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sabato, maggio 04, 2024

Gocce d'inchiostro: Senza un soldo a Parigi e a Londra - George Orwell

Certi problemi restano universali. La soluzione è anch’essa universale, e, se poi si è in un luogo come quello in cui ci si approda, fra queste pagine, agli inizi del 1900, specie sotto un regime capitalista che decima la popolazione in piccoli agglomerati di stenti e miseria, è impensabile credere che presto o tardi si potrebbe incorrere a un cambiamento. C’è in certi testi, in queste testimonianze di vita, una personalissima visione della realtà più cruda e antica, in cui qualcosa di moderno sembra rispondere a un vuoto spirituale creato dalla nuova corsa dell’uomo verso l’individualismo e il materialismo. Al contrario del celebre 1984, che ancora non ho disgraziatamente letto ma che mi premurò ad avere, al più presto, questo saggio propone una visione lucidissima ma cruda di una realtà che, a quasi cent’anni di tempo, può ancora definirsi attualissima, aspirando magari a una vita in cui il Paradiso ospiti anche queste povere anime: riconoscendo la loro più assoluta completezza, in questa vita. Adesso.

Titolo: Senza un soldo a Parigi e a Londra

Autore: George Orwell
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 240
Trama: Ispirato a un periodo della vita nel quale conobbe "i margini della miseria", Senza un soldo a Parigi e a Londra (1933) racconta, sulle orme del Jack London del Popolo dell'abisso , la discesa di un imperturbabile protagonista nel mondo sordido e disperato dei proletari metropolitani dell'una e dell'altra capitale, dove è possibile incontrare l'umanità più varia, contraddittoria e disperata e i suoi eccessi di ferocia e tenerezza. È l'opera prima di George Orwell, quella che segna la nascita dello scrittore. Si delineano già la sua duplice vocazione, narrativa da una parte e di testimonianza sociale dall'altra, e i temi dei libri futuri: il prevalere degli interessi sociali su quelli letterari, la matrice vissuta e sofferta delle posizioni ideologiche.

La recensione:

Anche io ovviamente ho un cuore, anche se il mio temperamento fa credere il contrario. Voglio dire, non sono quel tipo di ragazza che si piange addosso. Anzi, nemmeno ricordo l’ultima volta in cui ho versato lacrime. Ma anche io, quando mi imbatto nella lettura di certi testi. non posso fare a meno di sentirmi coinvolta, comprensiva, cooperando nel bel mezzo di un disastro gigantesco in cui inevitabilmente e inconsapevolmente si aspira a miracoli. Prima o poi ogni cosa finirà, si concluderà ciò che sembra così travolgente e imprevedibile, al momento, lasciandoci tutti col fiato sospeso. Ovviamente non mi riferisco solo alle disgrazie, alle brutte cose, ma ad ogni cosa. Checché ci si intestardisca del contrario niente dura per sempre, ma a me piace vedere il bello delle cose, qualunque cosa, e quando mi imbatto in questo tipo di situazioni vivo il presente. Vivo la realtà che mi circonda, nel bene e nel male, e qualunque avversità mi si presenti, l'affronto a testa alta, col coraggio che mi contraddistingue.

George Orwell era un autore che ancora non avevo letto. Celebre per il suo straordinario 1984, classico che dovrò assolutamente recuperare, era una grande voce del primo novecento che fece dei suoi testi un atto di propaganda, dinanzi ad un mondo che lentamente stava per perdersi nella più completa dissoluzione, Chi abbracciò la scrittura, chi la pittura, chi la scultura, innumerevoli artisti fecero di ogni stratagemma per raccontare la vita stessa  e mantenerla intatta e come tale. Una volta che ci si appropria del diritto di far sentire la propria voce in un coro che non era ancora unanime, inevitabilmente si chiedevano dei diritti, dei buoni meriti. Solo che il secolo storico in cui ebbero maggior fervore non era propenso all’adesione di certe concretezze e di ogni diritto o espressione di libertà si schiudeva in loro come piccoli bozzoli. Invece delle loro << prostrazioni >> erano offerte delle << postazioni >>. Piccole cittadelle dell’anima di chi conferiva in un cambiamento. un netto miglioramento.

Senza un soldo a Parigi e a Londra in un certo senso giunse da lontano, ma nel modo più repentino si potesse credere, che arrancando verso il suo podio, fece di Orwell una voce conosciuta nell’immediato Qualcuno che si credeva avesse concepito una storia che provenisse dalla cittadella della sua immaginazione, quanto il ritratto di ingiustizie e complicazioni in cui la miseria era una ferita purulenta impossibile da curare o lenire. Un guru di istruzioni, di vedute ampie a discepoli ignoranti, incompresi, prostati dall’egoismo dei sindacalisti, del capitalismo, dal comunismo, da agenti bolscevichi che agirono come una società di muto soccorso, entrando in contatto con i russi in esilio. Una forma distorta di violenza che disprezza con tutto il cuore quei poveri lavoratori soggetti ad un potere più grande di loro, soprattutto i camerieri, consapevoli di non essere quegli splendidi abitanti appartenenti ad una splendida città quanto branchi di operai mal pagati.

La scrittura non è finzione. Il genio intellettivo non è una forma esacerbata di fantasia. Il ritrarre la realtà come un teatro di azioni in cui a malapena ci si riesce a reggere in piedi, sono forme di meditazione di chi ha sempre dovuto restare con la testa chinata, metaforicamente parlando sulla tastiera di una vecchia macchina da scrivere, e, dopo un po, stanchi di sentirsi impotenti, soli, incompresi nel bel mezzo a chi era superiore. E naturalmente ciò cui si tende a ridire di raccontare storielle che forse non avranno importanza per niente e nessuno.

George Orwell, tuttavia, fa una sorta di denuncia, quando parla di miseria, racconta questo resoconto di un’esistenza vissuta sulla soglia dell’estrema povertà a Parigi e a Londra e l’esperienza del lavoro occasionale nelle cucine e nei ristoranti in cui i quartieri squallidi e malfamati sono punto di ritrovo di gente piombata nella solitudine, in chi ha rinunciato al decoro e alla follia. E questo interiorizzato da chi non poté farsi beffe di tutto questo poiché in balia di qualcosa di intramontabile e osceno.

L’incessante lotta al totalitarismo, la comprensione di un tempo quasi sempre più dimenticato, esempi nonché esercizi della ragione e dello spirito critico, attraverso uno stile di emblematica chiarezza, la fantasia e l’immaginazione conferiscono una visione che ha dell’incredibile in cui bisogna mantenersi sempre vigili, dubbiosi della rivoluzione stessa affinchè sia proclamata la nostra identità, il nostro pensiero, non sempre non soggetto a coinvolgimenti o arrovellamenti interiori.

Acuto e diretto ma anche un pò rozzo e frettoloso, contaminato dal naturalismo e dal satirismo, un testo che invita a comprendere la realtà circostante, il momento in cui bisogna buttarsi dentro qualcosa di importante, affinché ogni cosa cambi, manifestando una completezza che non viene fuori altrimenti se non le gioie della scrittura si allineano attorno al nostro cerchio, propinando qualcosa di inquietante ma veritiero il cui forte carattere, la coscienza di un sé senza limiti non è soggetta al semplice divenire quanto al giungere dritto al presente, metaforico o reale.

Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti: