Generalmente non credo sia indispensabile scrivere una recensione di un saggio. Voglio dire, trattasi di un opera tendenzialmente personale, osservazioni critiche su un determinato argomento, e sedersi dinanzi alla scrivania affinchè ci si senta in equilibrio, anche solo in misura ridotta, col suo autore o con la sua autrice significa molto poco. Non per me, però, che amo scrivere proprio per questo. Dare voce a ciò che ha effettivamente importanza.
Questi saggi, qui raggruppati in un unico post, sono giunti quando meno me lo sarei aspettata, e con curiosità e un forte desiderio di scovare una strada, in un momento particolare della mia vita, che per alcuni attimi sembrava introvabile, alla fine ha proiettato su di me quel che cercavo: una certa luce. Seduta, fra il silenzio delle mie riflessioni, in una stanza ricca di sapere e conoscenza che, in una manciata di parole, ha finito per fagocitare anche me.
Titolo: Come essere stoici
Autore: Massimo Pigliucci
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 288
Trama: Ogni qualvolta ci chiediamo cosa mangiare, in che modo amare, o semplicemente come fare a essere felici, ci stiamo in realtà domandando come condurre nel migliore dei modi la nostra vita. Ma dove possiamo trovare, nel mondo di oggi, risposte valide? Il filosofo Massimo Pigliucci propone di non cercarle in lontane tradizioni spirituali orientali, ma di trarre ispirazione dall'antica e più prossima filosofia che guidava Seneca e il grande imperatore Marco Aurelio: lo stoicismo. Risalendo alle sue fonti potremo finalmente rispondere agli interrogativi che assillano quotidianamente noi donne e uomini moderni, da come far fronte alla rabbia o all'ansia al modo in cui risollevarsi dopo una dolorosa esperienza personale. Con questo libro impareremo ad agire sulla base di ciò che è realmente sotto il nostro controllo, e a separare da tutto il resto ciò per cui vale davvero la pena preoccuparsi, così da avere sempre, come auspica una saggia preghiera stoica, "la serenità di accettare le cose che non possiamo cambiare, il coraggio di intervenire su quelle che possiamo cambiare, e la saggezza di distinguere le une dalle altre".
La recensione:
E’ il nostro stesso giudizio a dirci se è giunto il momento di varcare quella porta rimasta aperta o se invece è il caso di restare e combattere per un altro giorno.
Mi domando spesso, quando mi approccio alla lettura di certi saggi, se alla fine, sono così relativamente importanti come dicono. Per quanto mi riguarda, dedico del tempo a questa tipologia di testo solo se si rivelano non solo dei trattati filosofici ma anche piccole perle di saggezza. Insegnamenti inculcati da uno sconosciuto, ma che, in un momento particolare della nostra vita, la cambiano completamente.
Questo saggio giunse in un momento particolare della mia vita che, sin dal primo momento in cui lo lessi, compresi come ciò che racchiudevano le sue pagine non fossero semplici congetture relative allo stoicismo e all’approccio che l’uomo proietta nella sua vita e nel rapporto con gli altri, quanto al dipinto che fa l’autore in relazione ad esso.
Perché quella dello stoicismo affonda le sue radici nell’antica Grecia, fra autori come Socrate, Aristotele e Epitelio che fecero dello stoicismo un arte, un modo per comprendere la vita. Perseguendo una strada che conducesse a un tipo di felicità imprecisata ma che coincide con i sentimenti, con il fabbisogno personale.Massimo Pigliucci induce a porsi alcune di queste domande per comprendere quali comportamenti adottare, se un comportamento freddo e distaccato possa essere essenziale a << difendersi >> dal prossimo, quanto riconoscere l’esistenza riflettendo su ciò che le ha provocate. Ateo e professore d’arte della comprensione, l’autore adottò lo stoicismo come stile di vita, lo stesso che è insito nella mia natura da qualche tempo a questa parte, e che in maniera coincidente ai miei bisogni, al mio essere, induce a rispondere in un certo modo: non perdere il controllo, quanto ponderare bene ogni cosa. Essere utile per il prossimo e, soprattutto, per se stessi.
Ed ecco che, in momenti particolari, tale dottrina induce a porsi delle domande, a camminare sulla landa desolata della vita quasi come animati da volontà propria, guardandosi attorno e domandarsi: “ Come posso condurre la mia vita? Come posso arricchire la mia esistenza?” Arricchendo il tutto mediante virtù, distorsione di forme coincidenti e non che hanno a che fare col nostro fabbisogno spirituale e morale.
