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domenica, aprile 03, 2022

Gocce d'inchiostro: Villette - Charlotte Bronte

Bello, talvolta, è una parola che esprime molto poco. Forse nemmeno lontanamente di ciò che il tuo cuore, la tua anima avverte, quando deve giudicare qualcosa o qualcuno utilizzando questo aggettivo. In certi casi significa che quell’oggetto, quella cosa o persona conferì qualcosa che mi colse del tutto impreparata e che mi infervorò così tanto, da migliorare anche solo un pochino la mia vita. Non mi reputo una persona attaccata alle cose, ma da certe letture capita di non aspettarsi niente e avere molto. Villette approdò sulla mensola della mia libreria quasi due anni fa, durante l’acquisto impulsivo dell’ennesimo giro in libreria, ma il tempo e lo spazio mi indussero a rimandarne il nostro incontro a data da destinarsi. Ma ora che ho potuto studiarlo, respirare fra le sue pagine, vivere di lei dipendeva innanzitutto dalla sua protagonista,, priva di quell’immaginazione eccitata e impressionabile di altre eroine brontiane, ma desiderose di muoversi in un contesto storico, politico e sociale che disgraziatamente cadrà nella ruggine dell’oscurità, ma desiderosa di scovare quella luce più luminosa ed evanescente che avrebbe reso il suo spirito più forte e speranzoso. Il peccato, la disillusione di forme più aspre e potenti, la debolezza delle illusioni avrebbero addolcito qualcosa che era sembrato malinconico, oppressivo, deprimente. La felicità era una forma distante e lontana di sopravvivenza, ma presto o tardi risplenderà su Lucy come dono divino conferito dall’anima. Avvalorandosi di forme simboliche, immerso in uno scenario ombroso ma ricco da cui sarà possibile scovare una via di fuga.


Titolo: Villette
Autore: Charlotte Bronte
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 14, 90 €
N° di pagine: 634
Trama: Quando Lucy Snowe ottiene il posto di istitutrice in un collegio femminile in Belgio, per la prima volta la fortuna sembra sorriderle. Orfana e indigente, timida e sgraziata, per la ragazza quel trasferimento oltremanica è l'occasione per lasciarsi i grigi sobborghi inglesi alle spalle e ricominciare da zero. Ma iniziare una nuova vita non è un'impresa da poco: arrivata a Villette - città immaginaria plasmata da Charlotte Brontë sul modello di Bruxelles -, in un ambiente che le è estraneo, senza parenti né amici, Lucy ci mette del tempo a superare l'iniziale spaesamento e a prendere in mano le redini della propria esistenza. Grazie alla propria forza di carattere, la giovane riesce a guadagnarsi la stima dell'autoritaria direttrice del collegio, Madame Beck, e a entrare in confidenza con suo cugino, il professor Paul Emanuel, un uomo gentile e brillante ma poco portato per la vita mondana a causa del suo temperamento focoso. E proprio nel momento in cui tra i due sembra essere scoccala la scintilla di un'intensa e tormentata storia d'amore, irrompe; sulla scena John Bretton, affascinante amico d'inlanzia di Lucy, che costringerà la ragazza a fare i conti con i dubbi e le scelte che s'impongono a ciascuno di noi quando cerca il proprio posto nel mondo. 

 La recensione:

 

Il pericolo, la solitudine, un futuro incerto non sono mali opprimenti finchè il corpo è sano e le nostre facoltà valide finchè, specialmente, la libertà ci presta le sue ali e la speranza ci guida con la sua stella.

 

