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lunedì, ottobre 23, 2023

Gocce d'inchiostro: I tre moschettieri - Alexandre Dumas

Problemi di adempimento come quelli che sorsero nel processo di lettura e di scrittura di questa recensione furono risolti dopo una manciata di giorni, dopo un esame attento, lunghe ore di ricerche approfondite, l’incredibile momento in cui dovetti prendere la penna e riporre queste poche righe. I tre moschettieri era un capolavoro della letteratura francese, che personalmente ho preferito un pochino meno a dispetto del Conte, ma che si profilò nettamente come esame di studio davvero interessante. Sebbene sia solo una lettrice e non una studiosa, credo che scavare a fondo in certi capisaldi della letteratura sia davvero interessantissimo. Vigilano su quella che altri non fu che il processo di scrittura dell’autore, l’anno in cui intercorrono svariate vicende, e il momento in cui avrei dovuto tenere a bada i sentimenti per non esserne del tutto fagocitata. Poteva mai essere? Proprio io, che tento di essere sempre pronta e sul pezzo. Ma niente mi avrebbe impedito di dar voce a quella voce dell’anima, che per un momento mi ha come divisa. Combattuta se procedere spedita in queste pagine o avanzare lentamente affinché non fossi annichilita da lotte militari contro l’Austria, chi è ancora impegnato contro le rivolte ai protestanti e chi si fosse radicato in un territorio in maniera stabile. Proprio come la sottoscritta.


Titolo: I tre moschettieri
Autore: Alexandre Dumas
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 720
Trama:Francia, 1625. Il giovane d’Artagnan vuole far parte dei moschettieri del re ma, quando incontra sulla sua strada Athos, Porthos e Aramis, i migliori moschettieri in circolazione, li provoca e viene sfidato a duello da ciascuno di loro. Il duello, però, è proibito e quando le guardie del cardinale Richelieu li colgono sul fatto e minacciano di arrestarli, d’Artagnan decide da che parte stare: aiutare i tre moschettieri. Con un approfondimento alla lettura e una mappa concettuale.

La recensione:


La vita è un rosario di piccole miserie che il filosofo sgrana ridendo. Siate filosofi come me, signori, mettetevi a tavola e beviamo; niente fa sembrare l’avvenire tanto rosa come guardarlo attraverso un bicchiere di chambertin.


L’allegria che ho riservato a queste pagine non si smorzò per tutta la durata della sua lettura, nemmeno quando de I tre moschettieri stavo per abbandonare il grembo francese. Eppure non vi fu alcun ombra di ostilità o di malizia tra di noi. Erano giovani anime forti, combattenti, coraggiose, allevati in sperduti angoli di campagna dove il fatalismo è un sentimento profondo, l’orgoglio, la rabbia avrebbero condotto dinanzi a forme di rivolte da cui sembra non essere alcuna salvezza, rovesciando sempre le prodezze, le virtù di chi è offesa. 

Il cuore pulsante di questa storia metteva in luce l’esigenza di fornire utili appigli, far emergere la propria individualità fuori da rigidi rapporti sociali cristalizzati facendo così emergere il sogno, l’istinto, la follia, l’ignoto. Impossibile celare la realtà, così fagocitata in forme di rivolta e di ignoto a cui mi sono spinta con una certa passione proprio perché qualche anno fa avevo perso il cuore per un suo combattente della medesima nazione,così come altre persone avevano perso il cuore per lui, e questo sentimento è stato per me motivo di studio. Ore soppiantate a ricerche fruttuose e non sulla genesi, sul periodo storico, le tematiche, gli elementi principali che ruotano attorno a questo capolavoro, che per quanto mi riguarda non ha fatto sussultare il mio cuore ma indotta a divertirmi, a non restare mai ferma L’onestà, la lealtà, la fedeltà, l’amicizia come una miscela disomogenea di sopravvivenza, forme che fungono da matrice, motore di ogni cosa, e che mossero ogni cosa. Poiché tali valori, tali virtù dovrebbero essere alla base di ogni individualismo, in figure così isolate che non nutrono alcun sentimento di paura, cercando costantemente l’avventura, l’amore per il romanzesco così come il rischio per la stessa vita. L'amor proprio, la follia che fa tacere qualunque voce, soffoca qualche grido, ogni mormorio o gemito.

Consapevolmente mi sono messa sulla strada di questi valorosi e avvenenti cavalieri, continuamente tartassati da forme di rivolte, ostilità, dotati di ingegno intellettivo così isolati e fortunati, issati a l'impervia cima del favore di corte.Dal contegno placido, dimesso e sottomesso agli ordini di un capo, guidati da un giovane Giove olimpico, ornato di tutte le sue folgori. Non dotati della medesima carisma che mi diede il Conte ma perfettamente incarnati nella gioventù appassionata, spericolata e testarda che però alla fine sarà premiata. Athos, Porthos, D'Artagnan e Aramis fronteggiarono forse inconsapevolmente forme atipiche di idealismo contraddittorie dal sorgere di un periodo così critico che dominerà quello di Luigi XVII e Luigi XVIII. Così tragici e insofferenti per natura ma avulsi quasi in una dimensione magica e tradizionale che dipende da una corrispondenza fra parole e cose. Ma vuote se lealtà e onestà non saranno valide.

Nel bel mezzo di tutto questo, non mi aspettavo che la mia avanzata lenta, in queste pagine, potesse recare così tanta meraviglia, così tanta passione, la mia anima lacerata dal pensiero di dover presto separarmene che quasi non riuscivo a comprendere, poichè da questo ennesimo capolavoro sarei potuta tornare quando mi pare e piace, volta alla cittadella della mia coscienza che stava ancora per raccapezzarsi per quello che aveva assistito. Così la sensazione di dover riscontrare una certa ritrosia a non poter essere coinvolta da tutto questo, svanì così come apparve e pian pianino trovai ciò che cercavo. Mi lasciai andare a forme atipiche di interesse, che sono la genesi da cui I tre moschettieri emisero un certo vagito sul mondo. Tanto acume, tanta attenzione, tanta franchezza che hanno alimentato il mio interesse.

Questo è un calderone di vari riferimenti. Dall’Orlando Furioso di Ariosto, Dumas attinse la lealtà, il coraggio, la difesa dei più deboli e la lotta contro i più forti e l’amore cortese. La perpetua ricerca di qualcosa - amorosa, materialistica -, l’uomo proteso alla realizzazione delle proprie capacità, Al Don Chisciotte di Cervantes, attinse il vissuto del suo autore, alle gesta militari cui fu protagonista, combattente, coraggioso, abile manierista di cappa e inchiostro che servì uomini maldestri e mise in ridicolo i cavalieri e ogni assetto patriottico e satirico dell’epoca medievale, questo testo - definito d’appendice e cavalleresco poiché alimentato dagli stessi cavalieri, dando maggiore importanza a queste figure ma non così indimenticabili come le gesta di Edmond Dantes quanto mosso da fini personali, esclusivamente egoistici, quanto per dovere, patriottici, bellici. Perseguendo il re, amandolo e rispettandolo, mossi da gesti delle volte teatrali delle volte esacerbati che ricordano moltissimo quelli di Shakespeare poiché la stessa teatralità sembra trasformarsi in una grande recita che culmina in falsi duelli e lotte incompiute.

A dispetto degli altri classici letti, non ho riscontrato alcun tipo di fatica fra queste pagine, quanto il processo successivo, quello cioè della sua ricerca, affinchè questa recensione rivelasse assetti più ambiziosi, personali, filosofici, letterari, moralisti anzichè semplici pareri sentiti e avvertiti durante il corso della lettura. Una compagnia straordinariamente bella, che non avrei mai affrontato se non mi fossi accaparrata di questa bella edizione e che mi ha propinato una storia che non ha le medesime complicazioni di altri capostipiti che furono oggetto di studio per l’autore ma ambizioso, anche nelle circostanze più positive, soprattutto in un'epoca che ha in me da sempre sortito un certo fascino, dove un pensiero, se imprigionato nella gabbia della nostra coscienza può restare tale per mesi, anni, secoli senza un vero e proprio fondamento logico o una minuscola parvenza di logicità, dove un susseguirsi di avvenimenti, vicende che sembrano tutte uguali alla lunga causano un calo dell’attenzione, senza però contare i danni che ciò avrebbe causato, o qualche brusca inciampata in passi o eventi burrascosi, avvincenti, tutte le umiliazioni, le sorprese che i giovani protagonisti di queste pagine subirono. Di carattere morale, religioso, filosofico nel quale è stato davvero difficile non poter credere, persino nel momento in cui D’Artagnan è tormentato da storie che sono barbicate dentro altre storie e che lo stesso Dumas definì “ammucchiate”. Digressiva ma anche progressiva, in quanto l’anima delle sue pagine è racchiusa nella bellezza stessa di un astro, che silenzioso osserva la nostra avanzata lenta nel mondo, assediato da enigmi e misteri, e che mediante scrittura acquistano un senso logico. Quelle giuste forme o incrinature per comprendere i motivi per cui << funzionano >> certi meccanismi.

Non credere, o per meglio dire, non farsi trascinare da un romanzo d’appendice come questo, un romanzo di cappa e spada, patriottico e picaresco perché proiettato in luoghi degradanti e gente umile, in una Parigi avviluppata da una miseria scura che conferisce un quadro vuoto, spalancato così immenso in cui brilla qualche punto luminoso, funebri stelle di questo piacevolissimo inferno, apparentemente sembra avulso in forme felici in cui i pensieri sorridevano, la terra da cui attinse era diafana.

Leggere I tre moschettieri mi ha fatta sentire onorata della loro presenza, ho temuto di sentirmi accavallata nelle maglie di una storia apparentemente semplice, ma, folle, originale e piuttosto imprevedibile senza che il sentimento, anche nelle forme più spiacevoli, prevalesse. Ma di sensazioni questo romanzo ne contiene un’infinità, altalenanti come il sentirsi sollevare in aria, abbandonare la terra per un po’ e starmene con la suola al vento, e poiché questi nobili cavalieri sono il perno sul quale ruotano le intere vicende, sebbene un quarto sembrava non dover esistere, godere di questa esperienza è stato a dir poco sensazionale. Questi moschettieri furono quel antieroe moribondo che non ha una sua importanza nel mondo, e che per soffocare questa “impossibilità” sollevano talmente tante questioni, compiono talmente tanti gesti che li rendono  valorosi, forti, coraggiosi, in maniera alquanto spontanea e leale, affinchè la propria coscienza possa trovare profitto. Servire il Re è motivo di grande dovere, sono forme di moralità cui non bisognerebbe rinnegare, e, l’essere umano, è quel povero credulone incoerente che nel momento in cui gli fu riconosciuta qualche cattiva azione fece di tutto pur di schermirsi. Trincerarsi, mediante dialettica, dagli assalti esterni del mondo circostante. Ma invano, perché solo mediante forza sarebbero potuti essere espletati. Lo stesso D’Artagnan è descritto dall’autore con una certa modulazione, ma dotato di un’innata vena umoristica è costretto al supplizio di un’eterna malinconia all’insoddisfazione che gli impedisce di ricavare buon profitto da qualunque cosa. Ma tale decollo, utile a sollevargli lo spirito, fu quel movente che gli permise di aggrapparsi ai paradigmi cavallereschi seguendo con una certa parsimonia, dandogli qualunque forma o sostanza, acquisendo spontaneamente la nozione di originalità piantate nel suo animo. E dunque, malgrado la saggezza e la stoltezza siano condizioni imposte da spiriti animali, specialmente nel momento in cui si osserva l’individuo entrare a contatto col prossimo, quella di Dumas è un’opera che ci aiuta a comprendere come l’individuo è tutelato da diversi diritti e di cui questi moschettieri sono allegoria di entità autonome ma a se stanti che spesso sono influenzati da pensieri esterni. Da eventi, situazioni che rivelano anime appassionate, curiose, per nulla indifferenti ai problemi del mondo, disinvolto, genuino, incauto ma squinternato che a seconda di ciò che vedono e sentono mettono in discussione parole che sono spesso senza riguardo, personalità, tempo o luogo. E, come se non bastasse, pur di non cascare a pezzi perché talvolta il mondo circostante - così oppressivo, che li lascia consumarsi lentamente dal piccolo cantuccio in cui si erano rifugiati – non si cura delle voragini che si erano aperte nel suo petto né della piega scorticata che avevano preso gli eventi. E ora che avevo conosciuto questi valorosi eroi non credo lo dimenticherò tanto facilmente. la loro storia, facendo dei ricordi che serbo di questa lettura come un processo di crescita a ritroso. Evidentemente mi sentivo insoddisfatta di ciò che avevo visto, fin troppo velocemente per i miei gusti, e presi consapevolezza di come effettivamente funzionava il mondo e come Dumas aveva dipinto una realtà finita nel quale egli stesso poteva essere “buttato via”in qualunque momento.

La gioia del raccontare che inganna e rende complici, coinvolti ad essere protagonisti di svariati effetti, che seppur non rispecchia perfettamente i canoni della tradizione storica, esige qualcosa di meno prosaico e complicato di quel che sembra, avvincente e coinvolte che mette da parte un certo gusto per l’imperfezione e la non conclusione, nella sua disordinata integrità, e il desiderio insopprimibile di leggere i volumi successivi, che presto o tardi avrebbero tracciato il proprio sentiero. 

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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