti, insegna come non bisognerebbe preoccuparsi dell’uomo, delle sue azioni spesso inconsapevoli e ingiuste, bensì delle cose che sono più forti di noi. Scovando quella giusta forma di vita che possa soddisfarci, beneficciarci, eremiti alla contemplazione e a pratiche ascetiche. Piegati in due dall’Inquisizione e dalla Rivoluzione, surclassati dalla presenza costante di leggi ingiuste e inviolabili. L’ignoranza e le passioni non avrebbero soffocato tutto questo, dato che la Rivoluzione ci impartisce certi valori, ma l’esigenza di tollerarsi e aiutarsi reciprocamente sorgerà fra il popolo perdendo così qualunque forma di libertà piuttosto che la carità, il reclamo nel combattere la pace.
Essenzialmente complesso perché composto su tre linee narrative centrali, filosofico, moralista, dolorosamente sentito, genuino, bonario intinto in un grigiore che inzuppa l’anima persino dei più puri, pone delle particolari distinzioni fra intelligenza e mediocrità, in cui le anime dotate di un certo bagaglio culturale non si oppongono alla chiesa ma si accontentano a guardarla e abbracciarla criticandola solo se non diretto verso la giusta strada indicata dal Cielo. Il Clero dovrebbe dunque aiutarci ad amare Dio, non superficialmente ma profondamente, consolare le pene e venire in soccorso della disgrazia. Nascondendosi così dietro mondi falsi, speranze fasulle, selvagge indipendenze che fanno ampio uso dell’intelligenza senza farsi influenzare da niente e nessuno.
Nanon, dunque, è quella piccola mente allevata come in una gabbia che spiccherà il volo verso l’orizzonte, dissipando qualunque paura. La povertà riconosciuta, il lavoro benedetto dal Cielo e dalla Terra, accresce qualunque forma di passato che coincide col coraggio, la paura di perdere ogni cosa. La proclamazione dei propri diritti, delle proprie libertà, la densità di un universo ancora incomprensibile, rendono il tutto bellissimo ma estremamente complicato. Una lettura per nulla semplice che parla continuamente di fede, di battaglie, e che ha un chè di trascendentale poiché mosso da diverse angolazioni, maggiormente umili, quasi impotenti, a cui ci si appassiona con un certo coinvolgimento emotivo. Accrescendo non solo il disagio morale iniziale e il tono drammatico del romanzo, ma anche un sentimento d’amore reverenziale che ho riposto nei suoi riguardi.
Chi si sarà bagnato le mani di sangue non farà nulla di ciò che avrà voluto fare e, se il mondo si salverà, sarà in un altro modo e con altri mezzi che non possiamo prevedere.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
Ammetto di non conoscere ne il romanzo, ne l'autrice, ma sembra una storia toccante; grazie per la recensione
RispondiEliminaA te, spero lo leggerai ❤️🥰
EliminaSembra proprio un bellissimo libro, non lo conosco. Recensione profonda e sentita come tutte le tue del resto.
RispondiEliminaGrazie mille ❤️❤️❤️
EliminaI wish to read it. Seems interesting.
RispondiEliminaThank you 🤗🤗
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