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domenica, febbraio 18, 2024

Gocce d'inchiostro: Le carte della signorina Puttermesser - Cynthia Ozick

Delle volte capita che compio passeggiate, nei vasti viali della letteratura, che poi mi mettono una certa fame. Io, in particolare, abituata ormai a vivere di letteratura, cibare la mia anima di parole e suoni che quasi sempre coincidono con la cittadella del mio spirito, forse un pò troppo a volte, come in questo caso. Non conoscevo la signorina Puttermesser sino a quando il Caso non ha ordito il nostro incontro. Comparsa come una creatura non proprio celeste, nonostante provenisse da un luogo celeste, che ebbe un che di segreto, affascinante nonché parte integrante di un Eden segreto che è atemporalità, e il cui fulcro principale vira attorno a quello di progettare qualcosa di maestoso. La Ozick, ebrea per nascita, riconosce nella quotidianità, nella modernità qualcosa che è sorretto da un partito che coincide col favore delle masse. Poiché il desiderio di conquista di qualcosa forse più grande di noi, tornando sui nostri passi e affondando le radici nel passato, avrebbe esacerbato ogni cosa. Persino assetti tipici di un epoca che in cui è ancora diffuso, l’antisemitismo, lo yiddish, poichè la stessa Ozick fu protagonista di atti di rivolta. Parlando di vita propria mediante temi completamente jamesiani, cioè coscienziosi e moralisti, ma con una visione personalissima e intima.

Titolo: Le carte della signorina Puttermesser

Autore: Cynthia Ozick

Casa editrice: La nave di Teseo

Prezzo: 19, 50 €

N° di pagine: 340

Trama: Con una scrittura affascinante, originale, che canta come un intero coro di sirene, Cynthia Ozick dà vita al suo personaggio e alla sua storia più coinvolgente. Ruth Puttermesser vive a New York. La sua cultura è monumentale. La sua vita amorosa minima (preferisce versare lacrime per Platone che divertirsi con Morris Rappoport, sposato). Le sue fantasie, invece, rivelano una sconcertante tendenza ad avverarsi – con conseguenze disastrose per ciò che, comicamente, definiamo realtà. La Signorina Puttermesser vorrebbe tanto una figlia, e prontamente ne crea una, senza aiuto, nella forma del primo golem femmina di cui si abbia memoria. Mentre si dà da fare nelle pieghe polverose del servizio civile, sogna di cambiare la città – ed ecco che riesce a diventarne il sindaco. La Signorina Puttermesser riflette sull’aldilà e vi si butta a capofitto, solo per scoprire che trovare un paradiso significa anche perderlo. Strabordante di immaginazione di vibrante umorismo, Le carte della Signorina Puttermesser è un vero e proprio luna-park letterario, scritto da una delle autrici più visionarie del nostro tempo.

La recensione:


Non ci sono un tempo lungo o un tempo breve. C’è solo il fatto incommensurabile di essere. Solo il fatto incommensurabile di essere è per sempre. Possiamo chiamarlo “essenza “ o anima. Ma all’interno dell’anima le immagini si spostano, vanno alla deriva, vagano.


Soltanto dopo aver divorato una manciata di pagine, dopo aver conosciuto questa arcigna e superba signorina Puttermesser, ho compreso. Ho capito che mi era stata data l’occasione di affrontare un tipo di situazione che aveva dello straordinario. Era superba, onomastica, egocentrica nel senso che ruota attorno ad un unico punto, e, in particolare, mi stette a cuore. Mi conquistò inaspettatamente, l’ho compreso solo dopo. Qualche giorno dopo ho concluso questa lettura, seduta nella mia poltrona preferita, fra il silenzio delle mie riflessioni. Con la mente quasi sgombra da pensieri, ma con ancora nelle orecchie la voce gracchiante di Mrs Puttermesser, Ruth, il cui nome è una derivazione tedesca di un particolare tipo di coltello. Apparentemente tagliante ma incapace di ferire, anima inquieta che rappresenta quella voce altisonante di alienazione. Nel bel mezzo di una furiosa contrapposizione di mondi, quello personalissimo dell’autrice - l’Ebraismo e le sue origini - e quello moderno, la quotidianità con archetipi di pregiudizio e declino cognitivo, Mrs Puttermesser era intrappolata in forme di convenzioni sociali che, vigilati dalla potenza del nostro signore Iddio, la cui minimalità è racchiusa nell’impulso dell’essere e nella sua conservazione, creatura alienata dal resto del mondo ma nel cui spirito arde il desiderio di affermare se stessa, con forza e furia, tra il fragore del mondo che si avvia sempre più nello scatafascio. Messaggera nel comprenderlo e nel proteggerlo, creatura anfibia sospesa tra vile e disprezzo, mera decenza e bonarietà forzata. Sopravvissuta ad azioni meschine di potenti mediante cui ironizza postulando la vita come matrice della stessa, dopo la morte, racchiusa nell’aura lucente, celestiale di scovare quella beata esaltazione di un'eternità mai interrotta.

Prima di sedermi alla scrivania, aprire il mio computer e riporre queste poche righe, ho necessitato del tempo. Tempo per schiarirmi le idee, tempo per compiere qualche ricerca in merito al romanzo e alla sua autrice, tempo per me stessa e per ciò che era rimasto dentro di me. Silenziosamente incorre ancora una lotta incessante fra due anime: ragione e sentimento per la riuscita di un testo che non conoscevo affatto e il mio modo di assimilarlo, su vasta scala, con quel poco di conoscenze letterarie che possiedo in merito. Ho scoperto poi, che quella raccontata in queste pagine non fu nient’altro che un assetto autobiografico della sua autrice, originaria di famiglia ebrea, spesso protagonista di innumerevoli scontri e rivolte, insostenibili quando era ragazzina, quasi del tutto accantonati parecchi anni dopo in cui il Tempo ha allietato e mitigato ogni cosa, anche se non del tutto, cosicché questa piaga pulsante suppurasse.

Per quel che mi riguarda, parlare di forme di redenzione, al giorno d’oggi, non è mai semplice. La Ozick vira sul convenzionale, sul composto e il flusso di coscienza che ne deriva fiorisce con amabili usanze, in cui resta intatta la figura dell’uomo racchiusa nel suo piccolo agglomerato. Come ai tempi del feudalesimo, poggiando sul potere di forme di burocrazia distante ma avvizzite dai territori, da autorità o gerarchie. E sorretto da uno stato che vira alla democrazia, al miglioramento, costituito da agglomerati di gente comune prive di legami, virtù o affetti.

Quasi essenza di un personalissimo Eden, quello dell’autrice, che come un poeta non ancora risorto, compone versi provenienti dalla letteratura classica, greca, vittoriana, dalla modernità, realizzando un regno riservato, fiorito ai defunti. Simulacro di una visione tangibile, soggetta alla sua figura violenta, remota, distante, superba dalla volontà dilaniante e altera. Figura solitaria che vaga lungo la riva dell’assurdo, dell’illusione, del fantasmagorico, assistendo alla tragicità della vita non solo come spettatrice ma come derivato di un programma, la cui provenienza è lontana, remota. Affettazioni dell’anima che coincidono con la supremazia, il sentirsi imprigionati e intrappolati in qualcosa che non dona gioia, quanto sconforto, in un teatro di azioni sconnesse ma significative.

L’interesse mostrato mi spinse a stilare una lista di romanzi della Ozick, che presto o tardi mi piacerebbe leggere. Portare avanti un progetto, che inconsapevolmente avevo realizzato durante la mia permanenza fra queste pagine, che hanno fatto sussultare non solo il mio cuore ma persino l’anima. Perché una volta dentro avrei avuto bisogno di qualche altra piccola dose per sentirmi completamente soddisfatta, lieta di averla dovuta salutare e che mi avrebbe concesso l’opportunità di conoscerla a fondo. Perchè se non è questa letteratura, quel genere di opera adatta a me, cosa dovrebbe essere? Stimolo, riverbero cervellotico e passionale, un tipo di letteratura di cui io stessa vivo, respiro. Poichè a volte la modernità può essere ritratta anche così, gravemente ma con veridicità e forza.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

2 commenti: