Titolo:
Il priorato dell’albero delle arance
Autore:
Samanta Shannon
Casa
editrice: Oscar Vault
Prezzo:
26 €
N°
di pagine: 816
Trama:
La casata di Berethnet ha regnato sul Reginato di Inys per mille anni. Ora però
sembra destinata a estinguersi: la regina Sabran Nona non si è ancora sposata,
ma per proteggere il reame dovrà dare alla luce una figlia, un’erede. I tempi
sono difficili, gli assassini si nascondono nell’ombra e i tagliagole inviati a
ucciderla da misteriosi nemici si fanno sempre più vicini. A vegliare
segretamente su Sabran c’è però Ead Duryan: non appartiene all’ambiente della
corte e, anche se è stata istruita per diventare una perfetta dama di
compagnia, è in realtà l’adepta di una società segreta e, grazie ai suoi
incantesimi, protegge la sovrana. Ma la magia è ufficilamente proibita a Inys. Al
di là dell’Abisso, in Oriente, Tanè studia per diventare cavaliere di draghi
sin da quando era bambina. Ma ora si trova a dover compiere una scelta che
potrebbe cambiare per sempre la sua vita. In tutto ciò, mentre Oriente e
Occidente, da tempo divisi, si è ostinato a rifiutare un negoziato, le forze
del caos si risvegliano dal loro lungo sonno.
La recensione:
Lo vedevo quasi ogni giorno,
ma i dettagli della sua intricata trama erano un mistero. Avevo riservato un
certo diniego, misto a una buona dose di repulsione, nei riguardi de Il
priorato dell’albero delle arance, una serie di eventi in cui i draghi
erano i protagonisti indiscussi. Questa mia improvvisa incursione, questa
recensione non dice ne toglie niente di nuovo da chi ha già letto il romanzo
prima di me, ma è la prova che ogni romanzo ha bisogno del suo momento per
raccontarsi, e se questo è stato il momento più propizio ebbene doveva essere
così. E le mie occasioni di leggere l’opera omonima di Samantha Shannon, in
media una o due in una manciata di mesi, dicevano il contrario, quasi tutte
indirizzate sulla lettura di altri romanzi, penso io, dove sorgono quei timori
o perplessità di cui faccio quasi sempre cenno, ma d’altronde ora che il
romanzo è stato letto, forse stavo cercando il momento giusto purchè mi
chiamasse e il destino aveva scelto i primi giorni dell’anno il cui tempo per
leggere ne avrei avuto a dismisura. Domande senza risposta, e poiché di draghi,
dei romanzi di Tolkien non ho mai letto niente, quantomeno non ciò che ritrae
la Shannon, il movente che mi indusse a recarmi in questo bel posto è ancora
per me sconosciuto.
Una manciata di giorni dopo,
con tante domande senza risposta, quasi sempre con un manipolo di personaggi
delineati perfettamente ma dotati di carne e ossa, l’orda di segreti, misteri,
avvenimenti fra mondi divergenti e spesso incrociati dall’arte di leggende,
rituali che richiamano alla mente gli antichi poemi classici, le tradizioni
arturiane, tutti quanti meccanici come se animati esclusivamente grazie all’autrice,
ragion per cui ognuno di loro, persino la protagonista mi sono sembrati tutti
uguali. Un'unica voce in un canto altisonante, come disgraziatamente mi
aspettavo, anche se di questo sospetto non ero sicura, e sebbene la Shannon li
delinea magnificamente non trascendono al di là del possibile e necessario. Eppure,
in tutto questo, c’è stato il piacere di trovarsi impelagata in una vicenda che
era partita col piede giusto, mi aveva imbrigliato in una rete di avvenimenti
che mi hanno sedotta nel loro incanto, ma smorzata dal piattume, la monotonia
di passaggi secondari che convergono in un epilogo frettoloso, insoddisfacente,
quasi banale che non solo non rende più spettacolare ciò che prima avevo
definito tale ma rappresentò ai miei occhi l’incarnazione di tutto quel che
confidavo di non riscontrare in questa lettura. Ma la presenza dei draghi, gli
accenni a Tolkien, che evito come la peste, palazzi sontuosi e lussuosi, regine
ansiose e gravide e un’avventura a specchio che rimanda il tintinnio di guerre
sopite dal tempo che nemmeno alla fine saranno proclamate, reclute che non
tolgono niente a regine coraggiose e avvenenti, particolarmente animato da una
folla di figure imbrattate di sangue, combattenti e persecutori di valori in
cui la libertà, il rispetto accrebbero il loro grado di appartanenza.
Molte scene dunque ma niente
di così memorabile da discostarlo da altri romanzi del genere, precluso però
nell’esaltazione di valori che si credevano perduti, e oltre a tali valori
niente contatti fisici, legami insondabili all’infuori di lotte perpetue per la
sopravvivenza. Ho rivisto Il priorato dell’albero delle arance sotto una
nuova prospettiva, in un ottica che rincasa doti in cui il predominio non è
arrestato da niente in particolare. A dispetto della prima parte, che era
partita bene e creò sentimenti di fascino, le parti successive mi crebbero alcune difficoltà, smorzando l’entusiasmo
iniziale. Eppure, in pieno marasma, ho aspettato pazientemente il colpo di
grazia, la promessa di pagare un pedaggio che avrebbe scontato la pena delle
quasi novecento pagine, un pedaggio che avrebbe imploso in un finale
sensazionale e indimenticabile ma che non è stato così. In realtà, il finale
non toglierà niente al resto della narrazione. Forse aggiunge qualche elemento
in più, ma nel complesso troppo poco soddisfacente da passare inosservato,
visto che mi ero lasciata alle spalle il mondo odierno in cui vivo.
In una stanza stipata di
volumi dai dorsi colorati e sfavillanti, io mi sono trovata sorpresa, smarrita,
ammutolita, attenta a dove mi avrebbe indirizzato una storia come questa. È bastato
compiere un piccolo gesto: aprire una finestra virtuale dall’aria luminosa e
vaporosa, volgere le spalle a una vita dai ritmi monotoni e lenti, collimare
ragione e sentimento con i punti di una lnea retta che uscirono dalla penna
invisibile stretta nella mano di un autrice che tirò i fili invisibili di
questa storia.
Il worldbulding in cui si
dipana la trama del romanzo, con le sue croste rocciose dorate, brillava dalle
pareti di uno strapiombo, alto, maestoso, con le sue guglie e arcate naturali. Soffermandomi,
volsi lo sguardo su una infinita distesa di bellezza, prigioniera al centro di
una magica ragnatela, oggetto di seduzione a cui non avevo alcuna intenzione di
resistervi. Eccetto dopo aver valicato la prima parte, puntando alla fine con
spasmodica fretta. Incapace di conferire un certo equilibrio a questo quadro
meraviglioso che ha abbracciato un mondo intero, non accettando nulla se non le
parole perfettamente adoperate contornassero figure che disgraziatamente sono
rimaste nient’altro che macchiette sullo sfondo.
Pur essendo un fantasy,
questo romanzo alla fine non mi ha lasciata completamente estasiata, né entusiasta,
emozionata o felice con un guazzabuglio di sensazioni che non avevo ancora
provato. Certi libri, infatti, nonostante alcuni aspetti positivi, non riescono
sempre a raggiungere il dolce sguardo di una creatura avida di storie che,
affetta da una strana fame, ha seguito con vigore l’incredibile sete di vita di
personaggi che avrebbero potuto sedurre e rovinato il mio animo. Ma trascinata
dall’incontrollabile strisciare del mondo, mi sono immersa a tal punto da volerne
interpretare gli elementi. Regalandomi una storia che non rileggerei, ma sono
contenta di aver letto.
Valutazione d’inchiostro: 3
Güzel bir yıl seninle olsun Gresi 😊
RispondiEliminaYeni Yılınız mutlu olsun ❤️
EliminaBella recensione, grazie
RispondiEliminaA te ❤️☺️
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