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martedì, febbraio 08, 2022

Gocce d'inchiostro: Il cuore vero - Sylvia Townsend Warner

Non importa se quel romanzo cui mi approccio è stato scritto da un uomo o da una donna. Non ho mai dato peso a questa cosa. Non ne ho mai creduto di importanza vitale. La letteratura in generale, credo, mi induce a farmi sentire parte di un mondo che effettivamente non mi appartiene ma che si mostra molto più confortante e ospitale di quel che credo. Succede con autori che amo, nei cui romanzi ho lasciato un frammento della mia anima. Succede anche con quelli che conosco per sentito dire, e che per un caso fortuito del Destino ti conducono a vivere la bellezza di sogni di inestimabile potenza. Capita talvolta, che in talune situazioni succeda che un romanzo a cui avevo riservato un certo interesse, bisogna adattarsi a ciò che ci viene mostrato. Non ho compreso francamente se mi sia piaciuto o meno, ancora adesso che ripongo queste poche righe, ma un parere bisogna pur esprimerlo. Perlomeno questo è ciò che sento, e del romanzo di Sylvia Townsend Warner esprimo che mi è piaciuto ma con tantissime riserve. E le ragioni sono facilmente riconducibili alle innumerevoli e dettagliate descrizioni, dal tono essenzialmente piatto, dall’incapacità della protagonista di spiccare il volo, restare sospesa e leggiadra come una piuma bianca in un epoca che disgraziatamente impediva ogni mossa. Non è molto bello, ma le nobildonne dell’epoca erano ingabbiate in un assetto storico e sociale e questa mancata libertà è talmente palpabile da indurre a sofferenza. Il richiamo alla tragica storia fra Amore e psiche, poi, conferisce un chè di nobile e sofisticato, all’immensità di desideri languidi che ci dovrebbero aiutare a scovare qualunque intento di felicità.


Titolo: Il cuore vero
Autore: Sylvia Townsend Warner
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 240
Trama: Nell’Inghilterra vittoriana Sukey Bond, appena uscita dall’orfanotrofio, viene mandata a servizio in una fattoria dell’Essex. Nulla di meno fiabesco, verrebbe da pensare. Eppure la scrittura obliqua e onirica di Sylvia Townsend Warner ci fa vivere, in questo romanzo una delle più enigmatiche ed emozionanti storie d’amore che sia dato leggere, ispirata ad Amore e Psiche. Perché nella fattoria lavora un giovane bellissimo ed elusivo, che nei loro rari, furtivi incontri guarda Sukey << con un’espressione di splendente trionfo >>. Tutti dicono che è un << idiota >>, ma Sukey lo vede solo << ilare e candido >>, nella consapevolezza che lei, e solo lei, potrà renderlo felice. E quando Eric verrà rapito, Sukey capirà che il suo futuro non è più << una regione inesplorata fatta di nuvole >>, e andrà a cercarlo con infinita determinazione: innumerevoli saranno le sue peripezie, al termine delle quali ritroveremo, miracolosamente, la fiducia nell’impossibile.


La recensione:

 

Siamo candele che non possono mai spegnersi con un soffio né estinguersi, e molti dovranno bruciare all’inferno per sempre.

 

Per la prima volta da quant’è che mi approccio ad un classico, mi scopro con l’anima irrimediabilmente ridotta in uno stato pietoso. Partì, nel bel mezzo dell’inverno, diretta in una località sconosciuta dell’Inghilterra, sul finire del 1800, in compagnia di una giovane donna che presto sarebbe divenuta la mia compagna, ma il cui viaggio rivelò delle tappe, delle caratteristiche il cui sapore non fu così buono come credevo. Voglio dire, fermata come in una locanda di legno solitaria e abbandonata a consumare un pasto caldo ho constatato che questo pasto fosse dal sapore così insipido, insulso, non proprio immangiabile ma quasi, che il cuore mi si riempì di uno strano senso di vuoto, sconforto mentre mi ingozzavo di qualcosa che sapevo non avrebbe cambiato sapore: lacrime di insoddisfazione, lacrime per aver creduto di leggere qualcosa che si rifà al mito di Amore e Psiche ( che devo ancora leggere ), ma che non rivela nient’altro che un certo distacco a qualcosa cui bisognerà fare i conti presto o tardi. Quasi immersa in un sonno che mi ha tenuta distante, che tuttavia ho interpretato con una concentrazione totale che per un momento ha soppiantato la malinconia, gli effetti negativi. Irrimediabilmente invischiata in una rete universale di sventure la cui anima complessa rispecchia quella dell’autrice, dalla personalità eccentrica, fuori dal comune, che proprio come Sucky ho faticato a comprendere. Forse perché proiettato in un’epoca in cui divenne sempre più esigente la necessità di scovare la libertà poiché ingabbiata e intrappolata in qualcosa di più grande di loro. Proprio come questa storia, e siccome di storie di questo tipo alla fine ti lasciano sempre addosso qualcosa che in un modo o nell’altro ti appannano l’anima, penso che l’intento dell’autrice non fu quello di raccontarci l’ennesima storia d’amore estratta da un mito quanto radicare quelle identità ricercate e quasi vane che sono a stretto contatto con la natura. Selvaggia, repentina, irruenta dal forte bisogno di sovversione.
Un luogo che sotto certi aspetti si è rivelato piacevole nonostante i paesaggi smorti, quasi secchi, in cui ci si muove con noncuranza in cui la mia anima ha potuto rannicchiarsi sul fondo di un mare oscuro calpestato da una bufera di sentimenti che tuttavia ha infuriato persino su di me. Il futuro è una guerra incerta, una regione inesplorata sulle cui gioie bisogna lavorarci raggiungendo una certa costanza senza alcun controllo. L’inquietudine si avvicenda al desiderio, al languido possesso di congiunzione alla persona amata in cui il poter riscattarsi da qualunque assalto incauto e inaspettato costringono a vagare come anime desolate senza poter condividere l’ardore che quasi invisibilmente infuriava nell’anima di Sucky.
Mentre i giorni dalla sua lettura trascorrono e mi scivolano addosso come la bellezza di un sogno, penso agli innumerevoli motivi per cui mi ci sono approcciata: mi incuriosiva il fatto che una storia dalla trama apparentemente bella non avesse suscitato nient’altro che dinieghi e perplessità. Perché all’inizio, l’esser proiettati in un orfanotrofio, dinanzi all’iniziazione di un percorso che avrei condotto insieme alla protagonista mi era parso affascinante adesso mi sembra così << adatto al contesto >>, e la protagonista che dovevo ancora conoscere e che non potevo interpretare adesso sembrava si coraggiosa, combattiva, forte ma priva di verve. Conoscerla dopo qualche pagina ha asserito come Sucky era quella piccola piuma bianca che si mosse con qualche difficoltà pur di spiccare il volo. Vibrare leggiadra, in un mondo che ti prostra in due. Quasi la stessa autrice ci confessò come dovette sentirsi quando lei era una giovane donna, nobile di nascita ma povera di valori affettivi.
E così andò che la sua lettura, così opaca e silenziosa, non ha luminato i corridoi bui della mia anima, ma sussurrata nel tempo davanti agli occhi del mondo, rispecchia l’idea dell’autrice dell’amore o del desiderio di un mondo in cui l’uomo è impossibilitato a vivere. Questa è una delle tante massime che compongono la produzione letteraria di un’autrice come la Warner, di cui al momento non credo leggerò altro, che osservando l’inutilità di un mondo fatto di cose grandi e piccoli di ricchi signori acutamente consapevoli del loro status sociale, fu protagonista di un destino incerto che la indusse a scoprire la natura delle sue opinioni e azioni in contrasto alle massime impartite, conferendo un ritratto carente della vita che respira in queste pagine. La vita vissuta con troppa calma, con molti aspetti pieni di banalità, arroganza e artificialità. E, a dargli coraggio sul campo di battaglia, a regalargli intelligenza o coscienziosità, a sospingerla verso un lento processo di scoperta verso se stessa e il mondo circostante fu un gentiluomo che da molti considerato stolto. Chiaro tentativo di difendere il senno e il ritegno per se stessa, rappresentandola in una sottilissima vena ironica, incarnata nella giovane Sucky, per nulla dissimile a quelle ombre che la circondavano, alla luce tremula di una candela, appollaiata sulle sue spalle - fiaccata dalle disuguaglianze sociali e da alcuni dogmi dettati dal cristianesimo, lucido ma piatto, convenzionale e ingenuo. Non quel poema amoroso, armonioso, sentimentale o seducente, piuttosto un moto lento e poco rassicurante dell’anima, involontario e silenzioso, che avrebbe potuto rendermi prigioniera delle stesse << colpe >> della povera Sucky. Zeppo di descrizioni e scevro di dialoghi, nonostante gli sforzi dell’autrice, l’intimità condivisa con il lettore è poverissima: c’è sentimentalismo, ma non sorretto da uno stile lirico e romantico. Tuttavia opera a cui ho riservato un certo fascino in cui ho trovato nozioni e concetti concerni al secolo, scevro di passione, sentimenti di autoaffermazione dell’anima, rabbia o follia, sciatto, impreciso, imperfetto destinato a divenire massima di vita, istinto e carne. Conseguenza dello spirito di consumarsi come una candela. Così triste e amaro, di cui la stessa autrice si fa alata e inavvicinabile. Raccontate non in prima persona ma costruita con eventi che le scombussoleranno la vita con prepotenza e impetuosità.

La compassione è estesa fino a comprendere l’intero campo di battaglia e abbraccia ogni cosa con un altera eccitazione.

Valutazione d’inchiostro: 3

2 commenti: