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giovedì, aprile 06, 2023

Gocce d'inchiostro: Le quattro casalinghe di Tokyo - Natsuo Kirino

Le casalinghe a cui fa cenno questo romanzo, il titolo per la precisione, che avrebbe dovuto donare l’immagine di donne incasinate e intrappolate fra quattro mura domestiche, in parte, è veritiera. Attinente all’anima di questo romanzo, ma, per puro scopo commerciale, protagoniste di questa storia non sono altro che umili lavoratrici che disgraziatamente marceranno di fronte a uomini egoisti e misantropi, ma nessuna di loro intenzionate a lasciar penetrare nel tempio nascosto della loro sacra femminilità, e anche supponendo che potesse avvenire un miracolo del genere, con una svolta decisamente netta. Come si saranno sentite dinanzi a tutto ciò? Quanto avrebbero faticato per ottenere ciò che più desideravano, con queste figure malvagie non sarebbero mai potute essere completamente libere se vigevano sotto la loro autorità, ma tanto l’amore, in questo caso, non aveva importanza, e l’unico rimedio sarebbe stato quello di attingere a quella forza prorompente che dominava il loro animo sforzandosi e rischiando. Le uniche figure di sesso femminile, che ho visto, anzi letto, sino ad oggi, che hanno potuto reagire, dinanzi all’incontrollabile strisciare del mondo. In questo romanzo, lo si fa non nel modo migliore, ma il lato positivo in tutto      questo – se lo si vuol trovare -, è che queste donne cambieranno ogni cosa. Il mondo si capovolge, svanisce ogni tentativo di asservimento, l’anima resa quasi come un rinfresco che conduce lontano, in un Giappone attualissimo ma crudele, in cui io non ho potuto fare a meno di stabilirmi e respirare insieme a loro.


Titolo: Le quattro casalinghe di Tokyo
Autore: Natsuo Kirino
Casa editrice: Neri Pozza
Prezzo: 15 €
N° di pagine: 652
Trama: La pazienza di Yaoyoi, della dolce e graziosa Yaoyoi, si è rotta oggi improvvisamente come un filo. Nell'ingresso di casa, davanti alla faccia insopportabilmente insolente di Kenji, il marito che ha dilapidato tutti i suoi risparmi, Yaoyoi si è tolta la cinghia dei pantaloni e l'ha stretta intorno al collo del disgraziato. Kenji ha tentato di afferrare la cintura, ma non ne ha avuto il tempo. La cinghia gli è penetrata subito nella carne. È stato buffo vedere come il collo di Kenji si sia piegato all'indietro e le mani abbiano cominciato ad annaspare disperatamente nell'aria. Sì, buffo, veramente buffo, poiché un uomo così, un infelice che beve e gioca, non si cura dei figli, è attratto da donne impossibili e picchia la moglie, non meritava certo di vivere! Le gambe abbandonate storte sul pavimento di cemento dell'ingresso, accasciato sulla soglia, la testa tutta girata, Kenji, a un certo punto, non si è mosso più. Yaoyoi gli ha messo allora una mano sul collo per sentire le pulsazioni. Niente. Sul davanti dei pantaloni ha visto una macchia bagnata. E ha riso, stupefatta della forza furiosa, della crudeltà di cui era stata capace. Ha riso anche quando Masako e Yoshie, le fedeli amiche, l'hanno aiutata trasportando il cadavere a casa di Masako, tagliandolo a pezzetti e gettando poi i resti in vari bidoni d'immondizia.
La recensione:
La letteratura giapponese esercita, oramai da qualche anno, un certo fascino su di me, ed io non perdo mai l’occasione di tornarci e andarci il più spesso possibile quando il Caso mi mette i bastoni fra le ruote, a volte senza aver bisogno del suo aiuto, altre per forze opposte o sconosciute, oppure con tutti insieme, dove si vede una me impegnata in vicende che effettivamente non esistono se non nella mia testa. La mia anima si accampa fra le fauci di una storia che apparentemente non possiede niente di speciale. La si definisce quasi insulsa, per la sua mancata originalità, la sua verve semplice e carismatica, il suo timbro orientale che non mostra niente che già non vidi con Murakami Haruki o altri autori giapponesi, ma densità, immensità, complessità rispondono a degli idiomi spontanei e naturali che sono insite nel mio animo, soprattutto quando il bagliore acquoso di una storia di questo tipo riverbera ai miei occhi deboli. Sono sentimenti questi, che trapelano nel momento in cui scrivo, ma soprattutto quando leggo, anche se a leggerli sembra più semplice, che con gioia condivido con la sua autrice o il suo autore e i suoi personaggi, e tranne quando avverto il forte sentore di << delusione dietro l’angolo >>, comprendo quanto sia necessario tutto questo. Questo significa, che Le quattro casalinghe di Tokyo mi trasmise una certa amarezza, una certa angoscia, poiché schiacciato da una realtà soffocante da cui è impossibile uscirne, sebbene gli innumerevoli tentativi di ribellarsi, eventualità remota e non certo improbabile grazie a una forza interiore che intimorisce, intimidisce, che tuttavia mi ha permesso di entrare, far parte di questa storia molto più di quel che credevo.
Fu così che finì per trasferirmi a Tokyo, nel bel mezzo di un gruppo di donne che si riflettono in uno specchio di atrocità e castighi, cercando la sconfitta coltivandola da una nuova << abitudine >> durante il periodo di permanenza con il proprio marito o compagno, e mi appassionai così tanto che mi immedesimai a tal punto da nutrire un forte senso di empatia, quasi compassione. Forse perché la stessa Kirino ha a cuore le donne, e da questa storia trapela il suo desiderio costante di libertà e possibilità, responsabilità ed empatia. Di conseguenza l’avversione che nutrono le sue donne, maltrattate nell’ambiente famigliare, ma ben volute dal prossimo, rappresenta quella parte inconscia a cui si aspira. Ritrovando sé stesse, la propria identità, allontanarsi dalle grinfie di uomini masochisti, meschini, misogini che nell’insieme incarnano figure che predominano la donna, la dominano letteralmente.
Tokyo diviene espressione di idee, desideri repressi, il posto da cui forse un po' tutti vorremmo fuggire. Da donna, ho nutrito forti sentimenti di compassione, quasi intolleranza, ad essere costretti ad essere chi non vorremmo essere, vittime del capitalismo e di qualunque tentativo di appropriarsi di ogni cosa. Scrivere diviene così uno squarcio sul mondo, uno spiraglio di dare vita a piccole e fugaci squarci di speranza, un modo per opporsi, conoscendo se stessi e il passato, scrutando il presente e avvertendo come ci sono cose che possono riaffacciarsi. Una visione lucidissima, disincantata del Giappone contemporaneo, definito come un romanzo noir, un thriller ma la cui vera identità è strutturata nella possibilità di poter indagare come sia possibile reagire alla solitudine, alla crudeltà, all’ingiustizia.
Anche se universalmente riconosciuto come quel genere di romanzo di cui sono avvezza, il mio pane quotidiano insomma, questa lettura non era prevista. Perciò quando partecipai all’ennesima sfida indetta su Facebook, mi misi a leggerlo senza aspettare giungesse niente di eclatante.
Negli ultimi anni i miei rapporti con autori sconosciuti sono stati estremamente concisi – non più lunghi di due o tre romanzi – e limitati all’essenziale; e anche questa volta ho seguito questo schema. Tuttavia, nello scrivere questa recensione, inserisco mentalmente una piccola postilla oscura per vedere cosa succede, nella speranza di strappare alla mia coscienza qualcosa di più del solito: certi romanzi meritano di essere letti. E mi spiace solo che questo romanzo, quello di cui mi premuro a parlarvi quest’oggi, è al momento l’unico che abbia letto della sua autrice.
Fu dunque, in una manciata di ore che mi recai in un polveroso edificio in prossimità del cuore di Tokyo. Tutte le vicende erano indirizzate su un unico fronte: l’uccisione cruenta e repentina di un uomo, il cui gesto completamente dettato da pura insoddisfazione. Mancata libertà.. Si, perché in questo romanzo la mancata libertà ha un anima. Non è una clausola inserita così, casualmente, quanto una forma d’espressione che preserva l’anima di figure che ironicamente la narrativa italiana le ha definite casalinghe disperate quanto lavoratrici umili che avvertono una realtà che presto sarebbe diventata la loro. Reso semplice in quanto lontano dagli idiomi tipici della letteratura giapponese, scritto a più voci che non si lascia andare a rassegnazioni, quanto si combatte per raggiungere i propri obiettivi. Non brillando per stile, non cadendo nel forbito, quanto diretto, semplice e schietto, romanzo che è una solitaria forma d’espressione infilato nel piccolo vano del mio cuore, con un angolazione a trecentosessanta gradi.
Gioco di luci e ombre, macchinoso, estremamente geometrico e ponderato, determinata a restare finchè qualcosa o qualcuno sciogliesse i nodi di una matassa perfettamente costruita, con gli occhi fissi su un reticolato di disegni, sospiri, frasi sussurrate nel cuore della notte, ciascuna con una combinazione diversa. Pagine di troppo che tuttavia convergeranno tutte in un unico quadro. Intorno, tutto così estremamente opaco, immerso in un luogo famigliare che brucia agli occhi, considerato come un opera d’arte che dona come la sensazione di essere appartenuti ad  un altro mondo, avulso dalla realtà. Travolgendo chi legge con la forza di uno tsunami, facendo risalire il tempo di un secolo, fino al tardo periodo
Piuttosto bello e affascinante, Le quattro casalinghe di Tokyo si stanziò nel mio cerchio come un piccolo puntino di luce che trasmise interesse e anche smarrimento, sin dalla prima pagina. Dubbi o perplessità, la scissione fra vero o falso, giungendo a conclusioni del tutto inaspettate, in cui la tensione era piuttosto palpabile, alcune figure radunate ai bordi dell’anima di questa storia. L’aura distaccata, fredda di ogni romanzo giapponese che si rispetti, fra masse indistinte di anime flagellate da ansie o paure che vivono e pulsano, scalciando ogni giorno, aprendo finestre sul lattiginoso panorama dell’umanità.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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