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lunedì, maggio 04, 2020

Gocce d'inchiostro: Il castello - Franz Kafka

Cosa ho provato nel leggere Il castello di Franz Kafka, mi hanno domandato.
Sul mio volto è comparso un sorriso caldo e affettuoso, gli occhi lucidi che riflettono quella che non è stato altro che un’avventura straordinaria, che però ebbe la parvenza di qualcosa di provvisorio e antico, condotta qui senza che lo sapessi, sempre con calma e parsimonia. Avrò avuto ventuno o ventidue anni, quando conobbi lui e la sua dolce Milena. E per me fu amore a prima vista, un moto improvviso e prorompente di cui è stato davvero impossibile non farmi coinvolgere. E, dopo qualche anno, eccomi nuovamente qui. Questa volta dinanzi alle mura fatiscenti e maestose di un castello, isolato da tutti e da tutto, libero e indifferente da qualunque sguardo magnanimo. L’aura di mistero si fondeva con l’oscurità, e prima che me ne potessi accorgere mi trovai impelagata in una vicenda che pullula di personaggi che covano segretamente la speranza di poter trovare un posto confortevole, avendo la possibilità di << rinascere >> sia mentalmente sia spiritualmente.
Da un romanzo ad un altro, eccomi dunque giunta in questo bellissimo luogo che a mio avviso ha sfiorato l’eccellenza, con un’elevazione poetica e sentimentale che, malgrado le vicende oniriche, quasi surreali, in cui l’immaginario collettivo si immerge a tal punto nel trovare una specie di coesione fra uomo e uomo, è stato quel segno, quel simbolo mistico nel quale ognuno di noi è desideroso di elevarsi al possibile senza però trovare niente di lodevole. Sebbene ci si rischia di sminuire il prossimo, ma nel quale sogno e bellezza divengono qualcosa di sopportabile e << abituale >>> come fardello che pesa sulla nostra coscienza.



Titolo: Il castello
Autore: Franz Kafka
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 9 €
N° di pagine: 386
Trama: L’ultimo romanzo, incompiuto, di Kafka, la cui stesura ebbe inizio nel gennaio 1922 ( l’autore non ha ancora quarant’anni e ne mancano due alla morte per tubercolosi faringea ) e proseguì fino al settembre dello stesso anno. Non esiste una versione definitiva dell’autore che anzi dispose che il manoscritto fosse distrutto. Più che un romanzo “Il castello” si può definire un insieme di frammenti in cui il personaggio K, arrivato a un non – luogo, un misero villaggio immerso nel freddo, tenta di avvicinarsi alla meta, il Castello appunto. Sono frammenti di “vuoto”, “stanchezza”, “solitudine”, presentimenti di una non – vita che attende l’autore nei meandri dell’ultima meta.


La recensione:

Il mondo si corregge così, da se, durante ilo corso, e mantiene l’equilibrio. È un ordinamento eccellente, eccellente in un modo inimmaginabile, sebbene sotto certi aspetti sia sconfortante.

La mia nuova meta prevedeva un posto misterioso e oscuro, avvolto da un manto di tenebre ed ombra, la cui anima però è un espediente del tutto fotografico. Non una figura qualunque, bensì un luogo dal quale provengono e dipendono quel cammino mai raggiunto, quella strada mai imboccata per il raggiungimento della felicità, della libertà, in cui filosofia e fantastico si incontrano, si intrecciano, si avverte un certo sentimento di speranza, con una pienezza poetica, un originalità d’invenzioni creative che alla fine ne dipenderanno le sorti. Come le figure di questa storia, anche io sono rimasta a dir poco stupita da questa terra lontana quasi un canto proveniente da una terra lontana si fuse in qualcosa di avvolgente, travolgente, che mi sorprese per la sua aura misteriosa, il silenzio che attanagliò le mie fragili membra. Mi ero trovata a studiare quella che non è altro che l’allegoria di una ricerca infruttuosa, inesorabile, che Kafka costruì mediante un linguaggio artistico, faticosi ed esasperanti labirinti, approdando però nel nulla potendo però riconoscermi, specchiarmi, in pozzaghere di vicende che sono molto simili a quelle di chi conduce una vita comune.
Quella che molti vorrebbero lasciare o modificare, e affrontando l’esperienza bellissima come quella de Il castello riuscì a considerare questo posto come la mia casa. Sebbene il tono non sia stato sempre amichevole, bensì comico e inquietante che persistono, insistono nel ritrarre quella che è l’anima dell’intero romanzo. E, come tanti altri lettori prima di me, questa nuova << casa >> mi piacque davvero moltissimo. E sebbene mi avvicinai a questa lettura dopo qualche anno che languiva sullo scaffale, mi mise alla prova per riconoscere la grandezza di questo autore, e solo dopo aver letto le prime pagine riconoscere che si trattò di un ottima scelta e che questo fantomatico castello, situato in mezzo a casupole e baracche, era un posto assai migliore per parcheggiarsi per qualche tempo. Magari una spinta maggiore negli anni mi avrebbe aiutato a non procrastinare questo momento a data da destinarsi, ma è stato a dir poco vergognoso non poter concordare con coloro che lo avevano letto e tessuto lodi. Cosa mi impediva a non compiere questa lettura? Ma l’importante, come dico sempre io, fu che tale giorno avvenne e poiché avevo precedentemente apprezzato il bellissimo Lettere a Milena, è stato davvero impossibile non farsi coinvolgere da questo profanotore di solitudine, dal suo IO sradicato e disorientato, dall’idea di uomo preso da se stesso anziché dai suoi simili. E con gioia ho accolto questo mondo immerso nel silenzio, eccetto dal respiro, dal rantolo di figure che agiscono sempre dai margini, con tutte le sorprese e la confusione di alcuni momenti che conferì un aura stramba e contro natura.
Ma la bellezza racchiusa in queste pagine non fu affatto il viaggio di un uomo, K, in una terra straniera, in un luogo isolato dal mondo, appoggiato da simili che ripudiano però la sua presenza con sotterfugi e misfatti, ma l’unione di anime inquiete che camminano in questa stramba terra senza alcuna via di fuga pur di ottenere anche la minima parvenza di libertà, quella meta tanto agognata e mai ottenuta, mi sconvolse in maniera definitiva per la più significativa condizione che basa le loro esistenze, smettendo di essere semplici figure di carta bensì persone in carne e ossa. Figure che hanno esercitato un certo potere sociale, fautori di lavori estremi ma irresponsabili e poco consapevoli. Parte integrante di mutamenti e illusioni, incosapevolmente legati da un unico destino, ma irraggiungibili, incomprensibili descritti mediante parole raffinate e semplici in cui è prevalso un certo disagio, un certo desiderio di comprensione. Fino a quando non spiccheranno una serie di regole inderogabili sul loro modo di convivere in spazi comuni, slanci del cuore, moti di autentico e folle amore che sbucano dal nulla, camminando in gruppo cercando di raddrizzare qualunque aspetto negativo della loro vita che cozzano contro ambizioni, progetti.
In un sudario di oppressione e oscurità, punteggiato da piccoli sbaffi e volteggi, adornato da un sostegno poetico, lirico, quasi sentimentale, piuttosto raffinato ma grigiastro, Il castello fu quella bellissima allegoria, quella misteriosa chiave letteraria da cui è trasparito un non so che di magico, riservato, fine, triste, diverso.
I particolari del suo aspetto passarono in secondo grado, ma nella mia mente balenano ancora immagini splendide, come lo straniero nella notte che viene chissà da dove, ha danzato con ogni singola figura presente impiegando esclusivamente il suo tempo pur di raggiungere le sottili membrane del mio cuore.
Un’ondata di vicende straordinarie, quasi folli, saltarono agli occhi, dal nulla, in ordine sparso ma perfettamente nitide nel quale ho potuto scorgere la mia anima sposarsi perfettamente con quella dei suoi abitanti, aveva acquistato tratti ben definiti diventando pagina dopo pagina più avvincente, misteriosa e affascinante. Il castello, infatti, si potrebbe dire si tratti di quel romanzo epico, la storia di uomini comuni, attanagliati dal dolore i cui fili d’oro intrecciati così bene e che ne decorano una trama armoniosa e semplice si insinuò nel mio animo al punto di non poterne fare a meno. Mi pento ancora di aver rimandato per così a lungo questa lettura, e aggrappata morbosamente al mio taccuino personale, ritratto di un mondo che ha vissuto e respirato assieme a me. Obbligata a rimanere saldamente attaccata alla sua anima, in pagine in cui ho trovato conforto nella continuità della natura, nella stabilità del passato, nel potere che il cuore umano potesse alleviare le tribolazioni di qualunque artificio.
Valutazione d’inchiostro: 4+

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