Valutazione d’inchiostro: 4
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Titolo: Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera. L'arte di leggere
i classici in dieci brevi lezioni
Autore: Guendalina Middei
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 208
Trama: Leopardi, Tolstoj, Manzoni, Mann, Kafka, Dostoevskij, Austen, Tomasi di Lampedusa e Orwell rivelano le illusioni in cui siamo irretiti e ci danno strumenti di straordinaria modernità per vivere in un presente incerto. In questo viaggio attraverso alcuni dei loro capolavori, Guendalina Middei presta ascolto alle voci che, come magiche zattere, si levano dalle loro pagine, alla ricerca di quelle stelle polari che indicano la rotta in questa strana cosa che si chiama esistenza. Nei personaggi, che si muovono tra gli inciampi, le emozioni e la ricerca di un senso profondo, l’autrice sente risuonare le tante domande che bruciano dentro di noi. Così, Anna Karenina non è solo la storia di una relazione clandestina e tragica, ma quella di una donna che, riappropriandosi dei suoi desideri, rinasce alla vita. Delitto e castigo ci racconta di un giovane che sente e pensa troppo intensamente, interrogandosi sul dolore e su come superarlo. In Leopardi ritroviamo l’ansia tormentosa di un ragazzo che vorrebbe aprirsi al mondo e scoprire quale posto occupare. E, ancora, a quanti è capitato di vivere una metamorfosi interiore tanto inaspettata come quella di cui ci parla Kafka?
La recensione:
Vedo nella raccolta dei saggi, opere di crescita personale o testi critici molte << fattezze >> del lettore. Cosa intendo dire? I saggi, la maggior parte dei casi, non tolgono né aggiungono niente che già o meno si conosce in merito ad un determinato elemento. E ad accumularli è un unico processo: quello della ricerca. Non mi riferisco alla Ricerca del mio amato Proust, quanto a un tipo di indagine, personale, visiva, filosofica, morale in cui forti sentimenti quali di gioia, di felicità ma anche rammarico o sofferenza convergono all'assuefazione di idee, pensieri che ignoravamo completamente.
Mi colpisce sempre questa tipologia di approccio a un testo, soprattutto se di un saggio, in quanto l’età di chi l’ha scritto diviene un elemento banale, nel marasma di informazioni che vado a pescare, a scovare come un viaggiatore solitario disperso nel Cosmo. Eppure le condizioni sociali di cui mi faccio carico, raccolte desiderose che hanno a che fare con la visione di qualcosa di tendenzialmente speciale, segreto come una pietra preziosa, e volti che hanno la stessa espressione persa, quella di chi ama perdersi tra le pagine di un libro, di mondi che forse esistono solo nella sua testa, fungono da forme estatiche di piccoli elementi che compongono l’universo personale di ognuno di noi.
Estasiata ed attonita di tutto questo, ho così colto l’idea di abbracciare la lettura di più saggi, da questo 2024 in poi, semplicemente perchè desidero anche io perdermi in questo tipo di viaggio di cui vi facevo cenno, quasi una venerazione divina che leziosamente offrono cucchiaiate di conoscenza che finisco per bere come bevande calde e dolci. Un piatto colmo di informazioni o scevro, a seconda dei casi, di cui mi impegno a pregustare lentamente, con attenzione e dovizia di particolari, e il cui aspetto illumina metaforicamente parlando la piccola canfora del mio animo, che nella maggior parte dei casi coincide con chi lo ha scritto, assuefatta poi da qualcosa che aleggia attorno al fuoco del genio creativo di chi reca ancora i segni sul volto e sulla testa.
In questo modo sono entrata a far parte del mondo di Guendalina Middei, mia amica virtuale sui social, nonché lettrice assidua di un tipo di letteratura che io amo moltissimo: i classici. Un harem segreto di lettere, suoni, parole, che da qualche anno a questa parte, ho scoperto essere divenuto linfa vitale della mia esistenza, passato nel palmo delle mie piccole mani e raccolto in una manciata di giorni. Questo è ciò che rappresenta l’esperienza di Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera, offertomi come cibo benedetto, nonché plauso al bellissimo mondo dei classici, soprattutto quelli russi, che ho messo in bocca quasi senza rendermene conto, per poi, una volta digerito, assemblato con questa recensione.
La vita era stata interpretata mediante l’arte di parole che, messe di traverso, lungo la corrente di un fiume, inducono a nutrire un profondp e istintivo amore per i russi, odiati e temuti da tutti, ma non per me, che ha amato Anna Karenina sin dalla prima pagina, forme d’arte che ancora bruciano sulla pelle, le prestazioni dinanzi ad ore e ore di intenso elogio visivo che spogliano di ogni banalità, ogni forma egoistica poichè contagiati dal tono coinvolgente, gaio ed entusiasta della sua autrice nel volerci simpatizzare con i russi. Persino con chi attingeva una certa forza dai mali altrui o da forme archetipe di egoismo. Io stessa ne ho avvertito il fascino. Consapevole che quelle che per altri non sono altro che semplici risme di carte, per me rappresentano la vita.Incredibile sequenza di gesti che hanno a che fare con qualcosa di profondamente riacquietante.
Le parole avevano finito per trascinarmi lungo un fiume zeppo di curiosità, personali e non, in cui il processo di scrittura scandisce innumerevoli tentativi fatti per esplicare con forza l’amore che la Meddei riversa per i classici. Questo saggio ne è un bel tentativo in cui io non ho potuto fare a meno di sentirmi coinvolta, non cancellando le nozioni che avevo appreso quanto rievocandole. Accreditando a tale assetto della mia vita un simbolo, in un giro di anime annichilenti e annichilite che hanno assuefatto pure me.
Valutazione d’inchiostro: 4
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Titolo: Vivere con i libri
Autore: Alberto Manguel
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 128
Trama: Alberto Manguel ha scritto un'elegia struggente ma non nostalgica, dolce ma non rassegnata sul nostro amore per i libri. E su come essi siano, insieme alle librerie e alle biblioteche pubbliche, la base del vivere civile. «Manguel ha tracciato una cartografia dell'eros della lettura. È il Don Giovanni delle biblioteche». «Uno scrittore scrive quello che può, un lettore legge quello che vuole», disse una volta Jorge Luis Borges. Intendeva che il lettore gode di una libertà che allo scrittore è preclusa: libertà di immaginare e di imparare, certo, ma anche libertà di leggere o non leggere un libro, di decidere cosa è o non è un classico, di ignorare le mode o gli obblighi di lettura. Un lettore o è libero o non è. Forse non è eccessivo definire Alberto Manguel, scrittore, traduttore, critico, direttore della Biblioteca nazionale argentina, il «lettore definitivo». E infatti nel corso di una vita intera dedicata ai libri ha costruito una biblioteca personale di oltre 35 000 volumi. Ma cosa succede quando si ritrova a dover traslocare dalla sua casa nella Loira a un piccolo appartamento newyorkese? Succede che deve scegliere quali volumi portare con sé e quali lasciare in un deposito, passarli in rassegna, uno dopo l'altro, e ascoltare la loro voce. La biblioteca di Manguel, a parte una manciata di esemplari, non possiede volumi particolarmente rari: è composta tanto di umili tascabili quanto di volumi rilegati in pelle, di novità luccicanti e di malconci libri che si porta dietro in ogni trasloco fin da quando era bambino, libri belli e libri brutti. Il fatto è che i libri raccontano tutti una storia. Non solo quella che c'è scritta dentro (che a volte non è nemmeno la piú importante), ma quella che si portano dietro. Perché ogni biblioteca è un luogo di memoria: sugli scaffali si succedono non solo i volumi ma anche il ricordo di quando leggemmo quel determinato testo, la città in cui l'abbiamo comprato, la persona che ce lo consigliò, il piccolo o grande dolore che quella lettura ha saputo lenire. Una libreria è una collezione di malinconie e di gioie, un repertorio di persone amate o dimenticate, un tributo alla speranza (o all'illusione) che quell'inerme massa di carta possa in qualche modo restituirci l'immagine degli individui che siamo. Cosí, mentre imballava la sua biblioteca e ne ascoltava la voce, Manguel ha scritto questa luminosa elegia con «dieci digressioni» che è tanto un diario di letture quanto una meditazione appassionata e urgente sulla lettura nel tempo presente; un'autobiografia e una riflessione sull'importanza delle biblioteche pubbliche e delle librerie per cucire insieme il tessuto civile di una comunità; una storia d'amore e di libertà degna di Eco e di Borges.
La recensione:
Per perdere si deve prima trovare. Se la perdita ( o la sua possibilità ) è intrinseca a ogni proposito e a ogni speranza, allora quel proposito, quella speranza, quel desiderio di costruire qualcosa che sorga dalle ceneri fa per te, in egual misura, di tutto ciò che perdiamo.
Per un lettore i libri sono il sapere di tutta una vita. Innumerevoli storie, le prime avviate in tempi immemori, celebrate con dovizia di dettagli, mediante regali inaspettati o impulsi dell’anima, consapevoli nemmeno nel momento in cui concepiamo l’idea o il gesto. Gli altri, quei viandanti che invece di parole non amano cibarsi assolutamente, vedono tutto questo come banalità… Cosa ce ne importa a noi?
Alberto Manguel, studioso, professore e soprattutto amante dei libri e della letteratura fece della lettura, dei libri un rito assolutamente necessario specialmente in un determinato momento della nostra esistenza. Un individuo comune, chiunque si appresta a sbilanciarsi in un mondo così popolato da figure, frasi e parole che portano fuori a vedersi con gli occhi di un altro, diventa quella piccola fiammella con cui Manguel fa di questo saggio essenza o linfa vitale di ogni cosa. Neppure la morte riesce a dare adito a certe libertà. Qualche giorno in compagnia di un saggio estremamente esile ma intensissimo mi indussero ad aggirarmi in questo piccolo santuario di parole impossibilitata tuttavia a cogliere pienamente ogni cosa afferrata dall’esperienza. La creazione è stato quel battesimo magico che ha indotto a non fallire, dinanzi allo stridore del mondo, in cui ci si avvia sempre più dinanzi alla prostrazione, al degrado di cui noi non siamo altro che parti di un arazzo da cui restiamo assuefatti di certe cose.
L'autore di questo romanzo, questa biografia lavorativa, concerne perfettamente con la figura solitaria, spesso nevrotica e solitaria del libraio comune. Non c'è nulla di strano in questo. Orwell, continuamente citato da Manguell lo sapeva bene. Non ci si presenta con una forma o identità. Non si possiede niente che lo faccia distinguere dalla normalità.
Innumerevoli saranno state le ricerche effettuate dall’autore in merito, all’amore che riserva alle parole, alle storie - quelle che ti si attaccano addosso e lì restano- , di quella gente che si presenta come grande divoratrice di lettere, di universi immaginari di cui ho sentito parlare o avuto la fortuna di leggere, di destino, di anima. Accozzaglia di appunti, brevi annotazioni che hanno messo in ordine qualcosa, sicuramente la sua anima, il suo mondo, il suo modo di trovare conforto non solo dalla carta e l'inchiostro, in modo da trovare un posto pure per se stesso. Influenzata da altri autori, a parte naturalmente lui, mi sono intestardita a leggere questo saggio poiché amante delle librerie e soprattutto solidale nei confronti di chi ama scrivere, perdersi fra le parole. Ascoltandolo parlare con i lettori, con la mia anima, di riflessioni, e visioni che hanno funto da santuario magico e inviolabile, e della monotonia di alcune giornate, sempre uguali a se stesse, e del distacco di alcuni "lettori" dinanzi a un buon libro. Ed io non ho potuto fare altro che ascoltare, pensare tutto ciò che rientrò nei suoi schemi, e tempestando la mia coscienza di domande, scalfendo la mia anima come non avrei mai creduto.
Valutazione d’inchiostro: 4
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Titolo: Mattino e sera
Autore: Jon Fosse
Casa editrice: La Nave di Teseo
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 160
Trama; Un bambino viene al mondo; si chiamerà Johannes, sarà un pescatore. Un uomo ormai anziano muore; si chiamava Johannes, era un pescatore. Mattino e sera si estende tra i due estremi della vita, come tra i due estremi del giorno, tra i pensieri di un padre che vede nascere suo figlio e quelli di un vecchio che affronta le cose di ogni giorno, nel suo ultimo giorno, cose sempre identiche, riconoscibili, eppure definitive. Con una lingua vivida e aderente ai dettagli più minuti dell’esistenza e della sua bellezza, percorrendo le domande più importanti di ogni uomo – le più semplici e assolute – Jon Fosse scrive una novella di incredibile potenza poetica, che conferma ancora una volta il talento del più grande scrittore norvegese contemporaneo.
La recensione:
Lo spettacolo era cominciato da un pò. Silenziosamente, questa storia aveva bussato alla porta del mio animo dopo alcune recensioni entusiastiche, nell’approcciarsi ad un autore come John Fosse. Entusiasta ma sempre diffidente, incuriosita ad approdare anche io in questo palcoscenico fantasmagorico di voci e suoni la cui esistenza ha a che fare con l’anima. La mia? Può darsi.. Ma, in primis di chi scrive, in un'attività proiettata nel quotidiano ma che mi ha trasmesso un’infinità di sensazioni. Effettivamente questo piccolissimo romanzo, costituito da nemmeno 200 pagine, procurò una fitta di dolore che ebbe a che fare con la vita che stava lentamente appassendo, in un paesaggio luminoso, celestiale, splendido. Una vecchia forma di scrittura che, quasi come un soliloquio shakespeariano, combina talento, amore, passione, pantomima e commedia magica, nata dalle antiche danze con cui i tempi in cui Fosse professò l’arte delle parole era già avviata. Raccontando storie che hanno del divino, del prezioso. Mattino e sera è per il momento, e purtroppo aggiungerei, l’unico romanzo che abbia letto di questo autore, insigne al premio Nobel per la letteratura, classico poeta del cuore umano che risucchia dall’anima algoritmi di vita quotidiana ma che vibrano di magia, splendore. E, tale splendore di cui parlo, non scompare nemmeno quando la vita ci pone dinanzi a qualche dispiacere, bensì contribuiscono a un meccanismo di rinascita: alleviando le pene dello spirito è possibile ristabilire o rassettare la ragione. E, in questo romanzo esplicabile mediante il viaggio di un pescatore. che ad un certo punto della sua vita, scomparirà fra un banco di nebbia. Viandante umile e disilluso la cui vita è stata spianata, quando meno se lo sarebbe aspettato.
L'eco di parole così lontane nel tempo svanì a poco a poco. Una fitta nebbia cominciò a diradarsi pian piano, nel momento in cui io decisi di inoltrarmi fra le acque fangose di un vecchio villaggio. Sapevo che qualcuno avrebbe seguito questa mia avanzata lenta da quando avevo deciso di leggere questa storia. Potevo sentirne la presenza e gli occhi che accarezzavano il mio profilo da lontano, in attesa. Quando arrivai non credevo possibile che, impunemente, aveva danzato fra le pareti stracolme della mia libreria, solleticando la mia pelle, dipingendo figure di carta colorate nel vuoto. La passione per la letteratura mi ha indotto a fiondarmi fra le pagine di Mattino e sera, con la sua triste storia di miseria e povertà, purezza e disinganno, semplice ma toccante, capace di renderci prigionieri delle stesse pene inflitte al povero Johannes. entità pronta a protrarsi, confinata nel suo spazio, senza però la possibilità di evolversi o tramutarsi.
Primo approccio con un autore il cui nome conoscevo solo per sentito dire, Mattino e sera rientra in quella categoria di romanzi in cui al termine della lettura mi trovo in balia di sensazioni particolari. Incerta, sconcertata, in preda a sensazioni che non riesco nemmeno io a dar voce, saldamente convinta che esistono storie capaci di lasciarci davvero senza parole.
Non ho idea se tutto questo ha a che fare con la sofferenza che è stata inflitta a un cuore giovane e puro, qualche tempo fa, quella condizione di malessere che non ha alcun fondamento logico, dettata dagli incauti sussulti di un anima romantica. Eppure, quando sono soggetta a simili torture chiudo spontaneamente la porta della mia stanza sul mondo isolandomi con persone che profumano di carta e inchiostro. Indugiando con lo sguardo più del necessario, origliando cose che non avrei dovuto ascoltare, intrufolandomi come una ladra fra le scalcinate mura del loro cuore.
Un racconto in cui il silenzio si prolunga per quasi tutto il romanzo, che appassiona e in parte sconcerta, inducendo a ricordi vaghi che assumono contorni incerti e colori poco nitidi. Affascinata ho letto di questo ragazzo e della sua triste storia, nonostante non possedesse niente di più affascinante a dispetto della mia, e, dopo averlo salutato nell'ultimo paragrafo, nella mia stanza ho chiuso gli occhi e immaginato come mi sarei comportata io al suo posto.
Un romanzo asciutto ma appassionante, stimolante e incalzante che nonostante tutto mi ha trasmesso piacevoli sensazioni. Fra lugubre e sciatte stanze, memoria di una vita lontana priva di ambizioni e sfortunata come i protagonisti dickensiani.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
Ottime recensioni, grazie
RispondiEliminaA te 🤗
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