Viaggiare con i tuoi autori
preferiti per una manciata di giorni, che costeggiano il tuo spirito con
immenso piacere, ti inducono quasi sempre ad addentrarti in un luogo, in un tunnel
punteggiato da personaggi bizzarri e quasi ridicoli. Il mondo era sempre lo
stesso: privo di deformità, in cui il tempo è quella bestia che si dovrebbe
domare pur di interpretare cosa o chi ci circonda, caduta in uno stato di
confusione, risucchiata da un enorme mulinello dall’origine sconosciuta. Starci
lontano è stato davvero impossibile perché io non volevo distanziarmi, e mentre
ripongo queste poche righe penso di credere di sapere quali siano i motivi per
cui quest’enigmatico autore giapponese eserciti come un magnetismo su di me. Ho
bevuto l’acqua del mondo metaforico e attraversato il fiume che separa l’essere
dal nulla non sapendo ciò che avrebbe comportato, e se dovessi mettermi nella
condizione di giudicare non credo sarei in grado perché ogni esperienza
murakamiana sprigiona del potere. Perché una delle specialità di Murakami
Haruki è di allontanarci da qualunque forma di ragionevolezza diventando esseri
imprecisi, informi. E così, cogliere quel piccolo frammento che evidenzia quel
tipo di metafora che metta a posto qualcosa dentro di noi. Bisogna solo saperne
cogliere l’essenza.
La mia anima risplende quando si
imbatte nel bel mezzo di macchie di questo tipo, che pur quanto si cerchi di
dare svariate pennellate, ti induce a trincerarti e a scacciare qualunque
metafora si nascondi nell’ombra. Come in un paesaggio nuovo e nitido, saper
cogliere quella metafora stupenda che possa conferire vita.
Titolo: L’assassinio
del commendatore
Autore: Murakami Haruki
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 856
Trama: Una borsa con qualche vestito e le matite per disegnare. Quando la moglie gli dice che lo lascia, il protagonista di questa storia non prende altro: carica tutto in macchina e se ne va. Ha trentasei anni, un lavoro come ritrattista su commissione e la sensazione di essere un fallito. Così inizia a vagabondare nell’Hokkaido, finchè un vecchio amico gli offre una sistemazione: la casa di suo padre, il grande pittore giapponese Amada Tomohiko, rimasta vuota da quando questi è entrato in ospizio in preda alla demenza senile. Il nostro protagonista accetta e si trasferisce lì, ma un inquietante quadro nascosto nel sottotetto e una misteriosa campanella che inizia a suonare tra gli alberi nel cuore della notte gli fanno capire che la sua vita, anzi la sua realtà, sono cambiate per sempre.
Autore: Murakami Haruki
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 856
Trama: Una borsa con qualche vestito e le matite per disegnare. Quando la moglie gli dice che lo lascia, il protagonista di questa storia non prende altro: carica tutto in macchina e se ne va. Ha trentasei anni, un lavoro come ritrattista su commissione e la sensazione di essere un fallito. Così inizia a vagabondare nell’Hokkaido, finchè un vecchio amico gli offre una sistemazione: la casa di suo padre, il grande pittore giapponese Amada Tomohiko, rimasta vuota da quando questi è entrato in ospizio in preda alla demenza senile. Il nostro protagonista accetta e si trasferisce lì, ma un inquietante quadro nascosto nel sottotetto e una misteriosa campanella che inizia a suonare tra gli alberi nel cuore della notte gli fanno capire che la sua vita, anzi la sua realtà, sono cambiate per sempre.
La recensione:
Il
dolore, quel freddo tentacolo, era la metafora di qualcosa. Tutto era relativo.
La luce era una metafora dell’ombra, l’ombra della luce.
Attraverso un opera d’arte, una tela, una
miscela disomogena di colori, fatta di pennellate e sferzate di luci e ombre,
che una volta mosse, sprigionarono una piacevolissima melodia, entrai in un
mondo in cui vi misi piede un mucchio di volte e senza conformità. Su questa
terra desolata, arida, quasi priva di vita, in cui si respira una generale
malinconia, il desiderio di essere integrati nel mondo degli altri, precipitai
in una buca in cui vi era rintanato un omino minuscolo, ai limiti del
paradossale, denominato Il commendatore.
Assieme a lui, una vasta gamma di situazioni che determineranno il percorso
irto e accidentato di ostacoli del protagonista.
Da un quadro apparentemente semplice ma in cui ogni cosa sembra privo di senso, Murakami Haruki partorì l’idea di pronunciare la melodia di una sonata che ricorda ai più colti quella Morzatiana, una lunga litania in cui è stato semplice riconoscere aspetti in cui il realismo cozza con il surrealismo, l’impossibilità di comprendere la personalità di chi ci circonda, specialmente nel momento in cui si osserva il tutto da prospettive più fosche e nefaste, che nell’universo dell’autore sono forme peculiari che assumono una loro importanza. Da una busta di carta invisibile ha tirato fuori una lente di ingrandimento e con quella a guardare attentamente e lentamente nei vari specchi. Osservando da svariate angolazioni implorazioni, riconoscendo poi che in un modo o nell’altro siamo esseri senzienti capaci di guardarci attorno-
Ogni volta che apro un romanzo di Murakami sono consapevole di dover approcciarmi alla lettura con l’insana idea che, fra un evento e un altro, potesse accadere qualunque cosa. Con questa nuova lente d’ingrandimento, prestatami gentilmente dal suo creatore, niente e nessuno mi avrebbe impedito di comprendere questo ennesimo ritratto onirico e surreale. Se qualcuno avesse tentato di darne una spiegazione non credo avrebbe ricavato maggior godimento, grazie a cui la particolarità di questa storia consiste proprio in questo. Molti non amano Murakami per il suo essere enigmatico e irrazionale. Io lo amo per questo. Il segreto sta nel saper fare attenzione a ciò che ci viene detto, ciò che ci viene dato, chi incrociamo nel nostro cammino e soprattutto perché.
Questa volta l’impresa sarebbe stata alquanto ardua perché da comprendere a fondo sarebbe stato questo commendatore, che alla poca luce di un tunnel sotterraneo, mi pareva suscitasse un certo magnetismo sul protagonista. Il suo era un teatrino di azioni da cui nessuno, persino io, ne saremmo usciti incolumi. Bisognava semplicemente scoprirne i suoi poteri. Fosse giunto il momento propizio, ogni cosa sarebbe andato al suo posto.
Se mi soffermo per qualche istante, mi lascio consumare dal silenzio delle mie riflessioni, la mia mente vaga in un luogo in cui da sempre sogna di poterci vivere. Pensa a come in ogni angolo della terra, in tutti i tempi, l’uomo cerca di procurarsi un certo tipo di invulnerabilità, che come ogni mito, scovano il più bel mito che in un certo senso ci tiene in vita. La vita sa riservarci sorprese eclatanti che spesso sono nascoste all’occhio umano, ma non sempre abbiamo modo di accorgercene. Se prima o dopo, non ha importanza. Fin quando la nostra invulnerabilità viene messa alla prova, e certe sorprese costruiscono elementi fondamentali per il nostro spirito.
Il tardo pomeriggio mi vide recarmi in un bel posto che ogni tanto amo visitare - una Tokyo spettrale e suggestiva.
Dopo aver letto un numero spropositato di racconti mi ero messa a vagare per casa come un'anima in pena, cercavo la storia giusta che facesse al posto mio e alla fine mi accorsi di avere una strana fame. Dopo qualche giorno mi resi conto che stavo letteralmente morendo di fame. Non si trattava di una fame come tutte le altre. Una fame non alimentare, ma letteraria che m'indusse a divorare l'ultimo romanzo di Murakami in mio possesso: ennesima storia surreale nonché teatro di ricerca in cui sogni, ricordi e realtà si fondono. Presumendo che il mio autore giapponese preferito illuminasse i corridoi bui della mia anima.
Ho sempre avuto un debole per quest'autore, sin dal primo giorno del nostro incontro, e in un momento imprecisato della mia vita le sue storie mi colpirono con violenza. Trasmettono solitudine, tristezza, facilmente rintracciabili in pagine bianche il cui pallore minacciano come una sottile lama. Nel silenzio delle mie giornate, ho avvertito le radici di questa solitudine propagarsi serpeggiando. Ed io, che di solitudine disgraziatamente ne so qualcosa, ho sentito questo come un qualcosa che mi appartiene.
Per qualche momento, col cursore che continuava a lampeggiare con la regolarità di un battito cardiaco, aspettavo col fiato sospeso che mi venissero date le parole. Parole che mi hanno turbato e allo stesso tempo evocato immagini vaghe e lontane.
Mi sono lasciata cullare dalla sensazione di essere circondata da ombre evanescenti prigioniere. Restavo semplicemente seduta lì, seduta sulla mia poltrona preferita, assorbita completamente dalla storia. Però nel mio inconscio stavo aspettando che la luce di questa nuova storia rischiarasse le tenebre del mio animo. Quel raggio di sole abbagliante che per poco tempo veniva sporadicamente rammentandomi i miei più validi motivi per cui abbia deciso d'imbarcarmi in questa storia. Considerando che Murakami è un maestro nel creare l' "atmosfera", quando meno me lo aspetto, prima o poi doveva accadere. Aspettavo solo questo, l'arrivo di un bel raggio di sole. Era l'unica cosa che desideravo aspettare. La luce era li. Dovevo solamente metterla a fuoco. E nel momento in cui ciò accadde, quasi senza rendermene conto, conobbi la potenza di quell'abbraccio.
Dentro di me resta sempre una brama intensa per Murakami, così come il piacere dei libri. E L’assassinio del commendatore, sotto una massa informe di nuvole di svariate dimensioni che minacciavano il giorno: il grigiore scuro metallico sprigionava scintille; le note di qualche musicista rap che levandosi raggiungevano il soffitto accompagnando il rumore fragoroso dei tuoni dentro le nuvole - la natura stessa sembrava restare immobile, in questi momenti, logorandosi nell'assistere a questo spettacolo fantasmagorico che scivolava nella malinconia.
Avevo ancora nelle orecchie brani della sua poetica musica, che avrei ascoltato e riascoltato. Cercavo di distinguere il vero dal falso, immergendomi completamente, e solo dopo cominciando a distaccarmi dal protagonista Toru. Da questo contenitore un po' vuoto e inconsistente che costituisce la sua persona. Un individuo che conobbi e so di conoscere molto bene.
Pensando, crescendo, respirando, vivendo, trasformandosi in storie, le parole di questo ennesimo straordinario ritratto della realtà umana mi hanno trascinato in un tunnel oscuro e profondo, in cui i personaggi hanno preso vita nel momento d'iniziazione della loro esistenza. Mi sono avvicinata a tal punto che, guardandoli negli occhi, ho avuto la sensazione di essere toccata. Li scrutavo fin dentro il loro animo, come se fossero in una casa vuota e deserta al cui interno non ci sono né mobili né tende. Solo uno spazio vacante. Ho avvertito la loro paura, i temibili pensieri che li assillano di notte, all'idea di essere soli, al buio, lontani da migliaia di prospettive in qualunque direzione guardino. Impegnati in una muta ricerca, attraverso le parole sembrano contemplare scene da un ottica completamente diversa. Scene per loro famigliari e a noi estranee, cariche di significato, appartenenti a un labirinto buio e sotterraneo dove non s'intravede nemmeno uno sprazzo di luce.
Convivendo in questa realtà che loro hanno scelto, nonostante questo comporti qualche problema, ho avvertito uno strano senso di vuoto, di sconforto, come se ogni rimasuglio della loro felicità fosse stato spazzato via. E, lasciando un segno del mio passaggio, ho visto i loro sogni. Sogni che compiono mediante profonde riflessioni filosofiche, limitandoli ad essere una semplice via di transito per se stessi.
Il surrealismo magico che lo resero famoso, qui, è vagamente accennato in quanto l'autore racconta il romanzo come se disfacesse i nodi della corda della sua giovane età, rivedendo i fatti lentamente. Ci parla un po' di più del protagonista e di un periodo estremamente delicato della vita cui si resta facilmente feriti. Più acuta e penetrante la generale malinconia che sovrasta i suoi romanzi. Gli stessi personaggi, infatti, avvertono il dolore e la solitudine come un malessere incurabile. Inducendoli a condurre una vita negativa e ingiusta con qualcosa di estremamente iniquo, parassiti di una materia che non gli appartengono.
