Il romanzo di Natsuo Kirino, tuttavia, esula da questa condizione di fede e buone azioni in quanto, sin dal primo momento in cui vi misi piede, avvertì un certo ripudio al sesso maschile dovuto dall’impossibilità di poter godere di ogni squarcio di felicità. Il forte divario fra chi è soggettato da questo magnetismo rispondendo con malizia o gesti poco raffinati e chi subisce continue vessazioni. Quasi un forte senso di indecenza, di oscenità che non si annullano completamente quanto sono garanzia di forza, di tenacia, e il cui senso di sconforto, di solitudine che si avverte è stato così forte, poiché misto a una buona dose di dramma, che è stato davvero impossibile non avvertire. Poiché specchio di una società che è ancora relegata nella tragicità, nella crudeltà di certi gesti.
Titolo: Grottesque
Autore: Natsuo
Kirino
Casa editrice: Beat
Prezzo: 16, 50 €
N° di pagine: 848
Trama: Due prostitute di Tokyo, Yoriko e Kazue - la prima, figlia di madre giapponese e di padre svizzero, dotata di una bellezza quasi sovrannaturale, le seconda, invece, forte di una caparbia determinazione - sono assassinate in modo feroce, e la loro morte lascia una serie di domande senza risposta. Chi erano queste due brave ragazze che si sono trasformate in donne "grottesche", mostri di perversione ed eccessi, di irriducibile quanto tragica volontà di indipendenza? Quali eventi hanno condotto la loro vita verso un esito così tremendo, dove si annida l'enigma di una perdizione che nulla sembra poter arrestare? Al loro tragico destino si unisce quello di un contadino cinese immigrato in Giappone, cresciuto con la famiglia in condizioni di estrema povertà, che viene accusato degli omicidi. Ammetterà di aver commesso il primo, di aver ucciso la bellissima Yuriko, ma non è stato l'artefice del secondo, seppure le due violenze siano così simili, e le coincidenze così schiaccianti.
La recensione:
Siamo
povere creature il cui cuore è stato lacerato da una grande delusione.
La mia permanenza con Natsuo Kirino, il mio stare in sua compagnia durante il periodo di lettura con Grotesque,è stato in oltremodo atipico. Dopo aver tentato strategicamente di capire e di svolgere i miei doveri di lettrice, come se nulla mi impedisse di farlo, seguendo la voce del mio cuore arrivai alla conclusione che pochissimi dei miei viaggi letterari e grandi autori dotati di un forte carisma mi fecero perdere la testa, il senso del tempo e della ragione al punto da protrarre la sua compagnia per altro tempo, verificando di persona la fattibilità di certe azioni. La cosa più importante per me non era di lasciarmi contagiare dal tono brusco, quasi crudele, quanto capire il perché dietro a gesti semplici ci fosse celata tanta crudeltà. Questa era proprio la visione che la Kirino aveva riservato a queste quasi novecento pagine, che in un certo senso turbano, inquietano e inquinano lo spirito, ma per me non così tanto da smorzare la gioia, l’entusiasmo generale che riservo ogni giorno alla vita. Non lasciare che il mio cuore fosse turbato, né che si impaurisca quanto leggere per comprendere, immedesimarsi nei suoi personaggi affinché ogni pezzo del puzzle andasse al suo posto. E così è stato fin quando non giunsi alla fine del suo epilogo, e quanto mi è piaciuto restare e ascoltare qualunque personaggio si presentava dinanzi ai miei occhi giudicandoli per come effettivamente erano e lasciandomi andare al moto perpetuo dei suoi eventi.
Il mio stato d’animo non cambiò né il mio giudizio nei riguardi dell’autrice ha subito modifiche. Credo che i temi trattati dall’autrice siano forme di ostinata indifferenza che donano l’impressione di osservare la realtà circostante con l’interesse passivo di un estraneo, ma in cui inevitabilmente ci si amareggia nella consapevolezza che tutta questa rovina, questo divario che mostrano le sue storie, queste forme di crudeltà o di violenza, dipendano da un certo tipo di esistenza. Così effimera e priva di senso, i cui messaggi sparsi di odio sono un modo in cui la potenza del ricordo spicca nel bel mezzo di situazioni scomode, disagevoli.
Quando conobbi Katsuo oramai macchiata da certi gesti, discendente di una famiglia quasi del tutto estinta, umile ma stoicamente lontana, abbandonata al suo destino, ecco cosa aveva guadagnato con la sua apostasia, soprattutto nei riguardi della sorella, e la sua << punizione>> meritata. Forse cresciuta ingiustamente nel bel mezzo di masse umane dense e compatte che riempirono ogni angolo del suo cuore, inzupparono la sua anima di atrocità e nefandezze?
Grotescque lo si definisce quasi insulso, per la sua mancata originalità, la sua verve semplice e carismatica, il suo timbro orientale che non mostra niente che già non vidi con altre storie o altri autori giapponesi, ma densità, immensità, complessità rispondono a degli idiomi spontanei e naturali che sono insite nel mio animo, soprattutto quando il bagliore acquoso di una storia di questo tipo riverbera ai miei occhi deboli. Sono sentimenti questi, che trapelano nel momento in cui scrivo, ma soprattutto quando leggo, anche se a leggerli sembra più semplice, che con gioia condivido con la sua autrice o il suo autore e i suoi personaggi, e tranne quando avverto il forte sentore di << delusione dietro l’angolo >>, comprendo quanto sia necessario tutto questo. Questo significa, che così come con Le quattro casalinghe di Tokyo, anche questo romanzo mi trasmise una certa amarezza, una certa angoscia, poiché schiacciato da una realtà soffocante da cui è impossibile uscirne, sebbene gli innumerevoli tentativi di ribellarsi, eventualità remota e non certo improbabile grazie a una forza interiore che intimorisce, intimidisce, che tuttavia mi ha permesso di entrare, far parte di questa storia molto più di quel che credevo.
Fu così che finì per trasferirmi a Tokyo, nel bel mezzo di un gruppo di donne che si riflettono in uno specchio di atrocità e castighi, cercando la sconfitta coltivandola da una nuova << abitudine >> durante il periodo di permanenza con il proprio marito o compagno, e mi appassionai così tanto che mi immedesimai a tal punto da nutrire un forte senso di empatia, quasi compassione. Forse perché la stessa Kirino ha a cuore le donne, e da questa storia trapela il suo desiderio costante di libertà e possibilità, responsabilità ed empatia. Di conseguenza l’avversione che nutrono le sue donne, maltrattate nell’ambiente famigliare, ma ben volute dal prossimo, rappresenta quella parte inconscia a cui si aspira. Ritrovando sé stesse, la propria identità, allontanarsi dalle grinfie di uomini masochisti, meschini, misogini che nell’insieme incarnano figure che predominano la donna, la dominano letteralmente.
Il sesso, la crudeltà, la perversione divengono espressione di idee, desideri repressi, il posto da cui forse un po' tutti vorremmo fuggire. Da donna, ho nutrito forti sentimenti di compassione, quasi intolleranza, ad essere costretti ad essere chi non vorremmo essere, vittime del capitalismo e di qualunque tentativo di appropriarsi di ogni cosa. Scrivere diviene così uno squarcio sul mondo, uno spiraglio di dare vita a piccoli e fugaci squarci di speranza, un modo per opporsi, conoscendo se stessi e il passato, scrutando il presente e avvertendo come ci sono cose che possono riaffacciarsi. Una visione lucidissima, disincantata del Giappone contemporaneo, definito come un romanzo noir, un thriller ma la cui vera identità è strutturata nella possibilità di poter indagare come sia possibile reagire alla solitudine, alla crudeltà, all’ingiustizia.
Tutte le vicende erano indirizzate su un unico fronte: l’uccisione cruenta e repentina di donne, tre prostitute, i cui gesti furono completamente dettato da pura insoddisfazione. Mancata libertà. Si, perché in questo romanzo la mancata libertà ha un’anima. Reso semplice in quanto lontano dagli idiomi tipici della letteratura giapponese, scritto a più voci che non si lascia andare a rassegnazioni, quanto si combatte per raggiungere i propri obiettivi. Non brillando per stile, non cadendo nel forbito, quanto diretto, semplice e schietto, scarno di eventi eclatanti ma ricco di disgressioni, romanzo che è una solitaria forma d’espressione infilato nel piccolo vano del mio cuore, con un angolazione a trecentosessanta gradi.
Gioco di luci e ombre, macchinoso, estremamente geometrico e ponderato, determinata a restare finchè qualcosa o qualcuno sciogliesse i nodi di una matassa perfettamente costruita, con gli occhi fissi su un reticolato di disegni, sospiri, frasi sussurrate nel cuore della notte, ciascuna con una combinazione diversa. Pagine di troppo che tuttavia convergeranno tutte in un unico quadro. Intorno, tutto così estremamente opaco, immerso in un luogo famigliare che brucia agli occhi, considerato come un’opera d’arte che dona come la sensazione di essere appartenuti ad un altro mondo, avulso dalla realtà. Travolgendo chi legge con la forza di uno tsunami, facendo risalire il tempo di un secolo, fino al tardo periodo.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
Peccato il voto basso, ottima recensione, grazie
RispondiEliminaNon è basso, anzi è quasi il massimo
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