Sotto un certo
punto di vista è vero; il mio approccio con i romanzi di Edward Carey non fu
entusiasmante. Dal principio una storia offuscata dai fumi e i gas di scarico,
imbevuta di una sorprendente aura luminosa intrisa ancora di nostalgia e
drammaticità. Eppure, rileggere il primo volume a distanza di anni, se faccio
un ragionamento logico, mi ha aiutato a rispettare solo una discendenza, quella
degli Iremonger, così spaventosamente orribilanti, puzzolenti, tristi, senza
nessuna considerazione per il mondo esterno. Ma questa notizia 6 anni fa non
aveva destato minimamente la mia attenzione non immaginando quanto di
straordinario ci fosse fra le sue pagine.
E straordinario è
anche questo secondo volume che, assimilato in un pomeriggio, col ticchettio
dell’orologio che emetteva un regolare tic tac e la casa immersa nel silenzio,
non potevo immaginare quanto fosse avvincente e straordinario. Magnetico,
magico, introspettivo, entusiasmante, che strizza l’occhio ai romanzi di Lemony
Snicket e ai suoi Sfortunati figli Bodelaieur.
Titolo: Foulsham
Autore: Edward
Carey
Casa editrice:
Bompiani
Prezzo: 18€
N° di pagine: 311
Trama: Foulsham, la
grande discarica di Londra, è sull’orlo del collasso. Le mura che contengono i
rifiuti stanno per cedere, la spazzatura straborda dall’alto per tornare nella
città da cui proviene. Negli uffici della famiglia Iremonger, nonno Umbitt,
accecato dalla sete di potere, ha trovato un modo per far assumere forma umana
agli oggetti di tutti i giorni e, allo stesso modo, per trasformare le persone
in carne e ossa in oggetti. Abbandonata nelle profondità dei cumuli, Lucy
Pennant è stata portata in salvo da una creatura terrificante, Binadit
Iremonger, più un animale che uomo. È disperata e decisa a ritrovare Clod. Ma,
a sua insaputa, Clod è diventato una mezza sovrana d’oro ed è ‘perso’. Viene
passato di mani in mano come denaro contante in giro per Foulsham, eppure lo
stanno cercando tutti. Potrebbe essere lui, infatti, il pericoloso Iremonger
che si pensa abbia il potere di far finire il regno di Umbitt. Nel frattempo,
però, in città gli oggetti, oggetti comuni, prendono vita…
Siamo uniti da un
amore oscuro. Siamo il suo opposto, il suo contrario. Lo reprimiamo. Lo abbiamo
soffocato quell’amore proibito. Forse non per nostra scelta, eppure è
così.
Le vicende dello
sfortunato e malaticcio Clod proseguono in questo secondo volume in maniera
alquanto sbrigativa, che nessun lettore avrebbe trovato la forza di non
renderlo così: in verità nessuno penso abbia potuto evitare di non
leggere Foulsham. Quanto a me, io ero stata invitata a Heap House.
Il resto dovevo vedermela da sola. Ero stata scelta e tirarsi indietro sarebbe
stato completamente inutile. Assicurando al mio essere un forte senso di
tranquillità, una pace interiore che non avvertivo da un mucchio di tempo e che
mi rese felice, anche se per poco tempo. Le pagine, la mole… nemmeno ci facevo
caso. Probabilmente intricata, avvinta fra gli ingranaggi di un marchingegno
letterario che ha vasti richiami alla letteratura vittoriana, dickensiana e
stickettiana, mentre il piccolo Clod sgomitava in mezzo a masse di carne
putrescenti, tristi, malconce, inermi, indifese persino fra i più ‘cattivi’, in
cui ci si affanna a scovare quella parte nascosta, sepolta, di noi stessi, in
mezzo a strati e strati di cumuli e marciume, nel cuore algido di figure ignare
della vita e del senso che essa spesso cela. Deplorando la loro fretta di
tornare in questo stato opprimente in cui si trovano, non facendo niente per
vivere diversamente, il cui Fato egoista e crudele si prende gioco di un
ragazzino che, sino a qualche tempo fa, faceva parte di questo marasma
putrescente.
Questo forte senso
di oppressione da parte di questi strambi personaggi conferisce un profondo
senso di dolore, incrementato dall’impossibilità di scovare una strada quando
non si aveva nemmeno la certezza di averne una, ma l’Io narrante in queste
pagine fu davvero sorprendente. Presentarci dapprima un ragazzino qualunque,
poi il suo dolce e tenero legame con la coraggiosa Lucy, rivelarci quel segreto
che frantumerà quella pace interiore che si ha fatto tanta fatica a costruire,
familiarizzato nella società del secolo e dalle casualità abitudinarie, mi ha
condotta ad essere oramai onnipresente. Spettatrice attenta e instancabile di
un paesaggio che brilla di originalità, una certa luce, sebbene l’aura
malaticcia che grava attorno, conoscendo chiunque, qualunque forma, oggetto o
persona con un certo trionfo, non è propriamente degna di una discendenza. È il
sogno letterario che ogni lettore, ogni amante della letteratura e dei buoni
libri che cova sin dal primo momento che si innamoró dei libri: forse se la
saga degli Iremonger l’avessi letta quando ero ragazzina avrebbe avuto maggior
valore per me più del suo stesso autore.
Rendendomi conto
che il mio amore per questa trilogia non cambia assolutamente, ma cresce
maggiormente, giorno dopo giorno, malgrado la lettura fervida di questo secondo
volume non vedo l’ora di trascorrere altro tempo con Clod e la sua amata Lucy.
In un certo senso queste figure, sebbene la loro eccentricità e
imperscrutabilità, sono entrati nella mia vita inaspettatamente, come una
lacrima trattenuta a lungo e ora scesa sulla guancia, mi ha scossa con raffiche
di brutte speranze, pochi ricordi, portandosi addosso la polvere delle
disgrazie accumulate sui loro logori abiti.
Qualche settimana
dopo l’arrivo del piccolo Clod, conseguirono giorni e giorni di spassionata
lettura, dedicandogli sguardi lunghi e affettuosi, accarezzando con le dita il
solido intreccio della trama, annusarne le pagine pur di inebriarmi della sua
esistenza. Un piccolo semplice rituale che ho continuato a praticare fra le
scalcinate mura di Heap House, trascinata in una palude scura che si sono
sovrapposte selvaggiamente a dense strisce nere. Un piccolissimo oggetto mi
aveva indicato la rotta come un navigante; dietro ogni oggetto, ogni minimo
particolare, avvolti in neri veli di fuliggine e fumo, ombre indefinite che mi
hanno impedito di avanzare egregiamente.
I miei pensieri al
riguardo furono parecchio contrastanti; non riuscivano a soffermarsi sulla
tragedia che pesa nel cuore di ogni personaggio, ma indugiarono su tutto ciò
che li circondava. L’infanzia del piccolo Clod, ad esempio, che è una lavagna
nera da riempire, è celata dall’ombra incombente di un grande dolore. Una serie
di sfortunati eventi che non hanno ancora una vera e propria nitidezza.
I romanzi di Carey
sono quel genere di romanzi che a me piace definire come ‘splendide letture
d’evasione’, che non brillano nella volta celeste per la loro bellezza
piuttosto per l’originalità del tema trattato. Non per il nostro giovane eroe,
bensì per un profondo e intraducibile senso di insoddisfazione. Indolenza.
Impotenza, che si trascineranno fin quando l’autore non metterà il punto
finale, affinché possa mettere a nudo una parte della sua anima a noi
completamente sconosciuta. Un opera radicata nel territorio dell’immaginazione
urbana e negli spazi urbani, in cui fa da sfondo una Londra distesa in una
cappa di fumo e marciume.
Valutazione
d’inchiostro: 4
Non conosco questo autore, questa trilogia, ma nonostante non sia del mio genere lo sai che mi hai affascinata? Chissà, intanto lo segno :)
RispondiEliminaP.s. Grazie per avermi fato conoscere Zia Mame, leggo di lei con entusiasmo già da qualche giorno e la adoro xD
Grazie a te, Maria! Sono davvero contenta di leggere questo 😊💖
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