Titolo: Povere creature
Autore: Alasdair Gray
Casa editrice: Safarà Editore
Prezzo: 22 €
N° di pagine: 408
Trama: Chi è veramente Bella Baxter, giovane donna ritrovata nelle fredde acque del Clyde nella Glasgow tardovittoriana e riconsegnata alla vita grazie agli oscuri esperimenti di Godwin Baxter, tormentato genio della chirurgia? Sarà arduo, quasi impossibile, dare una risposta, perché Bella è molto più della donna che è stata: oggetto di folli passioni amorose, la vedremo attraversare la sua epoca passando per salotti austeri, casinò decadenti e bordelli parigini, con lo stupore di chi per la prima volta vede il mondo nella sua prodigiosa follia, incarnando – con il medesimo desiderio che desta al suo passaggio – i più alti ideali umani, senza mai smettere di suscitare scandalo per l’oltraggio più grave di tutti: vivere un’esistenza radicalmente libera. Da questo romanzo, il film di Yorgos Lanthimos prodotto da Searchlight pictures.
La recensione:
Il luogo in cui sprofondai aveva le fattezze dei classici che amo molto. Le strade avvolte in una nebbia fumosa e appiccicosa, il cielo come un compensato di cemento bianco in cui sembrava perdersi nell’infinito. Tutt’intorno nemmeno l’ombra di un passante, un piccolo carrettiere con la sua carretta scalpitante o gruppi di bambini che si affollavano nelle piazze con strepiti e giubilo; alle mie spalle però la dimora fatiscente di un uomo ricco, una vecchia casa in cui vi sono stata già innumerevoli volte, da cui una finestra dall’alto proiettava una luce inquietante, quasi giallastra e verdognola che nemmeno il tempo avrebbe saputo poter proteggere. Lì dentro, in questa stanza, stava per nascere una nuova vita. Il moderno Prometeo….
Questa però sarebbe stata una bella scena d’apertura, non c’è che dire, se recentemente avessi riletto quel grande capolavoro che è Frankenstein di Mary Shelley. Mi sarei appostata ai lati di questa gigantesca casa in attesa… in attesa di qualcosa. Ciò di cui avevo letto innumerevoli volte e che ora sembrava voler uscire con irruenza dal mio mondo. Da quello mio e di tanti altri lettori che nel tempo hanno reso il calore che generalmente trasmette un classico una dimora, una culla contro cui rifugiarsi dagli assalti esterni della vita.
Siamo tuttavia in uno scenario londinese molto simile a ciò che narra Mary Shelley nel suo Frankenstein, tutto in un modo o nell’altro posto in una giostra di sensazioni particolari, combattuta, scombussolata, in preda a sensazioni che non riesco nemmeno io a dar voce, saldamente convinta che esistono storie capaci di logorare letteralmente il nostro animo. Come un treno in corsa che, arrestandosi davanti a un grande palazzo, sferraglia necessariamente sulle rotaie. Come un'anima in pena che avanza inevitabilmente verso un baratro di disperazione e vede la distanza diminuire ad ogni passo senza poter evitare di cascarci dentro.
Questo è quello che è accaduto con Frankenstein, capolavoro della letteratura ottocentesca. Questa è stata la condizione di malessere che, senza alcun fondamento logico, dettata dagli incauti sussulti di un cuore ancora giovane, mi ha catapultato in una Pietroburgo magica e bellissima. Intrufolandosi come una ladra fra le scalcinate mura di una vecchia dimora, sbirciando senza ritegno nei cuori di due anime che, inconsapevolmente, hanno finito per raccontarsi.
Questo ciò che la mia mente partorì, all’epoca, e che nel momento in cui mise piede fra le pagine di Povere creature credeva di esserne disintossicata al medesimo modo. Ognuno vive esperienze letterarie diverse, a ben vedere che esse richiamano vasti temi tipici della letteratura gotica, ma quando le si vive, le si prova sulla propria pelle, quello che resta oltre al fascino è il bagaglio di esperienze accumulate. Quello che è possibile attingere affinchè la nostra mente partorisca qualche idea, al riguardo.
Stare qui, dunque, fra le pagine di Povere creature, mi ha divertito, mi ha affascinata, mi ha fatta sentire contenta, coinvolta, ancora - se ci penso - sgomenta dopo essermi << abituata >> alle rocambolesche strategie letterarie adottate dall’autore - era da tantissimo tempo che non leggevo un romanzo intessuto da un andirivieni temporale che esprimesse il flusso del tempo, seppur questo sembra essere sospeso in una certa immobilità - ho guardato questa creatura e mi sono chiesta dove finisse la fantasia, l’immaginazione e sopraggiungesse la realtà. La risposta era ovvia: tutt’attorno a me! Risucchiata dagli abissi dell’oblio, del mistero ma che grazie all’arte sarà data una risposta, la natura sensuale e satirica di ogni personaggio, facilmente riconducibile a svariati piani di lettura, e che ruota attorno all’idea di tempo che l’autore attribuisce al suo essere distillato.
Il desiderio di raccontare, porre la parola scritta senza pretendere una visione del mondo quanto dei fatti è testimonianza di crescita, di cambiamento, il tutto indirizzato al raggiungimento di un tipo di libertà che combina identità represse, fallaci e misere. E pur di capire, comprendere ciò, ci è voluto tempo affinchè la mente riesca a convincersi che colui che vedevamo ogni giorno e la cui storia ci sembrava parte della nostra possa essere scomparso con un <<arrivederci>>; che il più spietato dei veleni - che lentamente e silenziosamente, si era nutrito della nostra coscienza - si sia consumato, e il suono di una voce così familiare e cara all'orecchio sia mutato in silenzio, e non si udirà più per un tempo indefinibile. Col tempo viene il momento in cui quello che teniamo saldamente nascosto e riversiamo in quel contenitore imperfetto che è la scrittura è più una debolezza che una necessità; e il sorriso che poi affiora sulle labbra, sebbene mero e di circostanza, non viene bandito. Bella Backster, esattamente come il Frankenstein di Mary Shelley mi fece percorrere mentalmente il cammino insidioso di questa storia, entrando nel cielo di questa povera donna e trovarla pieno di nuvoloni grigi e poco accoglienti. Trasportata dalla corrente del tempo, desiderosa di esplorare una parte di mondo che prima era stata esplorata da altri autori vittoriani, tracciando i confini di un luogo dove mai piede umano ha lasciato la sua impronta. La mente comincia a tranquillizzarsi, come un fermo proposito, un punto in cui l'anima può posare il suo sguardo intellettivo. Il nostro sguardo segue i passi di un viaggiatore curioso e intrepido, che in una notte d'inverno decide di inoltrarsi fra le fredde e buie strade di Pietroburgo. E una piacevolissima brezza, che è giunta sino a qui da luoghi remoti verso i quali ci si allontana, ci offre un assaggio di quello che la sorte ci riserverà.
Vivendo nell’immaginazione la vita di una donna sola e incompresa, a cui affida la sua identità, il suo desiderio di essere libera, all’arte, adoperando il linguaggio del cuore, che possa far sfogo ed espressione al bruciante ardore della sua anima. Povere creature è un’opera stratificata di svariati generi letterari della letteratura gotica che dona una visione diversa, rivoluzionaria della vita e del concetto di libertà e femminismo.
La brama ardente di essere affiancata da una donna capace di un'intesa profonda, i cui occhi e la cui anima corrispondano - un amica che non disprezza sogni o illusioni romantiche, ma che affettuosamente mette in ordine i pensieri, raddrizza l'equilibrio incerto della vita, come uno straordinario mistery, lambì il mio cuore di una dolcezza ardente. Con la triste storia di una malinconia senza confini, la serenità di un cuore che avrebbe dovuto indurre a guardare il passato con soddisfazione, soppiantata dal rimorso e dal senso di colpa, che incauti ci spingono verso un abisso di torture infernali, quale nessuna voce può spiegare. La vita e la morte. Due entità avvolte da una nube di angoscia e tormenti che nessuna influenza benefica può penetrare. Confinati ognuno nel proprio spazio, senza la possibilità di redimere la propria anima dal dolore.
Il cielo stellato, il mare, la parola scritta riversata in pagine bianche e lucenti che offrono allo sguardo la bellezza di uno spettacolo straordinario - innalzano l'anima di chi legge al di sopra della terra -; osservavo tutto questo dalla finestra della mia camera. Un rettangolo grigio dal quale era entrato un grigiore spettrale, che incupì ogni forma e aspetto, mi permise di stabilire le coordinate. Capirne la provenienza, soffrendo di una terribile infelicità. Sopraffatta dalle delusioni, ritirandomi in me stessa, come uno spirito celestiale circondata da un'aureola nel cui cerchio non entrano ne il dolore ne la follia.
Nel corpo di una donna ma nella mente di una ragazzina, Bella Baxter aveva le medesime parvenze di quell’amica immaginaria che tempo fa avevo visto vagare lungo la riva dell’assurdo, i cui occhi lustri indugiarono su di me più del necessario, con tutta la loro malinconia, la loro dolcezza, osservando la sua anima levarsi verso il cielo per il suo essere donna, combattente da qualunque entità maligna, esterna, così sola, contrita ma affascinante dalla passione che gli uomini gli riverseranno per le leggi nascoste della sua femminilità, come una gioia simile al rapimento quando esse si svelano. Un tipo di bellezza che coincide con quella degli arcani del cielo e della terra, che si tramuta in sostanze visibili delle cose, o lo spirito invisibile della natura umana, come un'indagine che mirava a segreti metafisici.
Assistere a tutto questo, esaminare le cause della vita ricorrendo alla morte, non trovandovi solo insegnamento ma riscontrandone persino il dolore, mi ha trasmesso un certo fascino. Un tipo di ammaliamento che, disgraziatamente, sul finale, è via via divenuto sempre più fievole, poichè sospeso nell’incomprensione, nell’indecisione se tale creatura fosse stata davvero messa al mondo o fosse stata partorita dalla nostra mente che, mediante svariate chiavi di lettura, repentini cambi di vista non hanno reso il tutto edificante quanto ambizioso: quello cioè di proclamare un mondo anarchico. Quale? Quello di Bella, intrappolata in un vasto e lugubre teatro del male, destinata forse a divenire più infelice di tutti gli altri.
Un suggestivo disegno a tinte fosche, un motivo memorabile ricco di scienza e amore che altri non è che omaggio al Prometeo moderno di Mary Shelley, che, così potente, avrebbe potuto lasciare una cicatrice sul petto, causando una grande infelicità da cui ho riscontrato solamente un vuoto cieco in cui è impossibile scorgere qualcosa. Ha cucito due lembi rossi che strisciavano l'uno verso l'altro, come due satelliti che hanno lentamente segnato la loro orbita, riempiendo il mio animo di una dolce melodia, sentimenti la cui natura infruttuosa confina con l'orrore, la deformità, la follia.
Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo
Sembrava interessante, peccato il voto basso
RispondiEliminaE' interessante, ma non credo per tutti :P
EliminaFilm piaciuto, ma non tanto da recuperare anche un romanzo che pare un po' ostico, no.
RispondiEliminaA me piacerebbe vedere il fim, a quanto sembra due mondi opposti :)
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