La maggior parte delle opere scritte dalle sorelle Bronte sono stati da me letti in anni e anni di letture fervide e appassionanti, alcuni dei quali hanno scandagliato attimi di vita quotidiana, posti nel raggio d’azione fra modernità e quotidianità, una vita quasi sempre uguale a se stessa, periodi in cui mi osservavo con gli occhi di una me ancora ingenua e poco avvezza alle continue sfide della vita, la ricerca della felicità morale tramite imprese ad alto rischio come quelle in cui  mi sono spesso trovata  e che mi hanno permesso di maturare.
I classici, a lungo andare, sono divenuti una costante che non credo la loro bellezza si disperderà tanto facilmente, un mondo racchiuso in uno scrigno di segreti, misteri proiettato in un epoca che non è più la nostra ma che desidero viverci, rimpiattata in questo spazio come un intrepido animale prigioniera in uno zoo, che da dietro le sbarre osserva il mondo e si chiede chi avrà coraggio di allontanarmi da tutto questo.
Villette ha la verve di un bellissimo mondo classico inglese, mediante cui ho potuto osservare il fascino, l’eccitazione dell’imprevisto immersi in una tranquillità che conquista l’anima. Un po’ meno desiderabile a dispetto di Jane Eyre ma molto più di Shirley, libera di sguazzare in una landa desolata, deserta ma bellissima cui ho escogitato un piano per avvicinarmi, fargli il filo e conquistarlo, senza dover impelagarmi in situazioni in cui la memoria avrebbe portato a galla vecchie reminescenze. Avrebbe riportato al cuore vita calda e deliziosa, una realtà di un tempo che sembra essere stato disfatto, distolto, confuso, decomposto.
Una tela accurata, bellissima, romantica, una città cosmopolita in cui si avverte una certa diversità fra plebe e popoli insolenti e falsi, che su uno scenario acquoso, luminoso, un carattere sentimentale, onirico, surreale, così sincero, ardente e letale per gli incauti sussulti del cuore, in questo romanzo diviene sempre più forte l’esigenza di scovare quella scissione fra lotta e coraggio, ribellione e rassegnazione
In Villette, l’azione si muove mediante l’introspezione dei personaggi … si personaggi, al plurale, che quasi tutti sono legati sentimentalmente a forme di vita o convenienza che in un certo senso si oppongono alle convenzioni del secolo, fuggendo da qualunque forma di serenità o armoniosità. L’Inghilterra era prigioniera e soggettata dal regime napoleonico. Chinque, qualunque agricoltore o coltivatore vagano lungo il sentiero insidioso della vita con nient’altro che sentimenti forti di insoddisfazione morale, un certo disagio a non poter modificare il corso del tempo, sfiaccati e sfiniti, logorata da forze che ostacolano qualunque forma di progresso o ripristino. Il tutto proiettato in un epoca così remota, velata da un’oscurità tanto indefinita che ogni parvenza di consuetudine e ogni confine di laicità sfugge a qualunque forma di comprensione. Creature che sono morte nel momento in cui la stessa autrice fu consapevole di essere rimasta sola al mondo che coincise con la consapevolezza che l’Inghilterra stesse avviandosi verso il declino più totale, sebbene qualcosa di essenzialmente balsamico avrebbe potuto favorire ogni cosa. Disseminato come una miniera di risorse e piccoli ed essenziali tesori, Villette si rifà ad alcuni aspetti della Sacra Bibbia. Basta lasciarsi andare. Comprendere ciò che è celato ai nostri occhi, darsi tempo, stare seduti senza poter fare niente ma pregare che qualunque forza suprema possa contrastare ogni impurità, che può scaturire in una rivolta, in dettami stupide e rigide che diventano specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più bisogno di andare altrove. Questo romanzo ha funto esattamente da miniera: leggerlo è bastato per comprenderla.
Coinvolta nella quotidianità di questa cittadina in cui – me ne resi conto solo dopo – avrei trascorso più tempo. Uno di quei luoghi apparentemente invalicabili da trovare su carta che mi indussi a fiondarmici mediante una catena infinita di casi che fanno il destino come una serie di opportunità.
Mettere su del materiale per scrivere un ritratto della storia della letteratura inglese era un esempio per comprendere il passato e alcune nozioni del mondo circostante, sbarcando in Inghilterra, coinvolta nel dramma di questo disgraziato paese, finendo vittima di Rivoluzioni violente e inaspettate. Lucy e la catena di eventi che la impelagheranno in situazioni inavvicinabili e crudeli, che ho avuto il piacere di conoscere ampliamente, non aveva un carattere spavaldo ne vivace. Per gran parte della sua vita aveva sonnecchiato in solitudine, fin quando qualcosa e qualcuno la sollevarono dal suolo come un’alveare circondato in cui le forme vaghe sprofondarono come nebbia leggera e vaporosa. Il raggiungimento di svariate forme di indulgenza, che nascondono una grande oscurità: una necessità di cimentarsi in qualcosa, di correre dei rischi, trovarsi sul filo del rasoio.
In vicende che sono uno squarcio realistico e sociale, attorno a gruppi di funamboli insoddisfatti e combattivi per la realizzazione di ideali che avrebbero fatto della loro esistenza espedienti per corrodere il passato, un romanzo che abbraccia la religione, la forza dei sentimenti in un epoca che poteva essere afflitta, da un momento all’altro, dalla sofferenza.
Di un certo spessore, di una certa importanza, una bellissima lettura che mi ha travolto lentamente, mediante squarci dell’anima che la sua autrice ha ripercorso mediante un processo a ritroso. Lasciando così, nell’anima di chi legge, un solco profondo del suo passaggio, meritando così una certa importanza.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

2 commenti: