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venerdì, novembre 08, 2024

Gocce d'inchiostro: Viaggio al termine della notte - Louis Ferdinand Céline

Non fosse stato per il mio amore indissolubile per i classici, quell’insaziabile sete di curiosità che delle volte mi fa pagare il suo caro prezzo, non credo avrei letto e conosciuto una mastodontica opera come questa, nessuna di quelle fatiche ercolani intraprese e che mi vide impelagata per due settimane, sul finire del mese di settembre. Fatiche che, pur quanto abbia tentato di non lasciarmi trasportare dai sentimenti, è stato davvero difficile da comprendere. Non lasciarsi fagocitare dal sapore di una storia che ha tanto di oscuro, amaro, in cui la brutalità di uno scontro bellico esorbitante, come quello della Prima guerra mondiale, si mostrò esattamente per com’è: crudele, sverginata, irrimediabilmente oscena. E chi si approccia, chi decide di imbarcarsi in questa folle avventura, - non mi riferisco solo a chi legge, ma anche a quelle povere vittime che parteciparono in prima persona -, dovette fare poi i conti con ogni cosa. L’egoismo, la crudeltà, la paura, alimentando e dimostrando come innegabilmente si trattava di elementi che poggiano su una struttura ferrea, d’acciaio o di platino, ma abbastanza durevoli, di cui Celine fece testo mediante una riflessione sul senso della vita. Rendendosi conto come, analizzando ogni cosa, sarebbe stato possibile comprendere chi siamo. Nella solitudine del cuore, seppur si tenti di avanzare in luoghi da cui sembra impossibile uscirne, dona un’immagine cruda e vera della realtà. Inoltrandosi e perdendoci in un viaggio che ha a che fare con l’anima, con l’idea che la notte, così bella ed eterna, possa garantire qualcosa che solo la morte potrà conferire.


Titolo: Viaggio al termine della notte

Autore: Louis Ferdinand Céline

Casa editrice: Corbaccio

Prezzo: 20 €

N° di pagine: 564

Trama: A novant'anni dalla sua pubblicazione e a oltre sessanta dalla morte dell'autore, Viaggio al termine della notte si impone come il romanzo che ha saputo meglio capire e rappresentare il Novecento, illuminandone con provocatoria originalità espressiva gli aspetti fondamentali. «Céline è stato creato da Dio per dare scandalo», scrisse Bernanos quando nel 1932 il romanzo diventò un successo mondiale, suscitando entusiasmi e contrasti feroci. Lo «scandalo Céline», che dura tuttora, è la profetica lucidità del suo delirio, uno sguardo che nulla perdona a sé e agli altri, che ha il coraggio di affrontare la notte dell'uomo così com'è. L'anarchico Céline, che amava definirsi un cronista, aveva vissuto le esperienze più drammatiche: gli orrori della Grande Guerra e le trincee delle Fiandre, la vita godereccia delle retrovie e l'ascesa di una piccola borghesia cinica e faccendiera, le durezze dell'Africa coloniale, la New York della «folla solitaria», le catene di montaggio della Ford a Detroit, la Parigi delle periferie più desolate dove lui faceva il medico dei poveri, a contatto con una miseria morale prima ancora che materiale. Totalmente nuovo nel panorama francese ed europeo è stato poi il modo insieme realistico e visionario, sofisticato e plebeo con cui Céline ha saputo trasfigurare questa materia incandescente. Per lui, in principio, è l'emozione, il sentimento della vita: di qui l'invenzione di un linguaggio che ha tutta l'immediatezza del «parlato» quotidiano, capace di dar voce, tra sarcasmi e pietà, alla tragicommedia di un secolo. Questo libro sembra riassumere in sé la disperazione del Novecento: è in realtà un'opera potentemente comica, esilarante, in cui lo spettacolo dell'abiezione scatena un riso liberatorio, un divertimento grottesco più forte dell'incubo. Oggi il Viaggio, nella traduzione ormai classica di Ernesto Ferrero, scrittore particolarmente attento al «colore» dei linguaggi, si offre a nuove generazioni di lettori con l'intatta freschezza di un «classico» che non finisce di stupire per la sua modernità.

La recensione:


Ci venivamo, noi, a cercare a tentoni la nostra felicità che il mondo intero ci indicava con rabbia. Ci vergognavamo di quella voglia, ma bisognava pur farci qualcosa. E’ più difficile rinunciare all’amore che alla vita. Si passa il tempo a uccidere o adorare questo mondo, tutt’è due insieme.