L’assassinio del commendatore è un romanzo profondamente introspettivo che risulta bellissimo sin dal principio. Un ripetersi continuo e lento che oscilla fra buio e luce, in cui la nozione del tempo traballa come un vagone su un asse in equilibrio precario.
Nel giro di una settimana mi sono totalmente immersa nella storia che "ascoltavo", prendevo appunti, leggevo da non desiderare altro. Halloween appena entrato era stato popolato da figure appartenenti non al mio mondo ma a quello di Toru, del suo gatto e sua moglie. Durante la lettura sentivo come "mia" la sua voce e assieme al resto della grande famigliola viaggiavo con la mia immaginazione, lungo i quali si sono rivolti costantemente, in questo lasso di tempo, i miei pensieri. Era un modo carino per rinunciare, anche se per poco, alla mia vita. Calarmi completamente nella storia dei personaggi di Murakami e volgere le spalle a un mondo in cui sono in voga l'insoddisfazione e l'ingratitudine. Sentirmi placare, cullare dalla sicurezza di una storia surreale che ha sortito l'effetto desiderato. Una buona storia che abbacinasse sempre più un frammento di finzione. Che ha alimentato il mio entusiasmo, allo stesso tempo.
Quando finirò di scrivere questa recensione, di lui, so che scomparirà nuovamente col suo fare misterioso e taciturno, e tutto sarà finito, dopo avermi parlato di tutto e di niente, facendomi godere in tranquillità la bellezza di una realtà parallela in cui avrei fatto perdere spontaneamente le mie tracce. E, in mezzo a questo mare d'assurdità, sono stata tuttavia bloccata in questa realtà parallela priva di logica. Non avevo alcuna possibilità né intento di lasciare questa dimensione. Quel posto sembrava stagnare, come se una forza gigantesca avesse costretto il corso della natura a fermarsi.
Da un quadro apparentemente semplice ma in cui ogni cosa sembra privo di senso, Murakami Haruki partorì l’idea di pronunciare la melodia di una sonata che ricorda ai più colti quella Morzatiana, una lunga litania in cui è stato semplice riconoscere aspetti in cui il realismo cozza con il surrealismo, l’impossibilità di comprendere la personalità di chi ci circonda, specialmente nel momento in cui si osserva il tutto da prospettive più fosche e nefaste, che nell’universo dell’autore sono forme peculiari che assumono una loro importanza. Da una busta di carta invisibile ha tirato fuori una lente di ingrandimento e con quella a guardare attentamente e lentamente nei vari specchi. Osservando da svariate angolazioni implorazioni, riconoscendo poi che in un modo o nell’altro siamo esseri senzienti capaci di guardarci attorno-
Ogni volta che apro un romanzo di Murakami sono consapevole di dover approcciarmi alla lettura con l’insana idea che, fra un evento e un altro, potesse accadere qualunque cosa. Con questa nuova lente d’ingrandimento, prestatami gentilmente dal suo creatore, niente e nessuno mi avrebbe impedito di comprendere questo ennesimo ritratto onirico e surreale. Se qualcuno avesse tentato di darne una spiegazione non credo avrebbe ricavato maggior godimento, grazie a cui la particolarità di questa storia consiste proprio in questo. Molti non amano Murakami per il suo essere enigmatico e irrazionale. Io lo amo per questo. Il segreto sta nel saper fare attenzione a ciò che ci viene detto, ciò che ci viene dato, chi incrociamo nel nostro cammino e soprattutto perché.
Questa volta l’impresa sarebbe stata alquanto ardua perché da comprendere a fondo sarebbe stato questo commendatore, che alla poca luce di un tunnel sotterraneo, mi pareva suscitasse un certo magnetismo sul protagonista. Il suo era un teatrino di azioni da cui nessuno, persino io, ne saremmo usciti incolumi. Bisognava semplicemente scoprirne i suoi poteri. Fosse giunto il momento propizio, ogni cosa sarebbe andato al suo posto.
Se mi soffermo per qualche istante, mi lascio consumare dal silenzio delle mie riflessioni, la mia mente vaga in un luogo in cui da sempre sogna di poterci vivere. Pensa a come in ogni angolo della terra, in tutti i tempi, l’uomo cerca di procurarsi un certo tipo di invulnerabilità, che come ogni mito, scovano il più bel mito che in un certo senso ci tiene in vita. La vita sa riservarci sorprese eclatanti che spesso sono nascoste all’occhio umano, ma non sempre abbiamo modo di accorgercene. Se prima o dopo, non ha importanza. Fin quando la nostra invulnerabilità viene messa alla prova, e certe sorprese costruiscono elementi fondamentali per il nostro spirito.
Il tardo pomeriggio mi vide recarmi in un bel posto che ogni tanto amo visitare - una Tokyo spettrale e suggestiva.
Dopo aver letto un numero spropositato di racconti mi ero messa a vagare per casa come un'anima in pena, cercavo la storia giusta che facesse al posto mio e alla fine mi accorsi di avere una strana fame. Dopo qualche giorno mi resi conto che stavo letteralmente morendo di fame. Non si trattava di una fame come tutte le altre. Una fame non alimentare, ma letteraria che m'indusse a divorare l'ultimo romanzo di Murakami in mio possesso: ennesima storia surreale nonché teatro di ricerca in cui sogni, ricordi e realtà si fondono. Presumendo che il mio autore giapponese preferito illuminasse i corridoi bui della mia anima.
Ho sempre avuto un debole per quest'autore, sin dal primo giorno del nostro incontro, e in un momento imprecisato della mia vita le sue storie mi colpirono con violenza. Trasmettono solitudine, tristezza, facilmente rintracciabili in pagine bianche il cui pallore minacciano come una sottile lama. Nel silenzio delle mie giornate, ho avvertito le radici di questa solitudine propagarsi serpeggiando. Ed io, che di solitudine disgraziatamente ne so qualcosa, ho sentito questo come un qualcosa che mi appartiene.
Per qualche momento, col cursore che continuava a lampeggiare con la regolarità di un battito cardiaco, aspettavo col fiato sospeso che mi venissero date le parole. Parole che mi hanno turbato e allo stesso tempo evocato immagini vaghe e lontane.
Mi sono lasciata cullare dalla sensazione di essere circondata da ombre evanescenti prigioniere. Restavo semplicemente seduta lì, seduta sulla mia poltrona preferita, assorbita completamente dalla storia. Però nel mio inconscio stavo aspettando che la luce di questa nuova storia rischiarasse le tenebre del mio animo. Quel raggio di sole abbagliante che per poco tempo veniva sporadicamente rammentandomi i miei più validi motivi per cui abbia deciso d'imbarcarmi in questa storia. Considerando che Murakami è un maestro nel creare l' "atmosfera", quando meno me lo aspetto, prima o poi doveva accadere. Aspettavo solo questo, l'arrivo di un bel raggio di sole. Era l'unica cosa che desideravo aspettare. La luce era li. Dovevo solamente metterla a fuoco. E nel momento in cui ciò accadde, quasi senza rendermene conto, conobbi la potenza di quell'abbraccio.
Dentro di me resta sempre una brama intensa per Murakami, così come il piacere dei libri. E L’assassinio del commendatore, sotto una massa informe di nuvole di svariate dimensioni che minacciavano il giorno: il grigiore scuro metallico sprigionava scintille; le note di qualche musicista rap che levandosi raggiungevano il soffitto accompagnando il rumore fragoroso dei tuoni dentro le nuvole - la natura stessa sembrava restare immobile, in questi momenti, logorandosi nell'assistere a questo spettacolo fantasmagorico che scivolava nella malinconia.
Avevo ancora nelle orecchie brani della sua poetica musica, che avrei ascoltato e riascoltato. Cercavo di distinguere il vero dal falso, immergendomi completamente, e solo dopo cominciando a distaccarmi dal protagonista Toru. Da questo contenitore un po' vuoto e inconsistente che costituisce la sua persona. Un individuo che conobbi e so di conoscere molto bene.
Pensando, crescendo, respirando, vivendo, trasformandosi in storie, le parole di questo ennesimo straordinario ritratto della realtà umana mi hanno trascinato in un tunnel oscuro e profondo, in cui i personaggi hanno preso vita nel momento d'iniziazione della loro esistenza. Mi sono avvicinata a tal punto che, guardandoli negli occhi, ho avuto la sensazione di essere toccata. Li scrutavo fin dentro il loro animo, come se fossero in una casa vuota e deserta al cui interno non ci sono né mobili né tende. Solo uno spazio vacante. Ho avvertito la loro paura, i temibili pensieri che li assillano di notte, all'idea di essere soli, al buio, lontani da migliaia di prospettive in qualunque direzione guardino. Impegnati in una muta ricerca, attraverso le parole sembrano contemplare scene da un ottica completamente diversa. Scene per loro famigliari e a noi estranee, cariche di significato, appartenenti a un labirinto buio e sotterraneo dove non s'intravede nemmeno uno sprazzo di luce.
Convivendo in questa realtà che loro hanno scelto, nonostante questo comporti qualche problema, ho avvertito uno strano senso di vuoto, di sconforto, come se ogni rimasuglio della loro felicità fosse stato spazzato via. E, lasciando un segno del mio passaggio, ho visto i loro sogni. Sogni che compiono mediante profonde riflessioni filosofiche, limitandoli ad essere una semplice via di transito per se stessi.
Il surrealismo magico che lo resero famoso, qui, è vagamente accennato in quanto l'autore racconta il romanzo come se disfacesse i nodi della corda della sua giovane età, rivedendo i fatti lentamente. Ci parla un po' di più del protagonista e di un periodo estremamente delicato della vita cui si resta facilmente feriti. Più acuta e penetrante la generale malinconia che sovrasta i suoi romanzi. Gli stessi personaggi, infatti, avvertono il dolore e la solitudine come un malessere incurabile. Inducendoli a condurre una vita negativa e ingiusta con qualcosa di estremamente iniquo, parassiti di una materia che non gli appartengono.
L’assassinio del commendatore è un romanzo profondamente introspettivo che risulta bellissimo sin dal principio. Un ripetersi continuo e lento che oscilla fra buio e luce, in cui la nozione del tempo traballa come un vagone su un asse in equilibrio precario.
Nel giro di una settimana mi sono totalmente immersa nella storia che "ascoltavo", prendevo appunti, leggevo da non desiderare altro. Halloween appena entrato era stato popolato da figure appartenenti non al mio mondo ma a quello di Toru, del suo gatto e sua moglie. Durante la lettura sentivo come "mia" la sua voce e assieme al resto della grande famigliola viaggiavo con la mia immaginazione, lungo i quali si sono rivolti costantemente, in questo lasso di tempo, i miei pensieri. Era un modo carino per rinunciare, anche se per poco, alla mia vita. Calarmi completamente nella storia dei personaggi di Murakami e volgere le spalle a un mondo in cui sono in voga l'insoddisfazione e l'ingratitudine. Sentirmi placare, cullare dalla sicurezza di una storia surreale che ha sortito l'effetto desiderato. Una buona storia che abbacinasse sempre più un frammento di finzione. Che ha alimentato il mio entusiasmo, allo stesso tempo.
Quando finirò di scrivere questa recensione, di lui, so che scomparirà nuovamente col suo fare misterioso e taciturno, e tutto sarà finito, dopo avermi parlato di tutto e di niente, facendomi godere in tranquillità la bellezza di una realtà parallela in cui avrei fatto perdere spontaneamente le mie tracce. E, in mezzo a questo mare d'assurdità, sono stata tuttavia bloccata in questa realtà parallela priva di logica. Non avevo alcuna possibilità né intento di lasciare questa dimensione. Quel posto sembrava stagnare, come se una forza gigantesca avesse costretto il corso della natura a fermarsi.
Il
cuore umano fluttua in modo incostante, senza seguire le regole dell’abitudine
o del buon senso svolazza liberamente. Al pari degli uccelli migratori, che
non conoscono fraintendimenti.
Valutazione d’inchiostro: 5
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