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giovedì, ottobre 15, 2020

Gocce d'inchiostro: Strade di notte - Gajto Gazdanov

In una Parigi luminosa e scintillante, fra le fauci di un quartiere povero, in un gioco di luci e ombre, vecchio e nuovo, moderno e antico, persistono senza mescolarsi e senza nemmeno sfiorarsi mentalità antiche, quasi trecentesche che costituiscono l’anima di questo romanzo. Anno 1930. In un periodo non dissimile da questo, si osserva il mondo circostante desiderosi di comprenderlo a fondo, centellinandolo con disprezzo e pietà. Strade di notte reclamò la mia attenzione nel momento in cui me lo sarei immaginata, assediata da eventi immaginari e non che, man mano proseguivo nella lettura, divennero reali e che possiedono un fascino di cui la stessa realtà – quella vera – è priva. Con un certo dispiacere, lo ammetto, ho salutato il tutto, sebbene questo romanzo non era incluso nei progetti immediati ma faceva parte di una smisurata TBR di ottobre. E ora che ci sono stata, ora che è tutto concluso, mi sorprendo scrivere come ho nutrito un certo fascino, sin dal primo momento in cui vi misi piede. Non legatissima alla sua anima, ma coinvolta a tal punto che, presto o tardi, vorrò leggere qualcos’altro di questo autore. Per il momento, mi reputo soddisfatta di ciò che ho letto, di ciò che ho visto, e tornare alla vita quotidiana è stato parecchio traumatico. Ma ecco come l’atto di catturare il pensiero astratto su carta non mi concede nemmeno un attimo per pensare: sogno o realtà. Finzione o concretezza? La cupezza lirica di un poema decadente che mi ha attratto nel suo freddo abbraccio, fra la tragicità dell’assurdo e la potenza dell’esistenza.


 

Titolo: Strade di notte
Autore: Gajto Gazdanov
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 16, 50 €
N° di pagine: 238
Trama: Un tassista russo vaga per le strade buie della Parigi degli anni Trenta. È una Parigi misera e splendida, popolata da un sottobosco di personaggi ai margini: nobili decaduti, filosofi alcolizzati, emigrati afflitti da manie di persecuzione, prostitute che imparano la professione da frequentatrici del demi – monde finite in disgrazia. Sono animali notturni, le mille sfaccettature della disperazione umana. Incontri fugaci regolati dal caso, compagni di viaggio con cui condividere un pezzo di strada nell’inevitabile cammino verso la morte. Il tassista osserva, ascolta e si lascia trascinare nelle loro tragiche, insulse esistenze per sfuggire alla solitudine che lo attanaglia e all’amara consapevolezza della vacuità della propria vita, una vita priva di legami e di futuro, una vita da esule, da eterno viaggiatore in terra straniera.
 
La recensione:
Qualche lettura  veloce, ogni tanto, qualche isoletta su cui approdare in un mare infinito di colori, è sempre un buon appiglio su cui aggrapparsi. In attesa che il mio percorso con la famiglia Cazalet volga al termine – confido il più tardi possibile – mentre ripongo queste poche righe penso a come non ci pensai più di un istante a saltare a bordo di un taxi malconcio e sferragliante fin quando la macchina non si fermò davanti al vialetto di casa mia. Secondo il mio modesto parere, un romanzo come Strade di notte, per niente scevro di quelle tematiche usuali che popolano la narrativa moderna, gestisce un tipo di situazione che romanticamente parlando ho definito onirica. Anche se a me ha donato la sensazione che fosse stato il protagonista di questo romanzo a chiamarmi, ad indurmi in un sonno profondo, a seguire con attenzione le sue  nobili gesta, non escludendomi nemmeno per un istante, e illudendomi che partecipando a tutto questo alla fine ricevessi una certa soddisfazione. Il senso di vuoto, di solitudine, sarebbe stato colmato con un certo riscatto. Qualche pagina più avanti confermò come i miei presupposti non fossero del tutto vani, e che non sapendo cosa aspettarmi ho letto Strade di notte con la sensazione di snaturare i contorti meccanismi di vite costrette a vagare lungo la riva dell’assurdo, simultaneamente e parallelamente, nello spazio silenzioso dell’immaginazione, attraverso una melodia muta e lungo una galleria di volti umani simili a facce baluginanti, che su uno schermo luminoso scorsero all’infinito. Ricordi che prendono vita con la prepotenza di una necessità, fingendo di impersonare svariati personaggi che forse popolano solo la cittadella della coscienza del protagonista. Consegnata a una pila di drammi assurdi, impensabili, proiettati in un luogo che ha sempre destato il mio fascino e da cui ho visto come il tutto è calcinato, amorfo e atono. Purchè avvenga un certo cambiamento bisognerebbe mutare, ricreare mediante l’immaginazione, sebbene in maniera incerta  e vaga, qualcosa di assolutamente fascinoso e infinito che ha la durata di una soave melodia, si eleva in un lungo e rotto silenzio. Così sorda alle proclamazioni del popolo, parsimoniosa nel suo essere vero e non vero.
Quando mi imbatto in letture come queste riscontro quasi sempre delle difficoltà. Gran parte di ciò che vortica nella mia testa, pensieri che non hanno un senso se non per me stessa, mi consumano – letteralmente – poiché sorge la cruenta spontaneità, per non dire necessità, come succede quasi sempre, di andare a raccogliere le idee, durante un momento di assoluto silenzio, solitudine, nel quale il romanzo appena terminato mi appare come quella strada appena percorsa dalla quale io ne sono uscita stravolta. In Strade di notte, seppur la mole ridotta delle sue pagine, ho imparato molto dalle sue figure di carta e inchiostro, e dopo aver ascoltato la voce dolce e melodiosa di chi l’ha raccontata, ho appreso cose che prima ignoravo impunemente. Oppressivo, ammaliante, seducente, ammorbante, drammatico, denso e destabilizzante, Strade di notte è fondata in una grigia disperazione dell’anima di figure attanagliate dal passato, dai rimorsi di una vita che avrebbe potuto esserci, che fra i silenzi più sovreccitanti dell’autunno, ho udito fremiti, spaccature dell’animo, la gioia furiosa della vita. La perenne lotta per la sopravvivenza che funge da differenziazione fra il vivere e l’esistere.
Ciò che è ritratto in questo romanzo è lo sciorinamento di fatti di vita quotidiana che, come la bellezza di un sogno ad occhi aperti, sprona a lottare contro la sofferenza umana, esplorare il labile confine fra sogno e realtà. In faide personali fra speranze tradite e poi risorte, affinità fra una cerchia ristretta di individui che conducono una mera esistenza.
Ho partecipato a questo personalissimo percorso spirituale che, quasi come un pellegrinaggio, fu un processo di maturazione in cui la speranza, tradita e senza alcun miglioramento, mette in discussione qualunque forma di salvezza. Mi ci sono avvicinata con una certa curiosità, in una città di cui ho letto molto e visto poco in cui la realtà cozza con i sogni, i sospiri vani e implacabili di chi perseguita la libertà. Mentre nei pressi qualcuno ha deciso di raccontare questa storia, in un surreale dramma, memorabile per la profondità dei temi trattati, lo scompiglio generale di sentimenti che non hanno potuto coprire il frastuono di atti di eroismo o durezza, immobilizzati in un ambiente famigliare, onirico e luminoso.
Gajto Gazdanov si è preso la briga di emettere un certo ululato, che per molti è stato ammaliante. Certamente per me, che di questo autore non ne conosceva nemmeno l’esistenza e a dir poco portentoso, uscito dal rumore stesso della modernità, montato fino a raggiungere le crepe del mio cuore.
Valutazione d’inchiostro: 4

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