Delle volte credo di essere pazza. Si,
forse lo sono. Sono una pazza che ama i libri, la letteratura. Ama inebriarsi
di storie che in un certo senso non le appartengono, ma sono uno specchio in
cui può riflettersi la sua anima semplice e appassionata. Lo so. I libri, più
di qualunque altra cosa al mondo, mi fanno questo effetto. È una malattia
incurabile che negli anni si è intensificata maggiormente. Sono consapevole di
ciò e anche di come, nel tempo, come e dove mi abbia portato. È nato un
sentimento e poi è divenuta passione, ossessione. Mi ci sono persa nel magico
mondo delle parole, e da lì non ho più voluto sottrarmi. Da questo magico
mondo, la mia libreria vanta ancora qualche romanzo non letto. Storie di autori
conosciuti e non che mi hanno percorso l’animo, in un momento imprecisato del
loro acquisto compulsivo, indifferente della loro potenza. Ma ecco che, qualche
anno fa, precisamente prima che nascesse la Pandemia, mi misi in gioco e decisi
di smaltire la pila della vergogna. Sarebbe stato un percorso lungo, ma… chi se
ne importa? L’importante era raggiungere il mio obiettivo. Valicare il
traguardo. Tanti romanzi sono stati letti da quel giorno a adesso. L’altro giorno
fu la volta di un romanzo di Roth, ora di un’autrice di cui quasi un anno fa
conobbi mediante la lettura di un romanzo che era per me sconosciuto. Questo invece
si mostrava più forte, più insidioso di sentimenti ed emozioni umane da sembrare
quasi un gesto di comprensione ai più sensibili, e quando la dolce Mary
raggiunse il mio cuore ogni cosa fu più chiara. Una volta incontrata non le
avrei mai più potuto volgere le spalle, se non avessi scoperto cosa mi avrebbe
riservato. Il risultato? Assolutamente straordinario, triste ma zeppo di
sentimenti in cui il cuore ha goduto del pathos, della forza che anima i cuori
dei personaggi dell’autrice. Mossa nel bel mezzo di gruppi di anime che mi
hanno fagocitato nel loro insieme.
Così passano i giorni e le tanto attese sono giunte anche per me. Adesso che ripongo queste poche righe, sono nel loro vigore, ma voi che le leggete, non se ne scorge più nemmeno l’ombra. Succede che, ad un certo punto, in una banalissima mattina di metà agosto, fui chiamata da Elizabeth Gaskell. Prima fu la volta del suo intensissimo e bellissimo Mary Barton, ora di Ruth. Era da tempo che languivano sui miei scaffali, e credo che questo fosse il momento più che ideale per lesinare del tempo a mia disposizione. In fin dei conti, leggo ogni cosa che compro. Si tratta solo di questione di tempo e non reputo necessario relegare in una zona remota certe letture. Certe storie che, una volta, mediante aperte, non sono semplici racconti quanto mondi di inesprimibile bellezza. Valuto la necessità di viverci al loro interno, scandagliare ogni momento in loro compagnia e ponderare tutte le conseguenze, i pro e i contro. E, in questo caso, non aver preso in considerazione l’idea che la vita che stava sbocciando era così opaca, quasi amorfa, ma trattata con estrema cura. L’uomo non dovrebbe lasciarsi irretire dal peccato quanto adempiere a compiere buone azioni, mediante cui l’autrice rifacendosi alla parabole del Nuovo Testamento fissa dei temi particolari di cui persino l’uomo moderno dovrebbe prestare fede. Parabola umana estremamente sensibile e drammatica che annienta qualunque intento maligno e recriminoso.
Titolo: Mary Barton
Autore: Elizabeth Gaskell
Casa editrice: Elliot
Prezzo: 19, 50€
N° di pagine: 378
Trama: A Manchester, negli
anni dell'Inghilterra vittoriana, vivono due famiglie proletarie: i Barton e i
Wilson. Mary Barton, orfana da poco della madre, lavora come sarta, abita col
padre John, fervido sostenitore dei movimenti sindacali, ed è corteggiata sia
dall'onesto e affettuoso Jem Wilson che dal ricco e insidioso Henry Carson. La
volontà di emanciparsi economicamente, una punta di vanità e la paura di
diventare una delle tante "donne perdute" del tempo portano Mary a
non accettare l'affetto sincero di Jem per assicurarsi un matrimonio più solido
con Henry. Una scelta che le costerà cara...
La recensione:
Adesso mi sembra che ci sia sempre
stata. La letteratura classica, specialmente quella inglese e russa, è il posto
in cui tutto per me ha un suo respiro, gemito, inizio, senza la quale non credo
di poter essere ciò che sono. Quando nacque questo intenso amore non sapevo
nemmeno l’esistenza di certi luoghi, di Thomas Hardy o le sorelle Bronte, di
guerre napoleoniche o di prigionieri che si fingono morti per poi vendicarsi e
appropriarsi di tutto ciò che il tempo e le avversità gli sottrassero, una
lattante che arrancava carponi nel bel mezzo di storie fantasy che adesso sono
divenute del semplice e puro svago, e all’età di quasi trent’anni il mio bagaglio
culturale vanta di un discreto numero di classici letti nel giro di un decennio
a cui ho dichiarato il mio assoluto amore tanto tanto tempo fa. Ogni volta che
mi domandano quali siano i veri motivi per cui amo profondamente i classici – e
la letteratura contemporanea americana -, è semplicemente perché in questo
mondo riesco a condividere i miei pensieri, a rispecchiarmi nell’anima di
svariati personaggi mediante cui condivido e vedo le medesime cose che avrei
voluto vedere. Ma credo sia così per ogni qualsiasi lettore ama rifugiarsi fra
le pagine di un libro. Ci si lascia trascinare dall’inesorabile strisciare del
mondo, allontanandoci a tal punto da non saper distinguere la realtà dalla
finzione. Credo che non ci sia niente di male in questo. Le nostre vite e
quella di svariati personaggi sono guidate secondo schemi specifici che non possiamo
controllare, e senza di essi non resterebbe assolutamente nulla. Le cose svaniscono
nel momento in cui queste figure cessano di respirare, esistere, e in verità io
muoio e rinasco ogni qualvolta apro e chiudo una storia.
A maggio sarà trascorso oltre un anno da che Elizabeth Gaskell approdò nel mio cerchio personale. Una donna di nobili origini che tuttavia fece dei suoi romanzi atti di compassione, disamine sociali e culturali in cui la suddivisione in classi sociali costringe a porsi con diffidenza, con avversione nei riguardi del prossimo. Il gemito della fame induce alla fpovertà, a soffrire, a non riscontrare alcuna possibilità di salvezza. L’associazione fra lavoratore e padrone non avrebbe portato a niente di nuovo, e rispondere alla volontà di una guida consapevole e nobile avrebbe distrutto qualunque atto di compassione e giustizia.
Mary Barton, dai toni bassi e continui, fu quel genere di lettura che francamente non credevo potesse ammaliarmi così tanto. La spiegazione arrivò nel secondo paragrafo, cruda e senza preamboli. La sua autrice districò le vicende di questa giovane ragazza, sfortunata ma forte e coraggiosa, alle prese con i mali incurabili della vita, a combattere qualunque avversità, in cui si alena un forte desiderio di rivalsa ma di cui disgraziatamente non se ne scorge nemmeno la parvenza. Niente di così diverso da altri classici in circolazione, ma districato nei bellissimi e soleggiati campi del Manchester in cui la bellezza della natura, la forza delle passioni e dei sentimenti avrebbe provocato una serie di piccoli attimi di felicità. Troppo dolore, troppe sofferenze da digerire in una volta sola: la povera Mary camminava sul sentiero insidioso della vita con la costante paura di restare sola al mondo. Sebbene suo padre, John Barton, garantiva forza e salute. Eppure il propagarsi di tanto dolore, con tutti i pericoli impliciti per chi avrebbe potuto considerarlo come un male per lo spirito, catena di piccoli fatti assurdi, di coincidenze miracolose, di avvenimenti e di persone che ritornano e poi svaniscono, è stato talmente contagioso che gli oggetti inanimati sembravano dotati di una qualche magia. Poiché non esiste alcuna differenza fra ciò che è vicino e ciò che è lontano, e chi legge si sente legato a ogni cosa entro i limiti del possibile. Eppure il fascino che ho riservato a queste pagine è stato innegabile. Come con altri romanzi, in cui mi sono sorpresa a scoprirmi completamente a pezzi, prima ancora di averlo letto. Ho provato struggimento, dolore, sofferenza per questa sfortunata ragazza, le sue aspirazioni trascendentali, basate inconsciamente sulla visione geocentrica delle cose, contorta febbrilmente per la natura opprimente di un'emozione gettata sui nostri cuori da una crudele legge naturale: un'emozione che ho atteso, ho desiderato.
Solenne e superstiziosa fantasia inglese, caso fantasmagorico di voci e volti, di vaghi e possenti fantasmi corporei apparsi nel minaccioso silenzioso della notte, Mary Barton è stata un’altra bellissima distrazione realistiche, tragica e amorosa che richiama alla mente le tragiche commedie shakespeariane, penetrato al punto tale d'immergermi in uno stato fra il fascino e lo sconcerto.
Ritratto umano terribilmente realistico e coinvolgente di protagonisti intrappolati nel lungo limbo delle convenzioni sociali, che incorrono esclusivamente l'ideale dell'uomo forte, libero, capace di vedere la netta differenza fra verità locale e verità universale, quella della Gaskell è una complicata visione che custodisce gelosamente la visione di una giovane donna in relazione a sfere politiche e sociali. Moto perpetuo dell'universo, ragione accidentalmente intrufolabile, creata apposta per impedire che il Bene possa valicare il Male. Unica dimensione in cui è semplicissimo riconoscersi, assistendo alla nascita di sentimenti realistici ma poco forti, quasi illusori, sospeso nell'avverso universo come uno splendido megalite, e che scopre la sua protagonista perdutamente insoddisfatta di ciò che la circonda. Devastata nell'anima e nel corpo. Creatura piena di poesia, poesie tradotte nella realtà, i cui cuori ardenti lottano contro una sola povera coscienza, bramosi, inteneriti e un po' folli che vegliano sulle sorti di uno sconosciuto che prima ignoravano spudoratamente, ma che adesso rappresenta la vita.
Una storia che è stata raccontata con la consapevolezza di recare sofferenza, capace di logorare dall'interno lo spirito di chiunque. Suscita un’empatia naturale, risvegliando zone assopite nel fondo della coscienza, e che ci parla di gesti sconsiderati e folli uniformemente negativi.
Dramma seducente e romantico che mi ha resa prigioniera delle stesse colpe, degli stessi peccati dei protagonisti. Un’opera raffinata, delicata come un tulipano, che non lo fa sembrare un romanzo, piuttosto una proiezione in cui si provano più sofferenze che gioie.
A maggio sarà trascorso oltre un anno da che Elizabeth Gaskell approdò nel mio cerchio personale. Una donna di nobili origini che tuttavia fece dei suoi romanzi atti di compassione, disamine sociali e culturali in cui la suddivisione in classi sociali costringe a porsi con diffidenza, con avversione nei riguardi del prossimo. Il gemito della fame induce alla fpovertà, a soffrire, a non riscontrare alcuna possibilità di salvezza. L’associazione fra lavoratore e padrone non avrebbe portato a niente di nuovo, e rispondere alla volontà di una guida consapevole e nobile avrebbe distrutto qualunque atto di compassione e giustizia.