C’era un maschio, un uomo adulto, quasi di mezza età, che camminava rifiutando di prendere parte a qualunque gesto di purificazione, di adattamento del mondo quanto entrando nel vortice, nella mischia di una persecuzione, uno scontro tendenzialmente noto come Mondiale, che ha da sempre gravato e inzuppato l’anima di molti, subendo in prima persona le angherie di chiunque. Alleati, compagni, ragazzi, uomini o donne,cittadini di una nazione che stava lentamento per evaporare, letteralmente, in quanto erano stati mossi i primi gas di scarico del regime tedesco,che in un momento imprecisato della loro vita si mossero prima con cautela nei territori più oscuri, nell’anima e nel cuore di molti. In effetti, la maggioranza di chi subì certe cose, di chi li visse in prima persona, esattamente come l’autore di questo racconto biografico, stette con Louis Ferdinand Céline, creatore dall’euforia melanconica, triste che tentò di ritrovare nel brio quella gioia feconda che evidenzia o sbroglia certe ingenue volontà. Non potendo però assaporare nemmeno la purezza dell’amore, falsificando ogni gesto, di tenerezza o compassione, mantenendo o abbruttendo ciò che ci si attacca addosso, come una seconda pelle. 

Nella sua colorata vita, Céline non fu mai solo. Lo spettro della guerra aleggiava attorno ai demoni del suo passato, nelle vie tenebrose di un presente che induce ad osservarsi allo specchio e riconoscere un'anima sciatta, sciamannata, riconoscibile in cui si cammina con tante altre anime che trascinano in ombre, buchi o squarci con ciò che ha a che fare con la materia intrinseca dei sogni, delle speranze. Tenendo duro, seguendo i principi fondamentali che rivestono un tipo di autorità che ha a che fare con la salvaguardia della propria identità, del proprio Io. Certo, sarà stato uno sforzo brutale, immane e demoralizzante, con fiumi di lacrime versate sul cuscino di notte, sogni di vendetta feroci e sempre più elaborati, disceso nel buio baratro scosceso della malinconia, in una grottesca fuga mentale in cui si vide buttarsi dall’orlo di un dirupo, in un viaggio bellissimo e indimenticabile generato dalle convulse raffiche di disprezzo per se stesso, per la vita, la guerra e ciò che appartiene, la segreta convinzione che il castigo fosse meritato perché era lui, lui così come ogni essere umano vivente, ad aver causato questi orrori. E restando con i fantasmi del suo passato, fece un viaggio che lo condusse lontano. Poiché è qualcosa che vibra di magia, di simbolismo. Un viaggio che è intrinseco all’anima nel quale, nelle maglie della notte, è possibile scorgere qualcosa di bramoso. Si finisce per raccontarsi ispirando e respirando nelle inquietudini, cercando nulla se non il vano, l’ineluttabile, piccole vertigini indirizzate << ai coglioni >>, come dice l’autore, rifugiandosi nella notte per scovare quella pace interiore illusoria dove tutto è benevolo, niente arriva al dunque e si realizza mediante tante altre cose straordinarie, meravigliose e gradevoli. Perché è nella notte che si torna sui propri passi, si fugge o volge le spalle a un presente insopportabile che bisognerebbe però sbeffeggiare, scoprire il futuro, dominare il presente, annientare il passato.

E questo accadeva in privato. In forme sofisticate di silenzio di un anima inquieta e instabili i cui pensieri rumorosi, negligenti costringono a dover porre una certa attenzione, stringere i denti per affondare nelle carni di un poema epico che è un soffio che si schiude nel cuore di grandi e nobili battaglie. Dicendo, anzi scrivendo, ciò che pensa, ma ingigantendo non volendo ammettere quelle pene del cuore a cui sembra non esserci cura quanto il piacere di provare compassione o pena vergognandosi di non essere ricco, giudicando l’umanità intrappolata in sfere anarchiche più basse di quel che sembra. Un poema eroico che mi ha conquistata solo dopo, dopo aver letto la prima metà, e poi necessitando di tornare indietro e ricominciare daccapo. Poiché ferita da quelle inavvertibili figure che seppur reagiscono combattendo resteranno estemporanei, precisi a camminare lungo una strada da cui non se ne scorge la sua fine. E l’arte, la poesia, a questo proposito, avrebbe evocato tutto questo intrappolando l’eternità su uno sfondo bellico come questo, operando violentemente dentro di noi dell'inafferrabile, nel nulla, in qualunque luogo in cui si tenta di scovare rifugio, la menzogna diviene indispensabile e suprema speranza. Una visione molto simile a quella nitchiana, non c’è che dire, in cui è delineato un universo senza morte e senza resurrezione. Senza mondo perchè si crede nell’azione, senza salvezza perché essa non è concessa a chi combatte, uccide o si agita vanamente per una causa priva di senso ma consapevole di essere insensato. Ma scovando forme di salvezza da qualunque inganno, qualunque forma di conoscenza che ridimensioni ogni cosa, limiti la portata smorzando lo slancio e la potenza.

Com’era tutto bellissimo ma terribile. Oramai sono passati parecchi anni dal periodo in cui si narrano le vicende che Céline custodì nel suo cuore come uno scrigno segreto, ma la cittadella del mio spirito cominciò a popolarsi nel momento in cui la voce rabbiosa del suo creatore giunse al mio orecchio, gruppi di francesi corrotti da forme pestilenziali, dai timori del freddo incuranti della crudeltà, dell’egoismo quanto aspirando a una fuga di massa verso l’assissinio collettivo. Ma Céline, orgoglioso brigadiere non poté fare della sconfitta una dimenticanza a ciò che lo fece crepare, morire senza capire fino a che punto gli uomini sono carogne. Perché l’angoscia, il rancore estinguono ed inducono gli uomini ad abbandonarsi in forme di confidenze in cui affluiscono i ricordi incorruttibili della gente, in un testo che è teatro di azioni drammatiche, strombazzando in condizioni pessime, infarcendo lungimiranza.

Il mondo è una landa desolata in cui non vi è spazio per la felicità, la verità assoluta. La fiducia di aggrapparsi a qualcosa che annienti questo sistema in cui la forza del più forte prevali sul più debole, si scorgono segni di una cultura retrograda. Forse Céline desiderava cogliere questo aspetto facendo di queste terribili memorie delle sublimazioni alla vita che tuttavia restano nascoste, celati agli occhi di molti ma non al cuore di chi li visse o li legge. Poiché la vita, quella di tutti, spesso inganna. Restituisce ciò che gli abbiamo chiesto, intrappolando in un limbo oscuro che ha le fattezze di un delirio di proporzioni gigantesche che non si possono fondere sull'esistenza di qualcosa di instabile.

Ingenuamente si confida nella bellezza, nella nascita di un nuovo divenire che tuttavia Céline smorza, mediante qualsiasi intento. Perchè se ci si aggrappa a se stessi possiamo guardarci dentro con gli occhi di un altro per comprendere chi siamo, rievocando da certe brutture la meraviglia e l’angoscia di un tempo quasi perduto e mai più ritrovato. Perché dinanzi a tutto questo non siamo altro che nullità, nullità che conferirono segretamente in un sonno eterno che potesse indurre alla dimenticanza, all’oblio ma avrebbe equivalso a una retrocessione, a una sconfitta, ad un urlo strappato dalla soglia morale della nostra anima che diviene tentativo di fuga alla realtà stessa.

Ho compiuto così, col cuore in tumulto e l’anima divisa in due, un viaggio che, seppur siano trascorse alcune settimane dalla sua lettura, continuo a pensarci. A ripensarci, a rivivere come se stesse scorrendo le diapositive di un film, un film terribile che racchiude nient’altro che le memorie di un uomo qualunque che tuttavia fece di questo romanzo un tentativo di fare i conti con la realtà. Sebbene il viaggio avrebbe confluito ad essere e divenire un buon surrogato per fuggire, redimersi da ciò che sembrava impossibile espugnare, nel timore, nel freddo abbraccio dell’angoscia e della sofferenza che ci si attacca addosso come << la rogna >>, ma che è intrinsecamente legato all’eternità, la durezza di un esperienza personale che delle volte casca nella malinconia più assoluta mediante i tentativi di calare o nasconderla. Infrangendosi nella modernità, frantumando ogni rimasuglio del mio corpo, impartendo un’idea di destino che adesso, dopo aver vissuto un’esperienza come questa, i suoi connotati sono decisamente cambiati. Nel bel mezzo del nulla è possibile scorgere qualcosa: che si tratti di speranza, di false illusioni o della semplice constatazione del nulla, non ha importanza. E’ importante, alla fine, ciò che resta. Il suo effetto, così lungo, straordinario molto più di quel che avevo previsto. Il cui cuore pulsante, è quello di un nobile combattente, di cui nobile tuttavia ha solo l’amore per la letteratura, che bramò la nascita di un giorno in cui avrebbe scaricato ogni cosa nel baratro delle nullità, lasciando campo libero ad una prospettiva di vita diversa, se non migliore, di questa.


Se la gente è così cattiva, forse è solo perché soffre ma è lungo il tempo che separa il momento in cui smettono di soffrire da quello in cui smettono di soffrire da quello in cui si diventa un po ' migliori.


Valutazione d’inchiostro: 5

4 commenti:

  1. Ciao Gresi, ho letto l'opera di Cèline e ricordo il pessimismo dell'autore verso l'uomo artefice di un mondo basato sul materialismo, sulla guerra, sulla miseria morale e materiale. Un'opera complessa che hai recensito con riflessioni profonde. Un classico che ancor oggi fa sentire la sua voce. Un abbraccio :)

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