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sabato, febbraio 20, 2021

Gocce d'inchiostro: Una pedina sulla scacchiera - Irène Némirovsky

La Nèmirovsky parla alla mia anima. Mi rendo conto quanto queste parole siano ricche di sentimentalismo, che non dovrei lasciarmi andare a inutili squinquiliglie, altrimenti non nutrei un così profondo affetto da quant’è che il suo primo romanzo giunse fra gli scaffali zeppi della mia libreria. Questo weekend, dopo aver fatto un salto nella libreria più vicina della mia città, mi sono accaparrata dei penultimi romanzi nèmirovskiani che ancora non possedevo, sparandomi di una di queste le sue pagine come se non ci fosse un domani. Totalmente immersa in un’atmosferma appiccicosa, soffocante, densa di significato, quasi in uno stato di illusione, innocenza in cui ingenuamente si crede che niente e nessuno potrà dissipare quei pochi averi che si possono avere assecondando così qualunque forma di vita del mondo. Al termine della lettura, i miei sentimenti erano contrastanti. Il mio cuore aveva preso una strada tutta sua; decisi che nel momento in cui avrei potuto concepire qualche idea di senso compiuto non solo per me stessa, avrei conservato una parvenza di normalità. Sarebbe stato l’unico modo per tenermi ancora stretta all’autrice pur di non perderla. Il suo ricordo perpetuerà nella mia coscienza e nel tempo, ignorando il fatto che di suo non ho più quasi nulla da leggere. Il forte sentimentalismo sciorinato con dramma e passione è uno degli elementi fondamentali della poetica nèmirovskiana, che non l’hanno resa particolarmente celebre dai più ma accresciuta da una forte stima di chi umanamente si vestì dei suoi panni. Io però valico il confine del semplice vestire d’abito; questa donna ha sortito un fascino irrinunciabile e indescrivibile per me, il che suggerisce che dalla mia amata Nèmirovsky potrò tornarvi quando mi pare e piace.


Titolo: Una pedina sulla scacchiera
Autore: Irène Nèmirovsky
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 174
Trama: All’era dei pirati della finanza e dell’industria, degli imperi economici costruiti sui campi di battaglia è succeduto lo scenario desolante degli anni Trenta: la borsa in caduta libera, la crisi, la disoccupazione, e “tutti quegli scandali ignobili, quei processi, quei tracolli privi di grandezza” … Come molti della sua generazione, Christophe Bohun non ha né ambizioni, né speranze, né desideri, né nostalgie. È un modesto impiegato nell’azienda che suo padre, il Bohum dell’acciaio, il Bohum del petrolio, è stato costretto, dopo un clamoroso fallimento, ad abbandonare nelle mani del socio. Si lascia svogliatamente amare da una moglie di irritante perferzione e da una cugina da sempre innamorata di lui. “E’ la pedina “ annota laNèmirovsky sulla minuta del romanzo “ che viene manovrata sulla scacchiera, che per due o tremila franchi al mese sacrifica il suo tempo, la sua salute, la sua anima, la sua vita”. Alla morte del padre, però, Christophe trova in un cassetto, bene in evidenzia, una busta sigillata: dentro, un elenco di parlamentari, giornalisti, banchieri a cui, nel tentativo di evitare il crac, il vecchio Bohun aveva elargito somme ingenti affinchè spingessero il governo ad accellerare i preparativi bellici. Riuscirà questo bruciante retaggio, questa potenziale arma di riscatto, e di riscatto, a scuotere Christophe dal suo “cupo torpore”? Difficile trovare un romanzo così puntualmente appicabile a temi e fatti di ottant’anni dopo.

 

La recensione:

 

“Va tutto bene; il mondo è buono, e anche se non lo fosse a cosa servirebbe recriminare? Bisogna rassegnarsi, chiudere gli occhi e non pensare, ecco, soprattutto non pensare…”

 

Ancora una volta ho avuto ragione. Una manciata di ore in compagnia di una delle mie tante autrici preferite, dopo essermi accaparrata con una certa fatica questo romanzo, avendo oramai stipulato un patto di sangue che la mia anima è completamente assuefatta alla sua, avendo vissuto una calda e rasserenante manciata di storie con amici vari, anime dannate che vagano lungo la riva dell’assurdo, mi sono convinta di essere davvero completamente affine allo spirito nèmirovskiano. L’autrice riposa silenziosamente dentro di me, così come Zafon, Murakami, Paul Auster, Philip Roth e che a dispetto della mia, la sua vita fu più complicata, sacrificata, sacrificabile rispetto a quella di tanti altri autori ottocenteschi, ma forse anche più ricca e stimolante, avendo oramai letto tutto di lei, avendo raggiunto il mio cuore, stretto fra le sue mani e non mollato mai più. Ed essendo tornata da lei, sul finire di questo secondo mese dell’anno, essendo tornata a leggere di figure che alenano a scovare una via di fuga, una via di salvezza che ci renda completi nonostante l’amore sia una costante. L’amore corrisposto per la persona amata non basta, dunque ci sia aggrappa a inutili fantasticherie che avrebbero rimpiazzato il denaro, l’assenza, l’incertezza, qualunque elemento che avrebbe indotto all’insuccesso, alla povertà, pur di ottenere una vita semplice, appassionante, placida, senza rimpianti e insoddisfazioni, liberi da qualunque forma di tirannia. Avendo oramai una certa esperienza, avevo compreso che quella di Christophe è una punizione << divina >> che è stato beccato in un momento particolare e insoddisfacente della sua vita, non rubando niente e nessuno ma sottratto dalla stessa felicità.
Nel periodo di assimilazione alle opere nèmirovskiane, nei sobborghi logori e puzzolenti di qualche strada parigina o ucraina, ogni romanzo dell’autrice si diradò dinanzi ai miei occhi come un nastro colorato in cui la drammaticità di certi episodi, proiettati su uno spazio temporale remoto molto simile al nostro, avrebbe riempito lo spazio circostante di elementi estremi d’identità e sopravvivenza. Se all’uomo fu sottratto del denaro non restava nient’altro che niente, poiché è un essere perduto che trova sfogo nel maneggiare un qualcosa che lo rende un essere supremo ma che senza sarebbe un essere nullo. Avvelenando comunque la sua anima semplice, qualunque forma di vita, sia essa buona che cattiva. Descrivendo il paesaggio circostante analizzandolo come osservandolo da una lente d’ingrandimento, paesaggi, cieli grigiastri che trasmettono la sensazione di camminare fra la nebbia o ascoltare il soffio del vento fra i rami, mediante monologhi provenienti dalla soglia morale di ognuno per diventare persone o almeno provare a capirle. Persone conosciute e non che, in una manciata di pagine, compongono modelli sintattici di vita, usano verbi intransitivi per sentiri i ritmi cruciali nelle ossa da dove nasce la vita con la v maiuscola. Una curiosa sequenza di scenette nate da figure che sono mosse da ideali romantici e persecutori di cui l’ottenere una certa gloria per la Francia con mezzi pacifici è un buon antidoto contro qualunque forma maligna. Con i loro occhi stanchi sembravano aver guadagnato qualcosa che scruti l’anima di chiunque, come se contemplassero dal profondo del loro cuore grandi tribolazioni, osservanze cui è impossibile non asservire. Vagheggiando in questa landa deserta non potendo sfuggire alla vecchiaia, alla malattia, ma desideroso anche di vincere per non rinunciare ad una vita piena di fatiche pur di ottenere qualcosa. La malinconia, il rimpianto di non aver potuto vivere come si deve, raffinato ma intimistico, drammatico e crudele tiene insieme un complesso perfetto gioco di richiami stilistici.. una curiosa sequenza di scenette nate da giochi di perversione, spostamenti da un luogho ad un altro, cambi di prospettiva, tradimenti, legami recisi e non, ore selvagge di vera e propria solitudine, si legge schiarendosi le idee ogni volta che Christophe era bloccato. Provocante ma scombussolante, come del resto ogni romanzo nèmirovskiano, che vuota l’anima. La riempie, per meglio dire, di una tristezza indicibile, sentimenti contrastanti che bruciano disgustati qualunque forma di bontà, comprensione. Come la maggior parte dei personaggi, non demordendo, ma sforzandosi di combattere malgrado i risultati alquanto deludenti, perché consapevoli che la loro unica speranza sta nel riporre forza, speranza che in un modo o nell’altro li avrebbero resi uomini migliori.
Il destino dei figli nèmirovksiani è quasi sempre lo stesso. Vivono, parlano e poi muiono, perché nonostante le fatiche e l’insoddisfazione per le pagine inerti che spesso trapelano, vivere gli procura una gioia indescrivibile, lo fanno sentire vivo come non mai, niente che eguagli la sensazione di annullarsi ed entrare nel grande mondo che fervono dentro parole che gli ronzano in testa. Un’inaspettato male, nonché sconvolgente forma di malvagità e crudeltà che con scoppio inconteninili di anime recise, si presta ad altri romanzi dell’autrice. Nonché piccoli squarci di anima che tendono la mano a chiunque, senza però comprendere appieno il vero significato di questo racconto che ha abbracciato me e la mia anima con il cuore colmo di amore, affetto, inevitabilmente. Quello ritratto in Una pedina sulla scacchiera è una situazine analoga a quella ritratta in David Golder, lontana da concetti o prototipi imposti dall’amore o dall’amicizia, proiettata su uno spazio crudele, egoista, terrificante che appesantiscono il tono serioso, scrupoloso, algido in cui si esige un’attenzione in più di un semplice atto di comprensione, qualcosa di più di un semplice rapporto abituale in cui ci si veste di mali che attanagliano l’anima fragile e devole. Si alena ad ottenere qualcosa che in un primo momento fortifica, ma poi distrugge.

Culla di un ritratto estremamente fedele e appassionante in cui ci si impegna di cancellare quei momenti di astio, povertà che attanagliano forme inespugnabili e che lentamente trascina sempre più nel basso, è un opera che mi ha lasciata con un forte senso di sconforto specie nel momento in cui Christopher otterrà la sua pace dei sensi. Nonostante gli innumerevoli tentativi di nascondersi dietro una corazza di freddezza e finto perbenismo, nonostante la volontà di dissipare qualunque forma di cattiveria; un acuta riflessione da cui si trae ispirazione dalla stessa vita, senza contare le innumerevoli esperienze che bisogna ancora vivere.


<< Vale proprio la pena di nascere, se nei brevi e pochi anni che ci è concesso di vivere ci auguriamo soltanto il sonno, l’oblio, la morte. >>

Valutazione d’inchiostro: 4 +

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