Pages

lunedì, febbraio 08, 2021

Gocce d'inchiostro: Concerto di una sera d'estate senza poeta - Klaus Modick

Gira e rigira, romanzi intensi e densi di contenuti approdano nel mio salotto virtuale con una certa cadenza. Ad ogni modo, e per fortuna, sino ad oggi non ne sono rimasta delusa, però mi manca lo slancio, l’ispirazione in cui confido per il suo approccio, quella scintilla di interesse che mi faccia leggere quel determinato romanzo perché mi affascina – o mi chiami, come piace definirlo -, anziché per << dovere >>. Questo romanzo, la cui copertina è già di per se bellissima, è stata una lettura molto bella che ho accolto con una certa diffidenza mediante una reading challange a cui sto partecipando da inizio anno. L’espediente è di conoscere, approcciarsi ad autori sconosciuti e non, inerenti a delle tracce, che promettono viaggi spericolati e mozzafiato da cui ne esco quasi sempre guasta. Da quant’è partecipo è stato così, e anche con il romanzo di Klaus Modick la sua lettura è stato meno facile del previsto ma denso, ricco di svariati punti di vista fra letteratura, arte e pittura, che riscrive il mondo di Rilke mediante l’occhio di poeta. Ci si accosta alla sua aura mistica, quasi inavvicinabile, disegnando nel nulla parole, caricando voci che hanno una loro figura, riproducono qualcosa di buon gusto e pregio. L’individuo è un essere senziente venuto al mondo forse perché ha completamente perso la sua direzione. Cosa fare per rinascere da un mondo così piatto e vacuo?

 

Titolo: Concerto di una sera d’estate senza poeta
Autore: Klaus Modick
Casa editrice: Neri Pozza
Prezzo: 15 €
N° di pagine: 240
Trama: All’inizio del secolo scorso a Worpswede, nel nord della Germania, si erge una dimora che, con le pareti bianche e le finestre chiare, spicca fra le tante fattorie tozze e cupe della regione. È circondata di rose e, soprattutto, di betulle e si chiama perciò Barkenhoff, la casa delle betulle. Dal tetto fino alle cantine, non c’è stanza né oggetto dell’edificio che non sia stato elaborato o modellato dal suo creatore: Heinrich Vogeler, il << principe azzurro di Worpswede >>, il re dello Jugendstil, lo stile nuvo che ha elevato ad arte l’ornamento; un giovane uomo che si aggira nelle campagne intorno alla casa in completo da bohèmien Biedermeir, con tanto di colletto rialzato e fazzoletto da collo, cilindo e bastone da passeggio. Vera e propria opera d’arte totale, Barkenhoff ha attratto presso di sé i maggiori artisti e letterati dell’epoca. Tra tutti, il poeta uniuto da un intenso sodalizio spirituale con Vogeler: Rainer Maria Rilke, il giovane Bohèmien che ha dato del filo da torcere a tutti a Worpswede, andandosene in giro con la camicia fuori dai pantaloni e declamando versi nella sua stanza, mentre picchiava sull’assito i suoi stivali rossi a ritmo indolente e irregolare. Invitato per l’Esposizione d’arte della Germania nordoccidentale, Vogeler è in partenza per Berlino, dove si presenterà nel suo travestimento da << principe azzurro di Worpswede >>. E la granduchessa o il granduca, con indosso l’uniforme di gala, gli consegneranno la Gran medaglia d’oro per l’arte e la scienza per il suo Concerto, un quadro celebrato da un esperto come un inno sonoro alla pace della sera, un momento di festa, di gioia di vivere meditativa. L’esperto non sa che l’opera rappresenta per Vogeler l’esatto opposto: una tragica assenza e un follimento. La tragica assenza è quella di Rilke. Il poeta, nel dipinto, avrebbe dovuto sedere fra paula e Clara, là dove si è seduto quando è comparso per la prima volta al Barenhoff, un genio enigmatico e precoce le cui parole e sguardi facevano struggere le due donne. Il posto, invece, è vuoto, in un’opera che sancisce deliberatamente la fine del sodalizio tra un artista e un poeta che non si limitava a poetare. Il fallimento è quello dell’intera famiglia del Barkenhoff, la comunità di artisti andata in pezzi quando le dolci parole del poeta, per il quale le donne erano amanti o, nella migliore delle ipotesi, muse, sono improvvisamente apparse solo come vuote ideologiche, prediche di un ciarlatano.

 

La recensione:

 

La vita vince qualsiasi arte, il quotidiano ricopre e soffoca tutto ciò che creiamo.

 

Questo romanzo ha sonnecchiato sullo scaffale di una libreria sin troppo piena per qualche tempo, comparso come dal nulla per un lasso di tempo e poi ricomparso, e ora che finalmente l’ho letto non avrei più voluto andarmene. Dato che non sono nelle condizioni di parlare di arte e pittura, le mie competenze non valicano le soglie di opere bellissime ma per me illeggibili, mi premuro a fare una proposta di ripiego: la vita, sebbene crudele e disgraziata, talvolta ci riserva delle piacevolissime sorprese. Possono essere più frequenti?
Non scriverei tutto questo sapendo come mi ci sono approcciata, ma la vita, come dicevo, talvolta ascende a momenti di grande gaiezza, a vette vertiginose che eccelgono per temi, stile o altro. Il romanzo di Klaus Modick conta un’infinità di bellezze, specchi da cui è possibile riflettere anime dilaniate, sofferte, e con il suo connubio con la letteratura concede a chi legge due o tre spunti in cui si osserva l’esistenza mediante altri occhi. Con le orecchie di un soprano che ascolta un rumore sonoro, soave, squarciante la cui delicatezza lirica lo distacca dal mondo quasi fosse proiettato in un altro tempo; con gli occhi della mente in cui non conta ciò che si vede ma ciò che si vuol vedere; con gli occhi materiali di ciò che adorna e completa inscenando un mondo integro, armonioso e adeguato. Con il suo vasto corredo di quadri, mostre e figure architettoniche investe su luminose rifiniture che ripongono lo sguardo su forme di vita lontana, pasata, un’amicizia sincera ma inavvicinabile, un maestro che si diletta a parlare di sentimenti mediante l’arte delle parole.
La lettura di questo romanzo, soprendente ed intensa, ha comportato vantaggi quali una magnifica osservazione della realtà come un opera d’arte in divenire, fattasi viva nell’immediato, un sogno bellissimo e intangibile isolato nella bellezza e nell’armonia, segnato dalla punta sottile e fine di un pennello invisibile che con i colori del mondo riversa su tela una sequela di scene che ad un tratto esplodono. Legati strettamente dalla vita, da qualsiasi forma distorta di arte, qualunque principio di scissione fra uomo e donna. E fra questo spandi e spendi, questa sfrenata opulenza di effetti colorati, sgargianti, non ho propriamente afferrato la sua origine. Da quale matassa contorta parta e si sbrigli, rilanciandosi su se stesso offrendosi come un’opportunità per conoscere il mondo, se stessi, immagini perfetti e speculari della realtà mediante cui è possibile modellare attraverso svariate forme.
L’autore dovrà essersi documentato per mesi, data la vastità di informazioni, gli innumerevoli dipinti, le bellissime poesie con cui è composto. Tutto ciò che a me è importato è che si trattava di una storia di amicizia interrotta, dell’amore intrinseco del rapporto che si cela fra uomo e natura, scimmiottando qualunque forma d’espressione che non avrebbero permesso una decisione ponderata.
I romanzi come questo mi affascinano al punto da non perderci tempo, nonostante il mio approccio sia stato piuttosto lento, a tratti sincopato, il percorso con un uomo che mentalmente ho definito << romantico >>.  La sua è una storia che è stata dipanata in maniera piuttosto contorta, fariginosa, solenne, quasi aulico che tuttavia non ha perso nemmeno per un secondo il suo smalto, contribuendo così a rendere questo romanzo una lettura davvero bella e indimenticabile. Concerto di una sera d’estate senza poeta mi indusse a restare saldamente ancorata alla realtà, ma, allo stesso tempo ad osservare il mondo circostante scrutando attentamente ogni minimo particolare. Osservando come essa sia stata raccontata, un elegia che è perlopiù un’esperienza di vita che deriva dalla stessa anima, così dannatamente profonda, intrinseca, malinconica, quasi tragica che mi ha spiazzato e spazzato via da qualunque evento, causa o situazione mi impedisse di vivere nell’epoca ritratta dall’autore. Non dunque una storia lineare, scandagliata fra presente e passato come un gioco di parole, bensì una radura di segreti, luoghi perduti e poi ritrovati, figure di diverso tipo che scendono a picco coprendo qua e là i cuori di chi legge prima che acquistino la consapevolezza di cosa accade e chi li circonda. Questo fornisce un’inattesa privilegiata svolta narrativa da cui ho guardato e osservato la villa su cui si snoderanno le vicende del protagonista. E fu da qui, mediante svariate prospettive, e quella di altre figure, che soggiornai tornando riluttante alla realtà in cui sono costretta a vivere.
Lo spettacolo è stato egregiamente splendido. Qualunque ritratto, qualunque poesia, prosa, vicende che sono macchie sgargianti che si intersecano fra di loro, hanno avuto un che di aulico e solenne. Uno sbaffo grigio contro il cobalto del cielo. E, nel bel mezzo di tutto questo, un amore inconcepible per l’arte, la pittura, i romanzi, la scrittura, il tempo della natura quasi distorta, che ha funto da portale a ciò che è effettivamente invisibile agli occhi. Non il tipo di letteratura a cui sono abitutata, ma caratteristiche di un racconto che ha lasciato un segno profondo nella mia anima, innovativo, memorabile che trascina in un mondo in cui niente sembra come appare. Al pari di altri romanzi, ho cercato nella sua storia un rifugio da cui ripararmi dalla monotonia del giorno, il lato letterario/ artistico resta pressochè intatto anche se prossima a svanire nell’etere.
L’aspetto straordinario di questo romanzo è stato il suo essere proiettato in uno spazio temporale che è discontinuo al mondo, alla realtà circostante, sicuramente dovuto dal modo in cui esso è stato raccontato. Un salto nel vuoto, il cui segreto si cela nel sapere cogliere o catturare su tela l’anima di un uomo che all’epoca fece storia, lo sguardo concetrato ma sognante di un paesaggio evanescente, bellissimo in cui l’anima è scivolata beata.

Valutazione d’inchiostro: 4

6 commenti: