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venerdì, agosto 04, 2023

Sette gocce in sette giorni: romanzi vissuti in una settimana 5°

Le giornate produttive sono quelle in cui riesco a leggere tanto, nonostante sia oberata di lavoro e la vita regala sempre qualche spiacevole imprevisto. Le giornate produttive mi inducono a svolgere i miei compiti, provvedono a realizzarsi e a rendermi felice, arrivando così quando meno me lo aspetto… o forse no? Scrivo questo, perché sono sempre stata una ragazza che si organizza le sue giornate. 

Organizza le sue ore di lettura, le inserisce fra una giornata e un’altra, arrivando poi alla fine del mese con un numero piuttosto accettabile di storie vissute. Questo post per dire che ho abbracciato l’ennesima sfida di lettura, quella cioè di leggere sette libri in sette giorni e, trascinandomi addosso un bagaglio non indifferente di letture, riconobbi come sarebbe stato rischioso o forse un gesto troppo azzardato per mettersi in gioco. Ma alla fine, il bello in tutto questo sta proprio in questo: mettersi in gioco, cominciare a chiedersi perché dubitare delle nostre capacità e divertirsi.



Titolo: Minimalismo digitale. Rimettere a fuoco la propria vita in un mondo pieno di distrazioni
Autore: Cal Newport
Casa editrice: ROI edizioni
Prezzo: 15, 90 €
N° di pagine: 255
Trama: "Minimalismo" è l'arte di saper riconoscere lo stretto necessario. Il "minimalismo digitale" è l'applicazione di questa idea alle tecnologie. Le società della Silicon Valley hanno sfruttato le più avanzate scoperte della psicologia e delle neuroscienze per tenerci incollati ai loro dispositivi, dando vita alla cosiddetta "economia dell'attenzione": noi siamo il prodotto e gli inserzionisti pubblicitari sono gli acquirenti. Cal Newport, professore di Computer science e saggista di successo, ritiene che il modo migliore per riprendere il controllo sia il minimalismo digitale: una filosofia che prevede di fare un passo indietro e ripensare il nostro rapporto con la tecnologia in maniera attiva. "Minimalismo digitale" spiega (supportato da solide basi scientifiche) perché dovremmo sposare questa visione, quali vantaggi ci porterà e condivide il percorso pratico studiato e testato dall'autore per emanciparci dai nostri dispositivi digitali, per tornare ad avere il pieno controllo del nostro tempo e per decidere senza condizionamenti quali sono le attività che realmente hanno valore per noi e ci rendono felici.

La recensione:
Ho maturato una certa pazienza, una certa calma. L’esperienza, maestra di vita, delle volte trasmette messaggi che, se ignorati, potrebbero produrre alcun effetto. Leggere così tanto, comprendere i pensieri di qualcun altro, vestire spesso i panni di uomini o donne disilluse, quasi insoddisfatte della vita, e l’approccio che riservano ad essi per affrontarli, sono spesso motivi di ispirazione. La mia stessa vita delle volte trae esempio: come interloquire con una persona in carne e ossa. Ascolti i suoi deliri, i suoi modi di uscirne fuori, e, a seconda dei casi, ne trai esempio.
Da quant’è ho abbracciato la lettura della personalissima Miracle Morning di Hal Elrod – si, mi rendo conto di essere ripetitiva. Ma la mia vita ha preso una svolta grazie a questa lettura -, ho ripreso in mano la mia vita, mi sono seduta alla scrivania e ho riflettuto. Cosa non andava in me che mi impediva di raggiungere i miei obiettivi? E, una volta consapevole di ciò, cos’avrei dovuto fare? Il tempo mi ha poi aiutato a renderla mia, questa gestione, e constatare come una delle principali regole per essere produttivi ed efficienti sono quelle di annullare le distrazioni. Checchè esse siano di tipo virtuale e non, annullarle, allontanarle al punto di non coinvolgere piacere e dovere, ma renderli nettamente separati. Perché se leggo così tanto è perché riesco a non toccare il telefono, nel mentre leggo, se riesco ad essere alacre nel mio lavoro è perché mi concentro senza lasciarmi sedurre da qualche distrazione. Ma non le annullo completamente poiché esse stesse sono motivo di serenità dell’anima. Quando la mia mente è tartassata da troppi pensieri, oberata di lavoro, ecco che la distrazione è una piacevole opportunità.
Questo bel saggio, in soldoni, esplica tutto questo. Comincia a sciorinare quelle particolari ragioni per cui è facile distrarsi, soprattutto ai tempi di Facebook, Instangram, Tik tok, è possibile prendere atto di tutto questo e andare avanti. Perché essere produttivi non comporta ad annullare completamente dalla nostra vita i social, isolarsi a tal punto da non poter stringere alcun legame. Semplicemente stabilire un equilibrio, un equilibrio personale che ci renda contenti, orgogliosi della strada intrapresa. Allusioni giocose, affettuose della vita in generale, che, a mio avviso, potrebbe divenire più divertente se ben calibrate.

Valutazione d’inchiostro: 3


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Titolo: La cura della felicità. Scopri dentro di te il potere di rinascere
Autore: Alice Bush
Casa editrice: Vallardi
Prezzo: 16, 90 €
N° di pagine: 208
Trama: La strada per rivoluzionare la nostra vita non è fuori, ma è dentro di noi. Quanto spesso ci sentiamo in balia degli eventi, lasciando che circostanze esterne definiscano chi siamo, ciò che possiamo o non possiamo fare? Un circolo vizioso che ci fa credere che la felicità si trovi sempre un po’ più in là. Quando perderemo dieci chili, quando troveremo la persona giusta, quando otterremo quella promozione... Eppure non è mai così. È giunta l'ora di smettere di essere i nostri primi sabotatori, intrappolati nella storia che ci raccontiamo da sempre. Ciò richiede un profondo atto di coraggio, ma grazie a queste pagine non dovrai affrontarlo in solitudine: in esse scoprirai che hai in te tutto ciò che ti serve. Imparerai a disinserire il pilota automatico per iniziare un viaggio alla ricerca della felicità, la cura più potente di tutte. Se hai preso in mano questo libro, sei pronto ad attivare quella trasformazione che dentro di te sta già germogliando. E adesso, partiamo.

La recensione:

Il mini-progetto di leggere sette libri in sette giorni si consolida quasi sempre in letture di svariato tipo, ma brevi e intense. Il mio entusiasmo, il mio spirito combattivo, in questi casi, prevale sempre, e come travolta da un’ondata adrenalinica di allegria scatenata, affronto ogni cosa desiderosa di mettermi in gioco. Quest’anno, fra le mie innumerevoli letture, ho deciso di inserire anche quella dei saggi. Compagni non propriamente sconosciuti ma che, in un momento particolare della mia vita, hanno fatto baldoria per tutto il viaggio di ritorno, rivivendo a ripetizione i momenti in cui ero seduta nella mia comoda poltrona, completamente immersa. Rivivendo così sulla pelle l’avventura di uomini o donne che in un certo senso si complimentano con me stessa per non essere sfuggiti alla mia attenzione.
Ed ecco che, condotta da un’autrice sconosciuta, l’ennesima, ho così letto questo piccolo saggio, rivivendo a ritroso quella che altri non è che la sua personale esperienza. La Bush, in effetti, non era del tutto sconosciuta quanto celebre nelle stanze polverose del mio animo in quanto grande estimatrice di un tipo di arte morale che da qualche anno perseguito: il minimalismo. Arte che negli anni ho abbracciato anche io, e che mi ha condotta lontana: una me diversa, più matura e consapevole ne è derivato da tutto questo.
La Bush, nei suoi video, mi è sempre sembrata solare e piuttosto allegra. Ma, pensandoci, chi non si cela dietro finti buonismi, soprattutto dinanzi ad una telecamera? Eppure, questo saggio rivela come, dietro falsi sorrisi e cenni di assenso, si cela un’anima fragile, che tuttavia non ha smesso un attimo di sorridere, anche se leggere di lei, questa biografia, non è propriamente un assetto più comico, più improbabile che non avessi mai visto, eppure ad accendere la scintilla del mio interesse fu ciò che lessi, e devo dire che positivamente mi ha travolta.
Nonostante siano trascorse qualche settimana da che l’ho concluso, non riesco a fare a meno di pensarci, perché è stato uno schiaffo che brucia ancora sul mio viso, e il motivo per cui ho preso questo schiaffo è semplicemente perché anche io, in un certo periodo della mia vita, ho desiderato rinascere. L’ho voluto così tanto da lavorare a fondo, su me stessa, combattendo, stringendo i denti, voltando le spalle ad ogni cosa riesumasse il passato. E quale miglior modo se non scovando la felicità? Quale miglior mezzo se non lavorare su stessi? Produrre qualcosa che abbia un certo effetto, e ti coinvolga a tal punto da riconoscere qualcosa di noi tra le sue pagine?
La cura della felicità, a dispetto di ciò che si pensa, nel suo piccolo, impartisce piccole cure. Piccoli accorgimenti che, un lettore un po' più furbo, potrebbe assembrare e fare suo. Liquidando così qualunque calunnia la vita spesso ci riserva, come una semplice casualità, seguendo il filo logico del pensiero di una ragazza qualunque ma da cui è possibile prendere spunto. Forse la sua forza è ancora sconosciuta, ancora turbata e sfiduciata e non del tutto consapevole di averla trovata completamente ridotta a pezzi. Non tutte le anime, gli spiriti risplendono in fretta. Per alcuni ci vuole del tempo, e per Alice Bush è stato così.

Valutazione d’inchiostro: 4

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Titolo: Bambini acquatici. La magica avventura di un bambino terrestre
Autore: Charles Kingsley
Casa editrice: Robin
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 266
Trama:
"Bambini acquatici" narra la storia del piccolo Tom, uno spazzacamino maltrattato e sfruttato dal suo padrone. Quando viene condotto a pulire i camini di una grande residenza gentilizia, Tom si perde tra i numerosi comignoli e finisce nella stanza di Ellie, una bellissima bambina che dorme nel suo letto. Inseguito da padroni, serve, maggiordomi e cani che lo credono un ladro, fugge, si perde in un bosco e infine inciampa cadendo in un fiume. Trasformato dalle fate in un bambino acquatico, si ritrova a vivere le più incredibili avventure. Si imbatte in nutrie saccenti, granchi impauriti, trote smemorate e fanatiche libellule, e incontra la piccola Ellie, a sua volta divenuta una bambina acquatica. Lei gli farà da maestra e lo spingerà a intraprendere il grande viaggio che ogni bambino deve compiere per diventare adulto.

La recensione:

 

In noi è la vita che ci fa crescere, camminare, pensare, eppure non lo vediamo; nelle macchine e nel vapore che le mette in moto, eppure non lo vediamo.

 

Dicono che i romanzi per ragazzi, le celebri favole, nascondono quasi sempre importanti morali. Dubito non sia così, dato che la maggior parte di questi romanzi sono opere che, soprattutto nel periodo in cui furono scritti, esplicarono messaggi particolari non solo per chi li lesse ma anche per lo stesso autore.
È terribilmente vero, ma cosa farci se questi furono una sorta di manifesto, una critica alla società e al mondo circostante? Adesso, con la lettura di Bambini acquatici ho visto intensificarsi questo messaggio. Un messaggio che io francamente avevo preso sottogamba. Più superficiale, ma affascinante. Trattasi della storia di un bambino qualunque che, in un momento particolare della sua vita, subì un mutamento e, con esso, una svolta decisiva per la sua esistenza.
Credevo di conoscere i cosiddetti classici per ragazzi. Mi piacciono quasi sempre, specialmente quando tra le loro pagine riesco a cogliere frammenti di vita quotidiana, comune, messaggi apparentemente banali ma importanti. Perché in un certo senso è questo ciò che esplicano: trasmettono qualcosa che inevitabilmente ti inducono a riflettere. Questa lettura è stata una piacevolissima scoperta in quanto, nonostante sia trascorso qualche giorno dalla sua ultima lettura, continuo a pensarci. Continuo ad osservare ammaliata la copertina, e a pensare teneramente alle sorti che questo ragazzino dovette vivere pur di << sopravvivere >>. Perché al suo interno, il messaggio nascosto, non è propriamente originale, questo lo ammetto, ma è un’allegoria di una società non ancora squarciata dal velo dell’ignoranza, in cui, sulle prime, si avverte un forte senso di estraneità, equilibrato poi dal desiderio di conoscere e studiare a fondo ogni cosa.
In un certo senso era una favola senza morale, perlomeno ciò che volle il suo autore, che mi ha <<segnata>> come molti altri lettori. La storia del piccolo Tom, di cui ogni lettore accoglie nel proprio cantuccio personale come un oggetto perduto e poi ritrovato, non è esattamente una favola per bambini infantile ed estratta; non è un’opera, tanto per usare un eufemismo. E' la storia di ognuno di noi. La mia. La vostra. E il bisogno di prenderne atto mi lega alla piccola cerchia di quei lettori che considerano il romanzo di Kingsley come un classico della letteratura dell'infanzia, che con ogni probabilità considero tale anch'io, ma con cui, nei primi giorni del mese di giugno, mi ritrovai in una insolita intimità. Presto mi accorsi che la vera ragione del mio essere lì, in un posto sconosciuto, era proprio quella di seguire Tom in questa splendida avventura.
E quello dell'avventura è proprio il tema del romanzo. A ruota libera, senza remore o incertezze, in cui ogni personaggio dice la sua, a volte tra un tuffo e un altro, a volte con una schiera di piccole ostriche. Con una schiera di figure eccentriche, bizzarre la cui anima sgargiante sfavilla ai bordi di questa storia, che raggireranno il piccolo Tom, come ostacolo alla sua <<volontà di agire>>.
In un periodo non molto dissimile da questo, con il cielo terso che sembrava voler trasmettere un senso di pace interiore e un sole spaventoso che si spandeva in una ghirlanda di rame liquido, la storia di Tom mi sorprese repentinamente per la sua concezione del mondo come luogo abitato da una specie individuale che costituisce una grande famiglia, e che conta di andare a predominare sul prossimo mediante istituzioni, norme di cui io non conoscevo nemmeno l'esistenza e che, disgraziatamente, impediscono e recidono quel forte senso di libertà che il romanzo esplica.
Ho letto di loro con una certa curiosità e con uno stato d'animo simile all'eccitazione come non mi capitava da tempo; non qualcosa di insolito, ma di sacro e misterioso; qualcosa che incute rispetto dinanzi al quale ho camminato in punta di piedi, parlato sottovoce. In compagnia di un’opera il cui autore eleva la sua immaginazione con maggior libertà. Una successione di luoghi e figure che condurranno il piccolo Tom alla maturazione, prototipo perfetto del ragazzino semplice e a modo, ingenuo, svagato e suscettibile che, fra le pagine di una disavventura dalle diverse tonalità, imparerà a soffocare le emozioni che incorrono nella crudeltà di un mondo ostico e le sue convenzioni.
Opera che affronta molte questioni relative alla società del secolo, nonché richiamo costante alla libertà repressa, alla crescita all'età adulta, agli affetti. Un contenitore di verità fondamentali che pochi individui compresero, all'epoca, o, inclinazione adatta a rievocare emozioni represse. Gioia, felicità, spensieratezza.

Valutazione d’inchiostro: 4

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Titolo: Il buon dottore
Autore: Daniel Galgut
Casa editrice: EO
Prezzo: 19 €
N° di pagine: 250
Trama: Frank Eloff è medico, forse solo perché lo era anche suo padre. È sposato, ma solo perché sua moglie non ha ancora ottenuto il divorzio. Lavora presso un ospedale in rovina, privo di mezzi e persino di pazienti. Ma solo perché rimanda all’infinito la decisione di andarsene. Eppure in questa mediocrità, tra compromessi e illusioni, rassegnazione e cinismo, Frank ha trovato un equilibrio. Fino al giorno in cui arriva nel suo ospedale, nella sua camera e nella sua vita Laurence Waters, un neolaureato in medicina che è tutto quello che Frank non è più: giovane, ottimista e pieno di buone intenzioni. E nella selva politica e morale del Sudafrica, basta questo per fare del giovane medico una mina vagante. Anche perché in città qualcosa sta succedendo. Si vedono facce nuove, e se ne rivedono di vecchie. Corre voce che il Generale, il dittatore che governava ai tempi dell’apartheid, sia ancora vivo. E al locale di Mama si è installato un gruppo di militari agli ordini di uno spietato comandante, un uomo che Frank ha già incrociato e avrebbe preferito non incontrare mai più. Così, quando Frank raccoglie la sfida che il giovane Don Chisciotte gli ha lanciato, senza rendersene conto compie un passo irreversibile in uno scenario di intrighi politici, passione e violenza, dove pericolosi fantasmi sono in agguato per regolare i conti di un passato doloroso.

La recensione:

La chiamo << normalità >> quella ritratta in queste pagine. La mia vita, il lavoro, i ruoli che mi impegno ad adempiere ogni giorno affinché possa raggiungere un sufficiente fabbisogno individuale e personale. Se non fossi stata protagonista di ciò che seguono, così da vicino, le vicende di un normalissimo medico, come del resto credo lo sarei stata se non ci fossi stata così invischiata, il tono di questa recensione sarebbe diverso: meno consapevole, ma più sorpreso e trascinante. Altrimenti, la lettrice di adesso non sarebbe la stessa. La quasi trent’un enne che è in me non sarebbe qui, a riporre queste righe, a parlare e a comprendere qualcosa che forse non avrebbe mai compreso sino in fondo. Avrei letto Il buon dottore per semplice curiosità, cercando di raddrizzare i torti del mondo e una volta chiusa questa porta non ci avrei pensato due volte ad uscirne. Questa lettura però si confece perfettamente al mio animo semplicemente perché mi è stata molto più vicina di quel che credevo. La mia anima si è completamente legata a quella di questo romanzo semplicemente perché io lavoro con un dottore, sono la sua assistente, il suo braccio destro, e certe avventure lette le vivo sulla pelle, quasi ogni giorno. Perché sebbene ad organizzare e a giostrare il tutto sia il mio datore di lavoro, inevitabilmente ci sono dentro anche io!
Fu così che quando sentì la chiamata di questa storia sussurrare dalla mensola di una libreria fin troppo capiente, non ci pensai due volte a rispondere. Sarebbe stato davvero bello e interessante parlare con qualcuno che << mi avrebbe compreso >>, avrebbe capito cosa si cela dietro l’attività frenetica e intensa di un ambulatorio medico, e realizzare uno squarcio di umanità, nel sudario opprimente di visite e richieste fra le più disparate. Sicuramente Frank mi avrebbe capito, e senza quasi darmi il tempo di reagire, avremmo dovuto organizzarci ed agire.
Ho vissuto un’esperienza davvero bella, e, allo stesso tempo, strana, fra queste pagine, semplicemente perché mi è sembrato di vivere, mediante gli occhi di un altro, la mia vita. Di Frank e dei suoi amici non credo leggerò altro, ma… è solo che, tutto questo, mi è sembrato davvero realistico. Perché, come nella vita di tutti i giorni, la bellezza che carpisco mi rincuora, mi aiuta a vincere qualunque bruttura del mondo e indossando quella corazza invisibile che mi aiuta a contrastare ogni cosa, fui così colpita dall’insieme di dover ricordare a me stessa che la normalità che io ho riscontrato in queste pagine non fosse tale per Frank. Non avrebbe minimamente immaginato che, così, di punto in bianco, la sua vita potesse mutare assetto. Perché questa era tutt’altra storia da ciò che gli avevano raccontato e, poco convinto, avrebbe voluto vederla, constatarla con i suoi occhi.
Del resto, Frank aveva carattere, oramai era chiaro che dietro a un’acerrima passione per la medicina ci fosse tanta pazienza e forza d’animo. L’avevo capito, sin dal primo momento in cui lo conobbi, così simile a me, sempre sul pezzo, orgoglioso e talvolta testardo che non aveva paura di perseguire la sua strada. Ed insieme al desiderio di aiutare il prossimo, la capacità di farsi valere anche e soprattutto nei momenti di difficoltà. Nemmeno quando l’ombra del fallimento, ansie e perplessità varie che attanagliarono la popolazione acquisirono una loro importanza da non poterle più ignorare. La vita lo aveva posto dinanzi a delle sfide che bisogna assolutamente affrontare e, cascasse il mondo, a prendere atto.
Mentre mi affanno a divorare libri su libri, mi rendo conto che sono troppe le storie, i libri che vorrei leggere. Il tempo è sempre troppo poco, gli impegni sempre più importanti, ed io mi rendo sempre più conto che leggere tutto quello che si desidera è davvero impossibile: le mie librerie, presto o tardi, si riempiranno di opere mancanti di autori preferiti e non, ma pur quanto desideri cibarmi mi rendo conto è un'impresa davvero terribile. Così, sull'onda dell'impulso, ho letto questa storia e… che idiota poi mi sono sentita, seguendo appassionatamente le vicende ed entrando di soppiatto nel cuore di una storia realistica ed attuale! 
Molto probabilmente non avrei mai letto questo romanzo, se non fosse che la sua trama strizza l'occhio alla bellissima opera di Dino Buzzati, esaltando il tema dell'assenza e della solitudine. Con l'aiuto di un fidato compagno, Frank, ho portato a termine meno di trecento pagine, e poi mi sono data per vinta e mi sono fatta contagiare dal tono allegorico ma sofisticato. Elegiaco, quasi profetico.
Anestesia, il sangue ancora versato, il profumo della solitudine e dell'assenza fra le mani; niente che  non avevo mai letto. Come aveva fatto questa stramba forma di letteratura, ad insinuarsi in me? Di certo Damon Galgut sa parecchio al riguardo del Deserto che descrive piuttosto bene Dino Buzzati. Poichè perfettamente questo forte senso di estraneità, incompiutezza, dove la supremazia di uno stato totalitario predomina e subentra contro ogni cosa, come un effetto scatenante che innesca una sorta di avversione. Sembra quasi di leggere e scrutare attentamente quella che non è nient'altro che una visione quasi illogica, benedetta e profusa dalla gente nel forte desiderio di restare uniti.
Il buon dottore  è un romanzo che non dimenticherò tanto facilmente non per il suo essere solenne e realistico, bensì perché acquisisce una certa capacità di riversare, mediante parole che hanno gironzolato fra le stanze buie della sua anima, acquisendo una certa capacità di condividere i sentimenti umani. Perché, sebbene si desideri allontanarsi dal proprio guscio, non si può fare niente se non condividere questa triste <<condizione>> con gli altri. Dalla stessa anima del romanzo è scaturito qualcosa di estremamente potente. Di preciso non so se sia dovuto dalla condizione umana che l’autore delimita così bene, o dal significato nascosto di queste pagine che, nonostante la mole, colgono un silenzio che assorda le orecchie, sensazioni irreprensibili che hanno un che di fatale, moralista e che gravano nel cuore nel momento in cui le paure escono da crepitanti mura e l'infelicità si fa sempre più dolce. L'anima che batte orgogliosa le ali sopra l'umanità addormentata, a cui ci si aggrappa costatando come ciò che sembrava ridicolo, assurdo o superstizioso ha ora acquisito un certo valore. Pensando, crescendo, respirando trasformandosi in una storia in cui i gesti hanno una certa importanza. 
È una storia che inevitabilmente sottrae la felicità, e che ti costringe a compiere profonde riflessioni, limitandosi ad essere una semplice via di transito per se stessi. Una storia che trasmette estraneità, vulnerabilità nonostante si combatte per ottenere il contrario, introspettivo e attento intrappolato nel buio in cui la nozione del tempo traballa come un vagone su un asse in equilibrio precario. Una piccola fortezza riassorbita dalle stesse parole con cui è stata raccontata.

Valutazione d’inchiostro: 4

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Titolo: Clara legge Proust
Autore: Stèphanie Carlier
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 17, 50 €
N° di pagine: 168
Trama: Clara fa la parrucchiera da Cindy Coiffure, un piccolo salone di provincia. Tra sforbiciate e colpi di phon, ascolta le chiacchiere della clientela e i sospiri della signora Habib, la sua malinconica principale; la sera torna a casa da un fidanzato che non la affascina piú e da un gatto che disdegna le carezze. Cosí il tempo scorre placidamente (forse troppo). Fino al giorno in cui un misterioso cliente lascia un libro al salone. Clara incontra allora l'uomo che le cambierà la vita per sempre: Marcel Proust. Sarà grazie alle sue parole e alla magia della lettura che Clara troverà il coraggio di scegliere la strada giusta per sé. «Ecco un libro che fa bene. Al morale soprattutto» («Livres Hebdo»). «Stéphane Carlier firma un'ode incantevole alla letteratura e alle "vite minuscole". Un romanzo semplicemente delizioso» («Elle»). Cindy Coiffure: in questo minuscolo salone, quasi nascosto in una traversa del centro di Chalon-sur-Saône, lavora Clara. A soli ventitre anni è una parrucchiera apprezzata dalla clientela, ristretta ma affezionata, e dalla malinconica signora Habib, la sua elegantissima principale, con il culto di Chirac e la passione per Parigi, dove ha vissuto da giovane. Proprio a una vivace attività della capitale la signora Habib vorrebbe far assomigliare Cindy Coiffure, che invece resta felicemente accoccolato nella sua realtà di provincia, tra le hit di radio Nostalgie, i puntuali caffè di Lorraine del bar-tabacchi all'angolo e il ciarliero viavai di clienti la cui età media sfiora la settantina. Nolwenn, tanto apatica nelle espressioni facciali quanto avventurosa in quelle linguistiche, e Patrick, genio ribelle dell'acconciatura, completano la squadra di Cindy Coiffure. È in questo piccolo universo, al ritmo di sforbiciate, colpi di phon e chiacchiere, che Clara trascorre tranquilla le sue giornate sempre uguali. Poi la sera torna a casa dal bel pompiere JB, un principe azzurro ammirato apertamente da genitori, amici, colleghi (e dalla signora Habib spudoratamente), che però a Clara non fa piú l'effetto esplosivo di prima, e da un morbido gattone bianco, che però disdegna gli umani e le loro carezze. Cosí il tempo passa per Clara, al riparo dai dispiaceri ma anche da ogni tipo di slancio. Fino a quando un evento inaspettato cambia tutto. Un misterioso cliente lascia un libro al salone. Clara lo porta a casa, lo sistema nella libreria e se ne dimentica. Poi, un giorno, per caso, comincia a leggerlo. Il libro è Dalla parte di Swann: Clara ha appena incontrato Marcel Proust. Sarà grazie alle sue parole e alla magia della lettura che Clara troverà il coraggio di scegliere la strada giusta per sé.

La recensione:

 

Nulla duro, tutta la vita si dimentica e il suo ricordo svanisce con la facilità di un disegno di un vetro appannato.

 

Oramai sono completamente e irrimediabilmente innamorata de La Recherche, così profonda, straordinariamente bella, sprofondata in una realtà ostica, quasi atipica, che mi ha portata lontana, mi sta conducendo in un luogo sconosciuto, nonostante abbia potuto tastarne il terreno, ma depositario di verità e bellezza. A metà di questa concezione, naturalmente non agli ineguagliabili livelli di Marcel Proust, ho letto questo delizioso romanzo, così accessibile e famigliare il cui desiderio di approcciarsi a un gigante della letteratura francese, quali la scoperta di questa atipica Verità, rappresenta lo scopo vago ma predominante del pensiero della sua protagonista, Clara. Figura recisa dal tempo, dai dissapori e dalle amarezze della vita, che in un momento imprecisato della sua vita perse incanto, avvertì la vita priva di significato, riducendosi ad una cornice convenzionale. Come una sacra impronta, Clara si è depositata sul mio cuore agonizzando la medesima realtà che desidera ottenere il Narratore proustiano, e che, come egli, sembra così irraggiungibile e coesistere solo nell’apparente ricordo di una creatura che la contempla e la completi senza però saperlo apprezzare a dovere. Intrappolata in una fitta rete di insoddisfazioni, rimpianti. Il desiderio di avere qualcosa che ancora non si ha o si ha completamente perso.
Come Clara, per me, la Recherche, sta avendo un’importanza straordinaria in quanto mi ha donato l’opportunità di vedere ciò che mi era nascosto, in un mondo invisibile nei suoi infiniti dettagli, potente e immersivo che impone la sua volontà a chiunque. Era un interesse volontario o dovuto per motivi di studio o ricerca? Per quanto mi riguarda, semplice curiosità personale. Ora reso ancor più sensibile, che mi scopro a sguazzare fra le pagine del terzo volume. Trattato con una specie di quieta deferenza, un po' sgomenta di avvertire le medesime sensazioni che ho avvertito con la lettura del primo volume, ma anche grata che la Vita mi avesse concesso anche questo incontro.
Ciò che evidenzia come indispensabile nel suo romanzo, Stephane Carlier, è quello scambio reciproco di emozioni la cui culla principale altri non è che un piccolo salone in cui la stessa Clara, mediante un semplice gesto, quello cioè di curare le capigliature altrui, riversa le sue ansie e le sue paure. La sua anima vaga ancora incerta in sprazzi di vita quotidiana in cui i ricordi, impreziositi come gemme, sfavillano quando vengono rievocati. E, leggere Proust, in questo caso, aiuta a squarciare il velo dell’ignoto, dell’incerto, e a mettere a tacere ciò che doveva essere fatto, tanto tempo fa.
Clara, proprio come altri lettori prima di lei, rappresenta quella lettrice, quella viaggiatrice lasciata sola nell’immensità del Cosmo, che adempierà a questo viaggio cogliendo l’intensità, la << magia >> della Ricerca e soprattutto il modo per cui la si percepisce. Innalzandosi a uno stato di bellezza che risucchia ogni minimo rimasuglio della nostra attenzione. Il mondo è un luogo menzognero da cui bisognerebbe fuggire, la salvezza unica e possibile è quella felicità ipotetica che risiede nelle arti, quanto di vero c’è in tutto questo? In questo romanzo apparentemente semplice ma di una vastità di sentimenti così profondi?
Molti suoi coetanei avrebbero deciso di censuarsi, non mostrarsi così vulnerabili, compito arduo dato che inevitabilmente, quando si scrive, trapela sempre qualcosa. Questo romanzo, però, mi ha permesso di vedere come, la strana esperienza di ritrovarmi nelle vicende di una giovane donna, ancor più giovane di me, ha creato le basi di un lavoro certosino che l’autore riconduce in poche ma essenziali pagine. Un’opera deliziosa in cui trapela l’amore per Proust, la letteratura, e che tocca corde così sensibili del nostro animo che hanno un che di magnetico, perché delle volte non mi è sembrato di leggere quanto << vivere >>. Sentinella silente di unione fra anime che ha raccontato qualcosa di piccolo che ai miei occhi è divenuto gigantesco, importante, e forse uno dei principali motivi per cui mentalmente continuo a tornarci, perché avrei ascoltato altro, instancabile a condividere un amore grande e inarrestabile come quello della Recherche.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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Titolo: Gènie la matta
Autore: Ines Cagnati
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 184
Trama: Questo romanzo è la storia dell'amore, lancinante e assoluto, di una figlia, Marie, nata da uno stupro, per la madre, Eugénie detta Génie, che, ripudiata dalla famiglia e respinta dalla comunità dopo che ha generato una bastarda, si è murata nel silenzio e nella lontananza. Una madre che sa dirle soltanto: «Non starmi sempre tra i piedi», che raramente la abbraccia; una che tutti, in paese, bollano come matta e sfruttano facendola lavorare nei campi e nelle fattorie in cambio di un po' di frutta, di un pezzo di carne. Ma l'amore di Marie è impavido, indefettibile - va oltre il tempo.

La recensione:

 

Sei la mia terra piena di sole. Ti amo perché mi spalanchi le stagioni e le strade.

Nel lontano 1930 nacque Inès Cagnati, una voce della letteratura straniera che io francamente non conoscevo. Oramai sono poche quelle voci femminili o maschili che non conosco, per sentito dire o meno, e uno alla volta, quasi ognuno di loro traccia un segno del loro passaggio. Confabulano silenziosamente e unendosi unanimi sciolgono qualunque remora, qualunque impossibilità di non attrarmi. Tra loro c’è stata l’autrice di questo romanzo che l’anno prima aveva solleticato la mia curiosità in quanto precursore di una realtà del tutto vera, tattile: la biografia della madre dell’autrice nonché frutto di una vicenda terribilmente indimenticabile e disgraziatamente ancora attuale. Inalberando la mia coscienza verso nuovi fronti come segno di conoscenza e curiosità il romanzo della Cagnati fu presto messo da parte, poiché soppiantato da qualcos’altro. E, l’interesse nutrito inizialmente, svanito come fiati di vapore nell’atmosfera. Il cuore pulsante di questa storia avrebbe sicuramente sposato il mio animo, io che combatto con una certa acrimonia elementi che generalmente lasciano un segno, soprattutto se delineava i limiti di una storia che si pone contro la violenza, la guerra, la violenza, la mancanza di volontà e di comprensione, e per un mondo moderno in cui si potesse vivere insieme alla pari. Ma io non avevo aderito a questa nuova << avventura >>. Non perlomeno l’anno scorso, quando di questa povera matta ne parlavano tutti, bensì adesso. A distanza di oltre un anno, e con un tono non propriamente entusiasta. I motivi? Forse chi mi legge da tanto e mi conosce un po', avrà già capito. Ma, comunque, parecchio palesi per entrambi, e dunque inutile perdere tempo ad analizzarli e neanche un motivo a fare opera di mutuo convincimento, perché in realtà ho incoraggiato me stessa ad aderire all’entusiasmo generale che questa lettura aveva suscitato, e suscita tutt’ora. Anche se propriamente di entusiasmo non si può parlare, dato che quella di Gènie la matta è una storia che, checché possa o non possa piacere, ricorderemo tutti. Perché impossibile non provare niente, restare indifferenti a certe cattiverie, a così tanta violenza istigata nei riguardi di una ragazza, un’adolescente di soli diciassette anni, nata sicuramente per condurre altro, vivere una vita diversa, mentre lei era stata scelta a fare altro.  La sua vita bruciata nel giro di qualche ora per aver praticato un coito involuto e che l’ha marchiata per sempre, bruciato la sua esistenza, ma lei era l’unica che aveva vissuto tutto questo e che poteva parlare. Esprimere ciò che provò, farci sentire magari inutili ed egoisti, ed abbracciare la vita diversamente.
In Gènie la matta disgraziatamente non ho riscontrato niente di simile. Non l’ho sentita parlare, non ho avvertito il suo respiro fra le orecchie, non l’ho vista << sfogarsi >> per il male subito, offerta quasi come una vittima sacrificale, quanto priva di volontà ad adempiere ed agire, impossibilitata a reagire né tanto meno a voler bene al frutto di questo dispiacevole evento. Mary, la vera e unica voce narrante che, stanziata ai bordi di questa storia, mi ha solo trasmesso un profondo senso di angoscia, sconforto. Era l’ennesima manifestazione di amore non compreso da cui non ne sarei uscita del tutto completa?
Gran parte di ciò è stato assolutamente vero. Leggere il romanzo della Cognetti non mi ha lasciata indifferente, pur quanto il suo fu l’intento di rendere meno assurde certe vite fatte solo di miseria perché come un ciclamino questa storia avrebbe dovuto essere ricordata, custodita, rievocato in futuro. Non tanto per minimizzarla quanto per rievocare il suo ricordo, la sua crudele realtà.
L’esperienza letteraria vissuta con Cagnetti fu stranissima. Il mio cuore non ha sussultato a ogni pagina, parola, capitolo, le mie viscere non poterono contrarsi in continuazione e in me, nel mentre accadeva tutto ciò, una massa informe aveva invaso la mia mente come qualcosa di nefasto cui avrei dovuto stare lontana. Evidentemente dovrei scusarmi per essere così insensibile nei riguardi della madre dell’autrice, ma pur quanto abbia messo una certa dose di interesse, per non parlare di diffidenza, nel momento in cui Gènie la matta approdò nel mio cerchio personale, non è accaduta alcuna << magia >>. A cosa mi riferisco? Ma naturalmente a quel sentimento di puro e intenso fervore che si insinua fra le mie viscere nel momento in cui vivo una storia che per tempo, mesi, anni, avevo snobbato o ignorato impunemente, in una manciata di secondi diviene il centro assoluto della mia attenzione. Il miglior beneficio dell’anima. E quando tutto finisce sembra di svegliarmi da un sogno chiarissimo il cui messaggio fu alquanto chiaro: perché non ero partita prima, questo bellissimo viaggio dovevo viverlo prima! Ripenso a tutte le storie d’amore che negli anni ho letto. Ma che cos’è l’amore? Un puro infuocato sguardo. Un cerchio d’attrazione. Quanti, almeno una volta nella vita, credendo non di non viverlo, ignoravano di averlo sotto gli occhi? Anche se poi non succede nulla: l’amore sboccia, sfoga nei momenti più impensabili. Allora? Capita che si cada fra gli incauti sussulti del cuore che non se ne è del tutto consapevoli, predestinati a questo tipo di sentimento.
Ogni volta che un romanzo mi delude c’è sempre un assetto crudele in quanto la consapevolezza di riscontrare qualcosa che avrebbe lasciato un segno sul cuore, poiché omaggio alla realtà rurale spietata che mette in evidenza la diversità e ci induce a fuggire dalle regole, si pose dinanzi alla consapevolezza di aver vissuto una storia crudele, oppressa da un sudario di insoddisfazione sconforto, che ha funto da tentativo di placare la sete di violenza e crudeltà.
Ogni volta che un romanzo mi delude c’è sempre un assetto crudele in quanto la consapevolezza di riscontrare qualcosa che avrebbe lasciato un segno sul cuore, poiché omaggio alla realtà rurale spietata che mette in evidenza la diversità e ci induce a fuggire dalle regole, si pose dinanzi alla consapevolezza di aver vissuto una storia crudele, oppressa da un sudario di insoddisfazione sconforto, che ha funto da tentativo di placare la sete di violenza e crudeltà.
Gènie, ha vissuto sulla pelle la bellezza di certe emozioni, non scovando tuttavia alcuna soluzione ai suoi problemi, perché non si riesce a scorgere un granché da un presente che in ogni momento possibile trasfiguri malesseri, dolori interiori, drammi che languiscono in forme di solitudine e vittimismo. Non c’è soluzione a tali problemi del destino perché si osserva la vita come scritta da qualcun altro, oppure la si può vedere come scritta da noi in ogni momento? Entrambe le versioni sono vere. Ogni decisione può essere presa da noi in base a una libera scelta o presa perché uno era predestinato a prenderla. Il problema in tutto ciò fu che Gènie non farà niente per trovare questa soluzione di cui parlo, ma si lascerà completamente andare da qualcosa che avrebbe potuto contrastare o perlomeno vincere mediante l’amore per la figlia Mary. Perché, non è questo forse il senso delle sue <<coraggiose>> gesta? Una donna giovanissima, sul finire degli anni Trenta, scrisse una storia che inconsapevolmente ha ucciso gran parte dei suoi lettori. Ma, disgraziatamente, non me. Non facendo niente per evitarlo. Restando sullo sfondo, distaccata ai limiti del possibile, la cui cupezza, l’irrimediabilità di certi eventi trascinano all’indietro. In questo modo, questa lettura ha avuto un effetto assolutamente destabilizzante per me poiché ho accolto la storia della povera Gènie credendo di poterla “sentire “. Ma non è stato così. E questo è stato uno dei motivi per cui la storia che la sua autrice si porta dentro non mi ha colpita più di tanto. La vita mi ha insegnato, come da certe forme di buio, la luce prima o poi trapela, nei momenti più impensabili. Si è come talmente immersi, inzuppati da queste nefandezze, che ci si domanda per cui la donna sia stata creata, continuamente presa di mira, realizzata secondo un unico modello. E, come, dal pozzo oscuro e nefasto, si può sempre uscire. Non importa come, non importa quando. L’importante è provarci. Riscovare la luce. Mossi da atti di fede, speranza da cui è possibil trarre veri e propri insegnamenti, non rinunciando così alla vita stessa.

Valutazione d’inchiostro: 3



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Titolo: Pensaci ancora. Il potere di sapere ciò che non sai
Autore: Adam Grant
Casa editrice: Egea
Prezzo: 29, 50 €
N° di pagine: 310
Trama: Imparare a mettere in discussione le proprie opinioni e aprire la mente degli altri è una strategia che può aiutarci a raggiungere posizioni di eccellenza sul lavoro e a distinguerci per saggezza nella vita. L'intelligenza è di solito vista come la capacità di pensare e di imparare, ma in un mondo in rapido cambiamento, c'è un'altra serie di abilità cognitive che potrebbero essere più importanti: la capacità di ripensare e disimparare.





La recensione:

Il pensare è un processo che è davvero impossibile arrestare. È un moto involontario che volutamente e non influisce nella nostra cerchia privata e personale, un’ingiunzione che riguarda anche alcune forme derivate da esse: il lavoro, la famiglia, l’economia, le relazioni interpersonali. Adesso che ho concluso la lettura di questo ennesimo saggio comprendo come l’autore, Adam Grant, volle semplicemente sbarazzarsi delle opinioni e delle conoscenze altrui ma seppur non ci riguardano sono saldamente legate al nostro spirito. Lasciarsi alle spalle certe cose, farsi scivolare di dosso cose che potrebbero rendere sin dal principio di poco conto è un bene non solo per la nostra sfera emotiva, privata ma anche per le relazioni che stringiamo col prossimo. Per vivere meglio infatti non dovremmo lasciarci andare, quanto porsi delle domande, guardarsi attorno con saggezza e umiltà, squarciando il velo del possibile, riflettendo, confrontarsi affinché qualcosa si prenda inevitabilmente una parte del nostro essere.
Lasciarsi andare non implica necessariamente arrendersi, quanto fare un passo indietro e comprendere chi siamo e soprattutto quale ruolo svolgiamo in società. Ammettere questo fallimento rinunciando in parte alla nostra identità avrebbe donato una certa forza, il diritto di imporsi contro il parere altrui e spiccare per una volontà superiore, quasi suprema, non influenzata da niente e nessuno, quanto confrontarsi. Il confronto può avvenire solo grazie al dialogo, allo scambio reciproco di opinioni, allontanando qualunque stereotipo che dovremmo essere tutti uguali, tutti sulla stessa scia dell’esistenza umana. Nella medesima scia, si, ma diversi.
Adam Grant, fugge dai canoni del conosciuto riversando in pagine che a mio avviso dovevano essere snellite un po', proiettando un certo interesse allo studio della conoscenza. Alle interazioni che gli esseri umani instaurano, realizzano nel momento in cui creano un certo legame col prossimo. In un mondo in continuo cambiamento, abbracciando la libertà come unico fine per raggiungere la felicità. Quale felicità? Quella di far sentire la propria voce in un coro di voci altisonanti, forti, squillanti, e che, inevitabilmente, dimezzano ogni intento di innovazione e mutamento.

Valutazione d’inchiostro: 4

4 commenti:

  1. Non ne conosco neanche uno; ottime recensioni, grazie

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  2. Ciao Gresi, ho anch'io intenzione di leggere "Génie la matta" e mi dispiace vedere come questo romanzo sia stato una delusione per te. Hai ragione quando scrivi che la vita siamo noi a realizzarla. Ma è davvero sempre possibile venir fuori dal pozzo buio di un'esistenza travagliata? Occorre provarci sicuramente ma non tutti hanno la forza per farlo e trovano, nell'oblio del tormento, la loro pena. Un caro saluto :)

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    1. Ciao! Si, me ne rendo conto. Questa infatti è stata la ragione che mi ha indotta a promuovere il romanzo sufficientemente... non una brutta lettura, ma per i motivi citati sopra non mi ha conquistata come credevo :)

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