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sabato, marzo 09, 2024

Gocce d'inchiostro: Il richiamo del corno - Sarban

Non conoscevo Sarban e leggere questo suo unico romanzo sarebbe stata una buona opportunità per conoscerlo. Così mi parve quel pomeriggio in cui, ancora in vigore gli sconti Adelphi, acquistai questo romanzo mediante il parere entusiasta di una ragazza che seguo sui social. Era come avvertire il lontano eco di una storia che proveniva dal passato. Io avrei dovuto semplicemente fare un passo: acquisatre il romanzo. Una volta in mia possesso, portarlo a casa, aprirlo e…. scomparire! Per meglio dire, questa è stata la sensazione avvertita in queste pagine. Era come se grazie a questa storia messa in scena, alla magia, al magnetismo che trasmettono le sue pagine, al secolo narrato, alle luci cupe e ombrose, forse anche a questo stato allucinogeno cui fui protagonista, fossi riuscita a sollevare dai miei occhi il velo che mi impediva di vedere << il resto >>, varcando la soglia di un’altra dimensione e entrando nel mondo di un’altra realtà. Il richiamo del corno, quindi, mancava di far parte degli scaffali della mia libreria, e nonostante tutto, nonostante non mi abbia appagato completamente mi ha reso felice di essere lì. A non poter staccarmi. Attratta da una musica particolare che proveniva da un luogo sconosciuto. Forse dall’anima del protagonista o del suo stesso autore… chi può dirlo?!? Ma accompagnata da un’intonazione che ha avuto un che di struggente.


Titolo: Il richiamo del corno

Autore: Sarban

Casa editrice: Adelphi

Prezzo: 12 €

N° di pagine: 191

Trama: Quando Alan Querdilion, un ufficiale della Marina britannica, si risveglia nel letto di uno strano ospedale sono passati centodue anni, il mondo non è più lo stesso e lui si ritrova imprigionato in un incubo. I nazisti hanno vinto la seconda guerra mondiale e regnano incontrastati. I prigionieri-schiavi vengono allevati e trasformati nella selvaggina di un feroce sovrano. Un terrore remoto e indicibile si impossessa lentamente di Alan: è "il terrore che si prova ad essere cacciati". Qualcosa di notte si muove nella foresta e brama sangue. Lo sente avvicinarsi da lontano, preceduto dal suono di un corno. Sono note isolate, appena avvertibili, separate da lunghi intervalli, "ognuna così solitaria nel buio e nel silenzio assoluto, come un'unica vela su un vasto oceano". Poco dopo la fine della guerra, e ben prima che il genere distopico infuriasse fra i lettori di tutto il mondo, un diplomatico inglese estremamente discreto, che passava da una sede all'altra del Medio Oriente, scriveva questo piccolo romanzo, che fa pensare a un racconto di Wells, e dove all'immagine di un futuro alternativo governato dai nazisti si sovrappone ben presto la terrificante visione di un mondo capovolto e arcaico, regolato dalla caccia fine a se stessa. Ossessione ricorrente da varie migliaia di anni fino a oggi, e forse oggi più che mai. Con una nota di Matteo Codignola.

La recensione:

Chi entra in questo tempio, perché mi ha dato l’impressione trattasi di un luogo sacro, deve essere consapevole che il benvenuto che sarà dato, nel momento in cui varchiamo la soglia, ha un chè di solenne, aulico, una certa importanza insomma che se non rispettato avrebbe potuto frantumare la << magia >> che risiede al suo interno.
Il richiamo del corno, di un autore che disgraziatamente non conoscevo e che, per mia fortuna, scrisse solo questo testo in prosa - il resto, qualche poesia -, mi trattenne come un dettaglio rilevante: un uomo comune cade intrappolato in un sonno profondo, in un luogo che dà assuefazione, sradica l’anima da tutte le altre sofferenze e fa del cuore un deserto dove non crescono nè paura nè dolore. In preda al guado: una pendolare fra due mondi. Quello vecchio della realtà e quello magico dei sogni, che non avrei voluto andasse perduto, poiché soppiantato da quello nuovo di cui a quanto pare non potremmo più farne a meno: così magico, con le sue antiche profezie, le sue tradizioni alla cui base c’è un evento scientifico. Quello che coincide con una battaglia o una guerra, insinuando nel nostro spirito il tarlo della perplessità, della preoccupazione e soprattutto una visione soggettiva della storia.
Durante le manciate di giorni in cui ho potuto riflettere, ponderare a fondo i miei pensieri al riguardo, ho immaginato parecchie volte Sarban: creatura alata che dal mito europeo aveva recuperato e descritto il mondo forgiato dai nazisti, quello relativo alla caccia selvaggia o quello di Odino e del suo equivalente mitologico. Proiettato in Alan, militare che si troverà fuori dal mondo, quello sospeso fuori dalla storia in cui lo spaventoso arbitrio dello stato nazista viene trasposto nel regno del terrore mitologico del conte Hackerberlg. Temporeggiando prima di mettere assieme del materiale per riporre un ritratto di un uomo affetto da una strana forma di ossessione e follia, la cui storia si attacca come una seconda pelle all’anima di chi legge ponendoci domande che giungono dritto al cuore, fluiscono da una bocca invisibile prendendo vita, giungendo verso di me in una processione interminabile di forme e volti, così grigi e banali, privi d’espressione. Sogni che nascondono profonde verità, una verità che luccica debolmente e in profondità come il fluire riflesso dell’arcobaleno di una favola.

Mi sono trovata a sbarcare fra le viscere di una storia che proveniva da molto lontano, lavorando su di me con la forza di un magnete, guidata dalla voce altisonante e suadente dell’autore che mi indirizzò in un fosco teatro di elementi impregnati di immagini straordinarie e parallelismi. Quasi un’ossessione all’ignoto, allo sconosciuto, al misterioso, alla vita umana che si svolge sul nostro mondo, ridotto in polvere e cenere, così brutto e logoro, dall’esistenza vacua e vuota il cui retaggio di culture magiche ed esoteriche è zeppo di sordide figure. La stessa foresta - non quella indimenticabile di Djuna Barnes -  è una fenditura capace di differenziare il mondo reale e quello esoterico in cui l’uomo stesso si riduce ad un’entità senza anima in cui le scintille della vita, le sue idee si spingono e si spengono ignorando così la loro natura. Un mondo dominato dalla Germania nazista che, per usare un eufemismo, allevarono gruppi di schiavi rendendoli orfani e idonei a servire i capricci della razza ariana.

Questo corno che si avverte in continuazione serra il cuore, dotato di profanata malinconia, di selvaggia stranezze e che parla attraverso il torpore della sonnolenza, del dormiveglia, del dolore e di una pena desolante. E che mi condusse a seguirlo in un’avventura incubitrice, angosciante, ammaliante di cui non potremo più liberarci da qualunque forma maligna poiché coinvolti completamente nel dramma di un povero disgraziato, Alan Querdilion finendo vittima delle gesta di una realtà più grande di lui, repentinamente protagonista di un sogno intenso senza sogni, circondato da figure che non avrebbe più rivisto, ha sortito un certo fascino in me. Fu accusato di omicidio, violenza, come un controrivoluzionario, e mandato a scontare una pena apparentemente crudele e ingiusta.

La fame più nascosta della nostra anima, quella intima, nonché simbolo perenne rivestito di polvere e sangue, è uno dei principali motivi che induce l’uomo a specchiarsi nello stagno della vita accettando il peso delle sofferenze gravare sulle sue spalle fragili, non rinnegando niente e nessuno. Solo nel momento in cui prenderemo consapevolezza degli eventi, che personalmente capì cosa sarebbe accaduto: questo spettro della guerra che è causa di una generazione in completo appiattimento, disfacimento del mondo. Si pensa di toccare l’apice della follia, di essere mossi come funamboli, marionette senza vita, ma non riusciamo a distinguere ciò che è vero e ciò che non lo è nonostante la verità, la realtà circostante è a un palmo del nostro viso. Eppure è da ciò che deriva il germe delle più atroci sofferenze. Pur di estirparlo, bisognerebbe percorrere quella strada che ci conduca lontano dal precipizio. L’autore prese a cuore questa questione della << mancata libertà >> dell’uomo sparso nel mondo, ponendosi delle domande se il più forte sarebbe sopravvissuto o meno, distanziandosi lentamente da qualunque effetto. Ma per andare dove? Pur quanto ci si allontani o si volga le spalle a un Fato egoista e crudele, ognuno di noi combatte una guerra di cui non sempre se ne esce indenni. Si sospetta di poter conformarsi ad una realtà migliore di questa, ma pur quanto si abbandonino le proprie radici è impossibile cancellare il proprio passato. In continue migrazioni, deterioramenti dell’anima che hanno portato l’uomo lungo il tragitto della follia.

Non sembra vi sia alcuna via d’uscita. Un uomo comune che forgia ricordi come pietre preziose, occhieggia da un vuoto incolmabile, un dolore che si propagherà nelle sue viscere come un male incurabile. Ma tutto è stato così repentino, troppo inaspettato, parecchio spaventoso per prenderne consapevolezza. E trovare rimedi in situazioni in cui i rimedi sembrano non essercene si trascinerà sulla scia di forme incomprensibili e folli che frantumano l’anima in minuscoli pezzettini.

Quella de Il richiamo del corno è il lungo e indefinibile pellegrinaggio nella psiche, ma anche nell’assetto etico e sociale in relazioni fra gli esseri umani che puzza di crudeltà, sangue appena riverso sulle strade, ricordi che lacerano la mente e che non riescono a portare via le impurità, con sangue continuamente riverso che è assetto passionale di un uomo che ripudia moralità, dedizione di certi dogmi spirituali e individuali. Perseguitò il povero Alan Querdilion trasformandolo in una creatura spaventosa, inavvicinabile che vagando lungo la riva dell’assurdo, in un luogo al di là di ogni speranza di salvezza, a poco a poco ostinato a sbarazzarsi di qualunque cosa rotta, di qualunque forma malvagia, da qualunque riscatto o sporcizia, lo hanno scoperto nel modo più crudele potesse mai vedersi, che quello che all’inizio sembrava trattarsi di un brutto sogno divenuto un incubo. Il silenzio, l’incoscienza, la mancanza di comprensione, l’inconsistenza sono alcune di quelle forme che attanagliano i sensi, attutiscono i suoni, abissi insondabili che non hanno una loro specifica collocazione ma da quali si intravedono sprazzi stretti e melmosi dell’anima.

Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo


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