Mary Barton, dai toni bassi e continui, fu quel genere di lettura che francamente non credevo potesse ammaliarmi così tanto. La spiegazione arrivò nel secondo paragrafo, cruda e senza preamboli. La sua autrice districò le vicende di questa giovane ragazza, sfortunata ma forte e coraggiosa, alle prese con i mali incurabili della vita, a combattere qualunque avversità, in cui si alena un forte desiderio di rivalsa ma di cui disgraziatamente non se ne scorge nemmeno la parvenza. Niente di così diverso da altri classici in circolazione, ma districato nei bellissimi e soleggiati campi del Manchester in cui la bellezza della natura, la forza delle passioni e dei sentimenti avrebbe provocato una serie di piccoli attimi di felicità. Troppo dolore, troppe sofferenze da digerire in una volta sola: la povera Mary camminava sul sentiero insidioso della vita con la costante paura di restare sola al mondo. Sebbene suo padre, John Barton, garantiva forza e salute. Eppure il propagarsi di tanto dolore, con tutti i pericoli impliciti per chi avrebbe potuto considerarlo come un male per lo spirito, catena di piccoli fatti assurdi, di coincidenze miracolose, di avvenimenti e di persone che ritornano e poi svaniscono, è stato talmente contagioso che gli oggetti inanimati sembravano dotati di una qualche magia. Poiché non esiste alcuna differenza fra ciò che è vicino e ciò che è lontano, e chi legge si sente legato a ogni cosa entro i limiti del possibile. Eppure il fascino che ho riservato a queste pagine è stato innegabile. Come con altri romanzi, in cui mi sono sorpresa a scoprirmi completamente a pezzi, prima ancora di averlo letto. Ho provato struggimento, dolore, sofferenza per questa sfortunata ragazza, le sue aspirazioni trascendentali, basate inconsciamente sulla visione geocentrica delle cose, contorta febbrilmente per la natura opprimente di un'emozione gettata sui nostri cuori da una crudele legge naturale: un'emozione che ho atteso, ho desiderato.
Solenne e superstiziosa fantasia inglese, caso fantasmagorico di voci e volti, di vaghi e possenti fantasmi corporei apparsi nel minaccioso silenzioso della notte, Mary Barton è stata un’altra bellissima distrazione realistiche, tragica e amorosa che richiama alla mente le tragiche commedie shakespeariane, penetrato al punto tale d'immergermi in uno stato fra il fascino e lo sconcerto.
Ritratto umano terribilmente realistico e coinvolgente di protagonisti intrappolati nel lungo limbo delle convenzioni sociali, che incorrono esclusivamente l'ideale dell'uomo forte, libero, capace di vedere la netta differenza fra verità locale e verità universale, quella della Gaskell è una complicata visione che custodisce gelosamente la visione di una giovane donna in relazione a sfere politiche e sociali. Moto perpetuo dell'universo, ragione accidentalmente intrufolabile, creata apposta per impedire che il Bene possa valicare il Male. Unica dimensione in cui è semplicissimo riconoscersi, assistendo alla nascita di sentimenti realistici ma poco forti, quasi illusori, sospeso nell'avverso universo come uno splendido megalite, e che scopre la sua protagonista perdutamente insoddisfatta di ciò che la circonda. Devastata nell'anima e nel corpo. Creatura piena di poesia, poesie tradotte nella realtà, i cui cuori ardenti lottano contro una sola povera coscienza, bramosi, inteneriti e un po' folli che vegliano sulle sorti di uno sconosciuto che prima ignoravano spudoratamente, ma che adesso rappresenta la vita.
Una storia che è stata raccontata con la consapevolezza di recare sofferenza, capace di logorare dall'interno lo spirito di chiunque. Suscita un’empatia naturale, risvegliando zone assopite nel fondo della coscienza, e che ci parla di gesti sconsiderati e folli uniformemente negativi.
Dramma seducente e romantico che mi ha resa prigioniera delle stesse colpe, degli stessi peccati dei protagonisti. Un’opera raffinata, delicata come un tulipano, che non lo fa sembrare un romanzo, piuttosto una proiezione in cui si provano più sofferenze che gioie.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
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Titolo: RuthAutore: Elizabeth Gaskell
Casa editrice: Elliot
Prezzo: 22 €
N° di pagine: 476
Trama: Autrice di romanzi di successo, amica di Charlotte Brontë e di molti altri scrittori della sua epoca, Elizabeth Gaskell ha da sempre occupato un posto d'onore all'interno della letteratura femminile vittoriana. In questo romanzo, la scrittrice narra la vita di Ruth, una giovane orfana che lavora come sarta. Quando la ragazza conosce l'aristocratico Henry Bellingham, la sua vita cambia: da lavoratrice umile e onesta si trasforma, agli occhi della società, in una fallen woman, una donna perduta, sconveniente e compromessa, che qualche tempo dopo darà alla luce un figlio illegittimo, avuto proprio dalla relazione con Bellingham. Inizia così un percorso di espiazione e perdita, di difficoltà e rinunce, di fragilità e forza. Perché Ruth vuole dare a suo figlio una vita migliore e non si scoraggia, nonostante il passato la perseguiti ovunque vada. Ruth è un romanzo commovente e di grande impegno sociale, attraverso cui l'autrice di "Cranford. Il paese delle nobili signore" si confronta con i temi complessi della condizione femminile e della perdita di status, che costringeva molte donne a vivere ai margini della società. Introduzione di Francesco Marroni.
La recensione:
E’ meglio non aspettarsi niente e non fare calcoli sulle conseguenze del nostro comportamento, più vado avanti e più me ne rendo conto. Bisogna semplicemente compiere azioni giuste, senza pensare ai sentimenti che provocheranno negli altri.
A un certo punto, scoprì Elizabeth Gaskell. Autrice celebre del romanzo vittoriano, di cui io francamente non conoscevo prima, se non che l’anno scorso mi intestardì a volerla conoscerla con la lettura del romanzo Cranford. La Gaskell fu celeberrima, una grande donna dal forte carisma i cui temi riposti in pagine e pagine di riflessioni politico/sociale attraversano un secolo che non è più nostro ma che non è stato difficile rispecchiarmi. Mi fu comunque possibile che il momento in cui Ruth giunse nel mio personalissimo cerchio, la pila della vergogna diminuisca sempre più: sembra impossibile che quelle pile svettanti di romanzi comprati d’impulso, anni e anni fa, in svariati momenti della mia vita, siano ora quasi tutti letti. Pian pianino completerò questo progetto, e questa fu la volta di Ruth, poiché la sua sorella di carta, Mary Barton, aveva emesso il suo flebile e dolce canto già qualche settimana fa. E, per quanto Thomas Hardy sia per me ineguagliabile e inimitabile, la Gaskell e le sue eroine di carta possiedono qualcosa che me lo ricordano. Piccoli indizi che vagliano ogni apparente contraddizione del cuore, collocati in una verdeggiante brughiera o fra i campi soleggiati di un villaggio, nel cuore di personaggi dal forte carisma ma a cui non riesco mai a legarmi. Pur quanto ben saldi nella mia mente, la loro figura è così nitida che potrei persino disegnarla, privi di quell’introspezione tipica dei romanzi dell’autore inglese, del forte pathos, dell’amore ardente, del desiderio irrinunciabile di legarsi a qualcuno, per non parlare della bellezza di paesaggi che già su carta sono opere d’arte. Hardy e la Gaskell hanno in comune un certo riguardo per l’estetismo, forme di sofisticata bellezza a cui fanno scopo tratti severi e rigogliosi, la desolazione del paesaggio circostante con la solitudine del cuore, la sofferenza e il dolore compresi esclusivamente da Dio.
Di Ruth, comunque, esattamente come Mary Barton, non ne conoscevo nemmeno l’esistenza. Sulla mensola della mia strapiena libreria mi attende ancora Nord e sud, che leggerò sicuramente prestissimo: tante pagine, volumi corposi che racchiudono storie drammatiche e bellissime che non possono non lasciare un segno del loro passaggio. E, anche Ruth, nella sua forma angelica e pura, giunse al mio cuore con l’irruenza di un abbraccio, la forza di un amore illusorio e quasi illogico, la coscienza che annegava in fiumi di moralità e persecuzioni che mediante la parola di Dio avrebbe rischiarato il nostro cammino. Bisognava solo non lasciarsi intaccare dal Male, dal peccato, compiere gesti e azioni buone che, se perpetuate nel tempo, ci avrebbero rilasciato un posto speciale in Paradiso.
Ruth non aveva abbastanza esperienza per comprendere il peccato e dove esso fosse nascosto. Alla sua età, piccola adolescente di sedici anni, mettere al mondo un figlio e ritrovarsi su due piedi sola, ripudiata da tutto e tutti, muoversi da un posto a un altro con passo incerto, in un disordine arbitrario e di ampio respiro, scoprì che pur quanto abbia tentato di contrastarlo il Male aveva bussato alla sua porta. E lei lo aveva accolto, arrancando a passi incerti verso una strada da cui non sembra non esserci via d’uscita. Forse, il suo aver adempiuto a forme di sofisticata bellezza, gesti caritatevoli dettati dal cuore, avrebbero indotto a conservare le forze necessarie per contrastarlo, dove bisognava badare a tenersi in equilibrio prima e dopo.
Ho sostato sulla soglia, ai bordi dell’anima di questa storia che ha la parvenza di una litania, osservando il tutto come se guardando da uno specchio. Il Galles era un paese dotato di una splendida lucentezza, di una felicità eterna che rese il tutto piuttosto amabile in cui la forza delle passioni, la bontà d’animo albergano in anime semplici e sfortunate. E, in tutto questo, la perenne sensazione di dover affrontare l’immagine di una me ingenua e solitaria di tanto tempo fa. Semplicemente, Ruth è la sedicenne che ha albergato in me quando ero adolescente. Ma fortunatamente un po’ più giudiziosa a legarsi ad un uomo maturo e sconosciuto, nel giro di qualche settimana, in cui la questione di un figlio sussistette ogni cosa. Eppure, non ho potuto non immedesimarmi nelle sue sventurate pene, amorose e famigliari, in cui l’emozioni suscitate sono state intense ma non forti da sconvolgere il mio universo personale. Ruth, nonostante mi abbia ricordato Tess, era una figura completamente diversa che condivise il peso di portare fardelli più grandi di lei stessa. Ma mentre Ruth si lascerà andare a complicazioni e nefandezze affidandosi esclusivamente al buon Dio, Tess le contrasterà annientandole, abbracciando persino la morte. Tanta famigliarità in questo specchio politico e sociale in cui l’uomo assomiglia un po’ a un animale: supremo, forte, irascibile e impossibile da annientare. Si, fedele all’immagine che le donne avevano del marito o del compagno che alla fine resteranno incastrate.
Ruth, dai toni bassi e continui, fu quel genere di lettura che francamente non credevo potesse ammaliarmi così tanto. La spiegazione arrivò nel secondo paragrafo, cruda e senza preamboli. La sua autrice districò le vicende di questa giovane ragazza, sfortunata ma forte e coraggiosa, alle prese con i mali incurabili della vita, a combattere qualunque avversità, in cui si alena un forte desiderio di rivalsa ma di cui disgraziatamente non se ne scorge nemmeno la parvenza. Niente di così diverso da altri classici in circolazione, ma districato nei bellissimi e soleggiati campi del Galles in cui la bellezza della natura, la forza delle passioni e dei sentimenti avrebbe provocato una serie di piccoli attimi di felicità. Troppo dolore, troppe sofferenze da digerire in una volta sola: la povera Ruth camminava sul sentiero insidioso della vita con la costante paura di restare sola al mondo. Sebbene i suoi cari fossero morti parecchio tempo fa.
Il fascino che ho riservato a queste pagine è stato innegabile. Come con altri romanzi, in cui mi sono sorpresa a scoprirmi completamente a pezzi, prima ancora di averlo letto. Ho provato struggimento, dolore, sofferenza per questa sfortunata ragazza, le sue aspirazioni trascendentali, basate inconsciamente sulla visione geocentrica delle cose, contorta febbrilmente per la natura opprimente di un'emozione gettata sui nostri cuori da una crudele legge naturale: un'emozione che ho atteso, ho desiderato.
Altra bellissima distrazione realistica, tragica e amorosa che richiama alla mente i romanzi hardyana, penetrato al punto tale d'immergermi in uno stato fra il fascino e lo sconcerto.
Ritratto umano terribilmente realistico e coinvolgente di protagonisti intrappolati nel lungo limbo delle convenzioni sociali, che incorrono esclusivamente l'ideale dell'uomo forte, libero, capace di vedere la netta differenza fra verità locale e verità universale, quella della Gaskell è una complicata visione che custodisce gelosamente la visione di una giovane donna in relazione a sfere politiche e sociali. Moto perpetuo dell'universo, ragione accidentalmente intrufolabile, creata apposta per impedire che il Bene possa essere contrastato dal Male.
Altra bellissima distrazione realistica, tragica e amorosa che richiama alla mente i romanzi hardyana, penetrato al punto tale d'immergermi in uno stato fra il fascino e lo sconcerto.
Ritratto umano terribilmente realistico e coinvolgente di protagonisti intrappolati nel lungo limbo delle convenzioni sociali, che incorrono esclusivamente l'ideale dell'uomo forte, libero, capace di vedere la netta differenza fra verità locale e verità universale, quella della Gaskell è una complicata visione che custodisce gelosamente la visione di una giovane donna in relazione a sfere politiche e sociali. Moto perpetuo dell'universo, ragione accidentalmente intrufolabile, creata apposta per impedire che il Bene possa essere contrastato dal Male.
Di Ruth, comunque, esattamente come Mary Barton, non ne conoscevo nemmeno l’esistenza. Sulla mensola della mia strapiena libreria mi attende ancora Nord e sud, che leggerò sicuramente prestissimo: tante pagine, volumi corposi che racchiudono storie drammatiche e bellissime che non possono non lasciare un segno del loro passaggio. E, anche Ruth, nella sua forma angelica e pura, giunse al mio cuore con l’irruenza di un abbraccio, la forza di un amore illusorio e quasi illogico, la coscienza che annegava in fiumi di moralità e persecuzioni che mediante la parola di Dio avrebbe rischiarato il nostro cammino. Bisognava solo non lasciarsi intaccare dal Male, dal peccato, compiere gesti e azioni buone che, se perpetuate nel tempo, ci avrebbero rilasciato un posto speciale in Paradiso.
Ruth non aveva abbastanza esperienza per comprendere il peccato e dove esso fosse nascosto. Alla sua età, piccola adolescente di sedici anni, mettere al mondo un figlio e ritrovarsi su due piedi sola, ripudiata da tutto e tutti, muoversi da un posto a un altro con passo incerto, in un disordine arbitrario e di ampio respiro, scoprì che pur quanto abbia tentato di contrastarlo il Male aveva bussato alla sua porta. E lei lo aveva accolto, arrancando a passi incerti verso una strada da cui non sembra non esserci via d’uscita. Forse, il suo aver adempiuto a forme di sofisticata bellezza, gesti caritatevoli dettati dal cuore, avrebbero indotto a conservare le forze necessarie per contrastarlo, dove bisognava badare a tenersi in equilibrio prima e dopo.
Ho sostato sulla soglia, ai bordi dell’anima di questa storia che ha la parvenza di una litania, osservando il tutto come se guardando da uno specchio. Il Galles era un paese dotato di una splendida lucentezza, di una felicità eterna che rese il tutto piuttosto amabile in cui la forza delle passioni, la bontà d’animo albergano in anime semplici e sfortunate. E, in tutto questo, la perenne sensazione di dover affrontare l’immagine di una me ingenua e solitaria di tanto tempo fa. Semplicemente, Ruth è la sedicenne che ha albergato in me quando ero adolescente. Ma fortunatamente un po’ più giudiziosa a legarsi ad un uomo maturo e sconosciuto, nel giro di qualche settimana, in cui la questione di un figlio sussistette ogni cosa. Eppure, non ho potuto non immedesimarmi nelle sue sventurate pene, amorose e famigliari, in cui l’emozioni suscitate sono state intense ma non forti da sconvolgere il mio universo personale. Ruth, nonostante mi abbia ricordato Tess, era una figura completamente diversa che condivise il peso di portare fardelli più grandi di lei stessa. Ma mentre Ruth si lascerà andare a complicazioni e nefandezze affidandosi esclusivamente al buon Dio, Tess le contrasterà annientandole, abbracciando persino la morte. Tanta famigliarità in questo specchio politico e sociale in cui l’uomo assomiglia un po’ a un animale: supremo, forte, irascibile e impossibile da annientare. Si, fedele all’immagine che le donne avevano del marito o del compagno che alla fine resteranno incastrate.
Ruth, dai toni bassi e continui, fu quel genere di lettura che francamente non credevo potesse ammaliarmi così tanto. La spiegazione arrivò nel secondo paragrafo, cruda e senza preamboli. La sua autrice districò le vicende di questa giovane ragazza, sfortunata ma forte e coraggiosa, alle prese con i mali incurabili della vita, a combattere qualunque avversità, in cui si alena un forte desiderio di rivalsa ma di cui disgraziatamente non se ne scorge nemmeno la parvenza. Niente di così diverso da altri classici in circolazione, ma districato nei bellissimi e soleggiati campi del Galles in cui la bellezza della natura, la forza delle passioni e dei sentimenti avrebbe provocato una serie di piccoli attimi di felicità. Troppo dolore, troppe sofferenze da digerire in una volta sola: la povera Ruth camminava sul sentiero insidioso della vita con la costante paura di restare sola al mondo. Sebbene i suoi cari fossero morti parecchio tempo fa.
Altra bellissima distrazione realistica, tragica e amorosa che richiama alla mente i romanzi hardyana, penetrato al punto tale d'immergermi in uno stato fra il fascino e lo sconcerto.
Ritratto umano terribilmente realistico e coinvolgente di protagonisti intrappolati nel lungo limbo delle convenzioni sociali, che incorrono esclusivamente l'ideale dell'uomo forte, libero, capace di vedere la netta differenza fra verità locale e verità universale, quella della Gaskell è una complicata visione che custodisce gelosamente la visione di una giovane donna in relazione a sfere politiche e sociali. Moto perpetuo dell'universo, ragione accidentalmente intrufolabile, creata apposta per impedire che il Bene possa essere contrastato dal Male.
Ritratto umano terribilmente realistico e coinvolgente di protagonisti intrappolati nel lungo limbo delle convenzioni sociali, che incorrono esclusivamente l'ideale dell'uomo forte, libero, capace di vedere la netta differenza fra verità locale e verità universale, quella della Gaskell è una complicata visione che custodisce gelosamente la visione di una giovane donna in relazione a sfere politiche e sociali. Moto perpetuo dell'universo, ragione accidentalmente intrufolabile, creata apposta per impedire che il Bene possa essere contrastato dal Male.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
Mi sa che non sono andate tanto bene ste letture, eh? Ottime recensioni, grazie
RispondiEliminaAl contrario, mi sono piaciute tantissimo ;)
EliminaPensa che io ho iniziato ora a smaltire la pila della vergogna xD La Gaskell però non la conoscevo!
RispondiEliminaPian pianino ce la farai ❤️ nemmeno io, e te la consiglio caldamente ❤️
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