Ho scelto di leggere Henry James perché qualche mese
fa, prima che giungesse il caldo e la bella stagione, lessi Le ali della colomba
e, sulla scia di un sentimento che generò entusiasmo, gioia, curiosità, sulla
mensola delle mie strapiene librerie attendono ancora qualche altro romanzo, e
fra questi Le bostoniane spiccava in tutta la sua rigogliosa bellezza. In fondo
il mio destino aveva previsto questo incontro: il mio intento di smaltire la
pila della vergogna si fa sempre più pressante, e questa lettura non sarebbe
stata un’eccezione: forse ancora più bello de Le ali della colomba. Se non
altro risente di un forte dualismo poiché l’autore ebbe origini americane e
inglesi e dunque ogni sua opera riflette questa contrapposizione fra, mondo
vecchio e mondo nuovo. Il primo, quello cioè raffinato e affascinante, il
secondo quello nuovo e sicuro di sé, schietto ed intrappolato nelle puritane
convenzioni sociali. Incontro/ scontro che è un assetto primordiale del
romanzo. Dipanato in una linea retta, rigidissima, severa, fatalista, drammatica
e sofferente in cui si avverte questa sofferenza quasi come se portassimo
addosso il peso di una condanna. Una condanna che in un certo senso non ci
appartiene né compete, ma di cui la vita stessa è la migliore fonte per scovare
ed estirpare qualunque forma di cattiveria, malvagità, così imperiosa ed
iraconda da non lasciare alcuna via di scampo.
Titolo: Le bostoniane
Autore: Henry James
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 512
Trama: Ne «Le bostoniane», ovvero "Le donne
di Boston", ovvero "The Bostonians", come recita il titolo
originale, Henry James racconta quel particolare momento della storia americana
che segue la fine della Guerra di secessione (1861-1865) e segna la nascita
degli Stati Uniti. È il momento in cui si confrontano, ma potremmo anche dire
"in cui vengono in contatto e a conoscenza", gli Stati del Nord,
aperti all'influenza dell'Inghilterra e dell'Europa, e alle ideologie e alle
culture liberali, con gli Stati del Sud, ben stretti attorno ai loro interessi
economici agrari, ancora fondati sulla schiavitù e l'oppressione. Protagonista
(o filo conduttore del racconto) è Basil Ransom, affascinante giovanotto del
Mississippi, che è tra i primi "sudisti" a tentare l'avventura nella
ricca e promettente New York (solo quattro ore da Boston, che ne è quasi una
dépendance). La vicenda si sviluppa attorno alla passione che coglie Ransom per
la bella e giovanissima Verena, figlia di un guaritore mesmerico, che egli
riuscirà, sì, a sposare ma non senza una durissima lotta con la ricca e
bellissima Olive Chancellor, che la ama senza veli di sorta, di un amore sul
quale Henry James stende un discretissimo velo di silenzio.
La recensione:
Le sofferenze della donna sono le
sofferenze dell’umanità intera. Credete che un movimento intero sia in grado di
porvi fine… o che le siano tutte le conferenze. Siamo nati per soffrire e
sopportare da quelle brave persone che dobbiamo essere.
Non voglio diventare pedante. Ma le circostanze che mi
diressero dinanzi a un autore del calibro come Henry James a causa delle quali
la mia vita, apparentemente monotona e sempre uguale a sé stessa, cambia rotta
nel momento in cui meno me lo aspetto, furono talmente diverse che sembra impossibile
esprimere il più entusiasta parere su una lettura il cui tempo ho procrastinato
per diverso tempo. Il concetto di vita non avrebbe potuto coincidere
esclusivamente con qualcosa di sublime o nullo. Il mondo avrebbe scoccato i
rintocchi del Male e se adempiuto a certi doveri non sarebbe parsa scialba e
meschina. Un dramma, talvolta persino una tragedia, ma acerrima di conflitti
interiori che spesso e non poche volte indussero a sentirsi esiliati dal proprio
ceto sociale.
Di Henry James mi innamorai a prima lettura. Oramai cinque anni fa, con un romanzo con protagonista una donna avvenente ma antipatica che si esprimeva come un’attrice shakespeariana: un rottame di giovane età, che fece delle sue << pene >> d’amore uno stile di vita, una facciata di finto buonismo e maggior crudeltà, il cui forte respiro avverto ancora dalla mensola strapiena della mia libreria. Eppure, tutto questo mi piacque così tanto, mi affascinò irrimediabilmente da desiderare successivamente di leggere altro dell’autore, ed ecco che nel tempo conobbi altre splendide opere d’arte: Washington Square, Le ali della colomba, e ora questo, Le bostoniane, concepito, a quanto sembra, come il Grande Romanzo Americano. Forma astratta di desideri repressi, riforme e dottrine diverse che avrebbero messo in mostra qualunque assetto latente, ciò che sarebbe sfuggito ai nostri occhi, penetrando nell’esistenza degli individui tentando in ogni modo possibile per condurre una crociata, l’immagine dell’infelicità delle donne. La croce che ogni donna doveva portarsi, e che un mutamento repentino avrebbe indotto a un cambiamento. Ci si attacca alla società con nient’altro il desiderio di spiccare. Spiccando sarebbe stato possibile compiere qualcosa per la società e il mondo circostante, e perseguendo quella giusta strada sarebbe stato possibile raggiungere il cambiamento. Henry James, in questo modo, toccò il cuore delle masse e delle nazioni, dichiarando apertamente come atti di generosità, tenerezza – laddove esistevano esclusivamente forme brute di sordido antagonismo -, avrebbero camuffato ogni intento maligno. Qualunque distrazione che tuttavia non riesca a camuffare l’aria dimessa, la frivolezza di alcune creature. Cause pubbliche che inducono a struggersi per emancipazioni, intrappolamenti in corriere che inducono ad essere perennemente esposti ed affranti a lacerazioni, a sofferenze laceranti e atroci.
A quanto pare ero entrata a far parte di un piano ben studiato e ponderato in cui questa frivolezza a cui fa cenno l’autore era camuffata dalla cultura, in cui il senso decorativo o plastico dell’esistenza avrebbe cozzato con forme di adempimento. Assieme ai protagonisti ho così avanzato dinanzi a forme oscure che avrebbero dovuto lavare il dolore e la vergogna, spiccare come visioni intense, frammenti di cui le stesse donne pagano per gli altri. Loro che tenevano paralizzate i ceppi di fardelli inestricabili, loro che erano gran parte creature appartenenti al sesso debole a cui era estorta ogni cosa con l’inganno e la menzogna.
Se penso a cosa avranno provato Venera e Olive, a come questi erano i primi segni di un secolo infiacchito dalla tolleranza, dalla debolezza di menti che rasentano l’idiozia, divise in fazioni o classi sociali di cui lo stesso romanzo è lo specchio in cui è possibile riflettersi. Ponderare il tutto con una certa serietà, una certa rigidezza, poiché responsabili di aver adempiuto a forme che avrebbero dovuto condurre alla felicità, alla perfezione, quanto rigettare continui tentativi per scoprire chi siamo e per cosa viviamo, considerando i fatti, la validità di ogni gesto, in cui la coscienza era qualcosa di relativo e miserabile.
In Le bostoniane diviene sempre più pressante la necessità di cogliere il pensiero positivo, che si svilupperà nel momento in cui si abbracceranno materie semplici, giungendo così alla nascita di una scienza a forma di parvenza positiva. Solo così sarebbe stato possibile il progresso, l’evoluzione di menti infiacchite dall’ignoranza. E la donna, a questo proposito, si innalza nel bel mezzo di masse indistinte, voci e suoni, causa universale di ogni cosa, dotata di un certo potere persuasivo. Ma c’erano anche gli uomini, in questo caso il protagonista, Ransom, che era uno stoico per natura, un reazionario nelle questioni sociali, e politiche che giudicò ciarliero, querulo, isterico, smanceroso ma che ponderato da donne come Venera e Olive sarebbe stato possibile incorrere in ideali grandiosi e stimolanti.
Quella di Le bostoniane è un accurata e attenta disamina politico/sociale che, proiettata in un’epoca in cui il meccanismo letterario è complesso, sottile, appassionato, pratico, dietro forme di aggressione ambisce a ottenere svariate forme di saggezza. Riflette quel gruppo di persone che vivono di un certo rigore, criterio morale, in una realtà cinica, materialistica, bigotta e provinciale di cui il denaro e il successo sono garanzia di felicità.
L’amore, gli affetti, i legami fungono da meri tentativi di contrapposizione a situazioni abiette, riprovevoli le cui anime a cui si fa riferimento sono un’occasione per stabilire un rapporto, confrontarsi stabilendo un “cifrario” di interpretazioni. Il matrimonio avrebbe si relegato la donna in un angolo, l’avrebbe oscurata da ogni cosa, ma allo stesso tempo a ritrovare se stessa in lievi schizzi di reazioni fuori misura. Tenacia e dedizione sono assetti del mio temperamento che mi hanno sempre distinto dalla maggior parte dei miei coetanei. Voglio dire, che a differenza di molti miei coetanei, ho sempre mostrato tanto fervido impegno verso i compiti, i progetti che mi prefisso, e mai mi sono sentita più decisa, più equilibrata a comportarmi diversamente quando la luce di un nuovo giorno filtrava dalla finestra della mia stanza, così contenta di imbarcarmi in nuove avventure e portarle avanti sin quando non avrei ricevuto un certo prodigio spirituale.
La letteratura, così come la scrittura, è una costante irreversibile, potente e straordinaria che da sempre contorna le mie giornate, adorna il mio spirito, pone la differenza fra ciò che reputo un semplice passatempo come fonte insostenibile e insostituibile in cui mi dibatto fra l’essere viva e morta, conferendomi vantaggi di cui sfrutto spesso bene. Grazie alle innumerevoli letture effettuate durante il corso della mia esistenza ho maturato una certa quietanza nel non tirarmi indietro dinanzi a niente e nessuno. Voglio dire, armarsi di pazienza mi ha da sempre donato il vantaggio di essere vicina a raggiungere un certo prestigio, quello in questo caso di leggere e vivere una storia che richiede di essere letta da tantissimo tempo, o di conoscere un autore di cui ho tessuto le lodi innumerevoli volte in passato e di cui questo romanzo è una irrimediabile lacuna letteraria che dovevo assolutamente colmare.
Meno ostico e complesso di Le ali della colomba, frasi ed episodi scritti con eleganza e chiarezza che mi hanno mostrato un mondo che sta lentamente andando a pezzi, Henry James credo abbia desiderato semplicemente che chi avrebbe intrapreso questa lettura comprendesse i meccanismi di cui è composto e di cui le protagoniste, Olive e Venera, in relazione a personaggi che sono membri appartenenti all’alta borghesia, sono superstiti di un naufragio cui si lotta per sopravvivere. Ho letto attentamente come aspirando a un certo tipo di libertà sarebbe stato possibile interpretare tutto questo, sciorinare sentimenti che coincidono con quelli dell’autore e di molte donne e uomini del secolo in cui domare gli istinti avrebbe comportato ad un equilibrio passionale ed emotivo che tuttavia non snellisce una storia fin troppo ricca di dialoghi, conversazioni in cui ho un po’ faticato a muovermi, a distinguere la mia voce in mezzo a un coro di suoni e frastuoni, che tuttavia non esula alcun limite o ostacolo alla libertà d’azione o pensiero.
Nel mentre ripongo queste poche righe penso che scrivere certi romanzi, riproporre certe tematiche che l’autore visse sulla propria pelle così bene credo che sia uno dei passaggi più complessi per enunciarle la sua magnificenza. Non solo ti costringono a porti delle domande, a osservarti con gli occhi di un altro, ma a rivelare forme di pensiero o dogmi e paradigmi che molto probabilmente non sarebbero mai state espresse se i sentimenti e l’emozioni avessero coinciso con l’ambiente circostante. L’offesa reca superbia mal celata dal disagio, la caducità della vita delinea orrori che fioriscono nei confronti di falsi valori. Rinnegare il mondo stesso equivale a resistere a qualcosa che avrebbe comportato a un buon uso delle cose. La delicatezza, l’intelligenza non avrebbero dovuto comporre alcuno, specie un’anima semplice. L’intelligenza e la cultura avrebbero dovuto adornarne lo spirito, la gioia avrebbe potuto essere riscontrata facilmente in sfumature di consapevolezza, di valutazione che avrebbero mostrato quella a cui si aspira veramente: una realtà autentica. La condizione sociale è così opposta, che come può mancare un terreno comune per trovare posto nel mondo, legato ad un agglomerato geriatrico, sorretto da un marchingegno in cui ci si sorprende unanimi in forme distorte di inquietudine, solitudine che acquistano un sapore amarostico, quasi d’attesa non conferisce nulla di solido, concreto, nonostante gli innumerevoli tentativi.
Una fievole luce che molti non riescono, o, non vogliono ravvivare. Incatenati a non poter seguire un sentimento, una passione onesta come una bellezza indefinibile che circondava l'aura lucente di ogni figura, in una terra ancora veduta e sentita in modo imperfetto, che mi si è stesa dinanzi come una terra promessa in cui l'amore per la cultura è confortato da un sapere senza fine.
Di Henry James mi innamorai a prima lettura. Oramai cinque anni fa, con un romanzo con protagonista una donna avvenente ma antipatica che si esprimeva come un’attrice shakespeariana: un rottame di giovane età, che fece delle sue << pene >> d’amore uno stile di vita, una facciata di finto buonismo e maggior crudeltà, il cui forte respiro avverto ancora dalla mensola strapiena della mia libreria. Eppure, tutto questo mi piacque così tanto, mi affascinò irrimediabilmente da desiderare successivamente di leggere altro dell’autore, ed ecco che nel tempo conobbi altre splendide opere d’arte: Washington Square, Le ali della colomba, e ora questo, Le bostoniane, concepito, a quanto sembra, come il Grande Romanzo Americano. Forma astratta di desideri repressi, riforme e dottrine diverse che avrebbero messo in mostra qualunque assetto latente, ciò che sarebbe sfuggito ai nostri occhi, penetrando nell’esistenza degli individui tentando in ogni modo possibile per condurre una crociata, l’immagine dell’infelicità delle donne. La croce che ogni donna doveva portarsi, e che un mutamento repentino avrebbe indotto a un cambiamento. Ci si attacca alla società con nient’altro il desiderio di spiccare. Spiccando sarebbe stato possibile compiere qualcosa per la società e il mondo circostante, e perseguendo quella giusta strada sarebbe stato possibile raggiungere il cambiamento. Henry James, in questo modo, toccò il cuore delle masse e delle nazioni, dichiarando apertamente come atti di generosità, tenerezza – laddove esistevano esclusivamente forme brute di sordido antagonismo -, avrebbero camuffato ogni intento maligno. Qualunque distrazione che tuttavia non riesca a camuffare l’aria dimessa, la frivolezza di alcune creature. Cause pubbliche che inducono a struggersi per emancipazioni, intrappolamenti in corriere che inducono ad essere perennemente esposti ed affranti a lacerazioni, a sofferenze laceranti e atroci.
A quanto pare ero entrata a far parte di un piano ben studiato e ponderato in cui questa frivolezza a cui fa cenno l’autore era camuffata dalla cultura, in cui il senso decorativo o plastico dell’esistenza avrebbe cozzato con forme di adempimento. Assieme ai protagonisti ho così avanzato dinanzi a forme oscure che avrebbero dovuto lavare il dolore e la vergogna, spiccare come visioni intense, frammenti di cui le stesse donne pagano per gli altri. Loro che tenevano paralizzate i ceppi di fardelli inestricabili, loro che erano gran parte creature appartenenti al sesso debole a cui era estorta ogni cosa con l’inganno e la menzogna.
Se penso a cosa avranno provato Venera e Olive, a come questi erano i primi segni di un secolo infiacchito dalla tolleranza, dalla debolezza di menti che rasentano l’idiozia, divise in fazioni o classi sociali di cui lo stesso romanzo è lo specchio in cui è possibile riflettersi. Ponderare il tutto con una certa serietà, una certa rigidezza, poiché responsabili di aver adempiuto a forme che avrebbero dovuto condurre alla felicità, alla perfezione, quanto rigettare continui tentativi per scoprire chi siamo e per cosa viviamo, considerando i fatti, la validità di ogni gesto, in cui la coscienza era qualcosa di relativo e miserabile.
In Le bostoniane diviene sempre più pressante la necessità di cogliere il pensiero positivo, che si svilupperà nel momento in cui si abbracceranno materie semplici, giungendo così alla nascita di una scienza a forma di parvenza positiva. Solo così sarebbe stato possibile il progresso, l’evoluzione di menti infiacchite dall’ignoranza. E la donna, a questo proposito, si innalza nel bel mezzo di masse indistinte, voci e suoni, causa universale di ogni cosa, dotata di un certo potere persuasivo. Ma c’erano anche gli uomini, in questo caso il protagonista, Ransom, che era uno stoico per natura, un reazionario nelle questioni sociali, e politiche che giudicò ciarliero, querulo, isterico, smanceroso ma che ponderato da donne come Venera e Olive sarebbe stato possibile incorrere in ideali grandiosi e stimolanti.
Quella di Le bostoniane è un accurata e attenta disamina politico/sociale che, proiettata in un’epoca in cui il meccanismo letterario è complesso, sottile, appassionato, pratico, dietro forme di aggressione ambisce a ottenere svariate forme di saggezza. Riflette quel gruppo di persone che vivono di un certo rigore, criterio morale, in una realtà cinica, materialistica, bigotta e provinciale di cui il denaro e il successo sono garanzia di felicità.
L’amore, gli affetti, i legami fungono da meri tentativi di contrapposizione a situazioni abiette, riprovevoli le cui anime a cui si fa riferimento sono un’occasione per stabilire un rapporto, confrontarsi stabilendo un “cifrario” di interpretazioni. Il matrimonio avrebbe si relegato la donna in un angolo, l’avrebbe oscurata da ogni cosa, ma allo stesso tempo a ritrovare se stessa in lievi schizzi di reazioni fuori misura. Tenacia e dedizione sono assetti del mio temperamento che mi hanno sempre distinto dalla maggior parte dei miei coetanei. Voglio dire, che a differenza di molti miei coetanei, ho sempre mostrato tanto fervido impegno verso i compiti, i progetti che mi prefisso, e mai mi sono sentita più decisa, più equilibrata a comportarmi diversamente quando la luce di un nuovo giorno filtrava dalla finestra della mia stanza, così contenta di imbarcarmi in nuove avventure e portarle avanti sin quando non avrei ricevuto un certo prodigio spirituale.
La letteratura, così come la scrittura, è una costante irreversibile, potente e straordinaria che da sempre contorna le mie giornate, adorna il mio spirito, pone la differenza fra ciò che reputo un semplice passatempo come fonte insostenibile e insostituibile in cui mi dibatto fra l’essere viva e morta, conferendomi vantaggi di cui sfrutto spesso bene. Grazie alle innumerevoli letture effettuate durante il corso della mia esistenza ho maturato una certa quietanza nel non tirarmi indietro dinanzi a niente e nessuno. Voglio dire, armarsi di pazienza mi ha da sempre donato il vantaggio di essere vicina a raggiungere un certo prestigio, quello in questo caso di leggere e vivere una storia che richiede di essere letta da tantissimo tempo, o di conoscere un autore di cui ho tessuto le lodi innumerevoli volte in passato e di cui questo romanzo è una irrimediabile lacuna letteraria che dovevo assolutamente colmare.
Meno ostico e complesso di Le ali della colomba, frasi ed episodi scritti con eleganza e chiarezza che mi hanno mostrato un mondo che sta lentamente andando a pezzi, Henry James credo abbia desiderato semplicemente che chi avrebbe intrapreso questa lettura comprendesse i meccanismi di cui è composto e di cui le protagoniste, Olive e Venera, in relazione a personaggi che sono membri appartenenti all’alta borghesia, sono superstiti di un naufragio cui si lotta per sopravvivere. Ho letto attentamente come aspirando a un certo tipo di libertà sarebbe stato possibile interpretare tutto questo, sciorinare sentimenti che coincidono con quelli dell’autore e di molte donne e uomini del secolo in cui domare gli istinti avrebbe comportato ad un equilibrio passionale ed emotivo che tuttavia non snellisce una storia fin troppo ricca di dialoghi, conversazioni in cui ho un po’ faticato a muovermi, a distinguere la mia voce in mezzo a un coro di suoni e frastuoni, che tuttavia non esula alcun limite o ostacolo alla libertà d’azione o pensiero.
Nel mentre ripongo queste poche righe penso che scrivere certi romanzi, riproporre certe tematiche che l’autore visse sulla propria pelle così bene credo che sia uno dei passaggi più complessi per enunciarle la sua magnificenza. Non solo ti costringono a porti delle domande, a osservarti con gli occhi di un altro, ma a rivelare forme di pensiero o dogmi e paradigmi che molto probabilmente non sarebbero mai state espresse se i sentimenti e l’emozioni avessero coinciso con l’ambiente circostante. L’offesa reca superbia mal celata dal disagio, la caducità della vita delinea orrori che fioriscono nei confronti di falsi valori. Rinnegare il mondo stesso equivale a resistere a qualcosa che avrebbe comportato a un buon uso delle cose. La delicatezza, l’intelligenza non avrebbero dovuto comporre alcuno, specie un’anima semplice. L’intelligenza e la cultura avrebbero dovuto adornarne lo spirito, la gioia avrebbe potuto essere riscontrata facilmente in sfumature di consapevolezza, di valutazione che avrebbero mostrato quella a cui si aspira veramente: una realtà autentica. La condizione sociale è così opposta, che come può mancare un terreno comune per trovare posto nel mondo, legato ad un agglomerato geriatrico, sorretto da un marchingegno in cui ci si sorprende unanimi in forme distorte di inquietudine, solitudine che acquistano un sapore amarostico, quasi d’attesa non conferisce nulla di solido, concreto, nonostante gli innumerevoli tentativi.
Una fievole luce che molti non riescono, o, non vogliono ravvivare. Incatenati a non poter seguire un sentimento, una passione onesta come una bellezza indefinibile che circondava l'aura lucente di ogni figura, in una terra ancora veduta e sentita in modo imperfetto, che mi si è stesa dinanzi come una terra promessa in cui l'amore per la cultura è confortato da un sapere senza fine.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
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