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sabato, settembre 21, 2024

Gocce d'inchiostro: Perchè parlavo da solo - Paolo Bonolis

Da una poltrona verde smeraldo dovetti trasferirmi a Roma. Avrei potuto prendere un treno, diretto chissà dove, ma quella del sedermi, aprire una finestra virtuale dall’aria luminosa e vaporosa, sembrava una soluzione fin troppo semplice, appropriata e decisi di perdermi in questo luogo lentamente, con in compagnia un viaggiatore lasciato solo nell’immensità del cosmo. Volevo dedicargli una certa attenzione, quel tempo propizio mediante cui avrei ascoltato e visto cose che giustamente ignoravo impunemente. Poco più di qualche pagina ero già immersa nel mondo nascosto di Paolo Bonolis, che aveva le fattezze di un gigantesco museo. Il museo della sua anima i cui oggetti di attrazione furono fabbricati in anni e anni di progetti, viaggi vissuti da un capo del mondo all’altro, programmi televisivi di cui non sapevo nemmeno l’esistenza ma che nell’insieme hanno lavorato nel mio spirito. Nella sua semplicità, nel suo essere bonolisiano, ha lasciato un segno del suo passaggio, coinvolgendomi a tal punto da non accogliermi semplicemente come una figura di passaggio quanto rendermi parte integrante del suo tutto. Aprendo una piccola porta, restituendo una << nuova >> figura di conduttore, padre, marito che avevo immaginato.


Titolo: Perchè parlavo da solo

Autore: Paolo Bonolis

Casa editrice: Rizzoli

Prezzo: 19 €

N° di pagine: 336

Trama: Viaggia veloce il fiume del tempo, molto più di quanto scorreva in passato. E scava sempre più profondo il canyon che attraversa. I miei figli sono dall’altra parte e potrebbero partire prima che possa raggiungerli. Gli vorrei consegnare quello che ho conservato. Non c’è molto tempo e, senza il mio bagaglio, ho paura che il loro viaggio possa essere più faticoso di quello che intrapresi io. Ho 58 anni adesso che scrivo e, il mio viaggio, l’ho iniziato che ero ragazzo. A quei tempi anche mio padre mi consegnò il suo bagaglio, ma gli bastò allungare un braccio per passarmelo.

Da sempre Paolo Bonolis parla da solo. Lo fa per ritornare sui suoi pensieri, elaborarli, triturarli, rivoltarli come calzini. E per capirci di più: sul mondo, sulla felicità, sulla televisione, sullo stupore, sull’amore e la famiglia, sulla tecnologia che non rispetta i ritmi della biologia, sullo sport che è passione, su Roma (’sti cazzi), sull’uomo che è l’animale con la spocchia. Negli anni, da queste riflessioni ad alta voce sono nate delle pagine di appunti scritti che ora aprono i diciotto capitoli di Perché parlavo da solo, il primo libro di Paolo Bonolis, un tesoro intimo, meditato e prezioso da consegnare ai suoi figli e a tutti coloro che nel tempo l’hanno apprezzato o anche criticato. In un flusso appassionato e coinvolgente, ricco di ricordi di personaggi ed episodi, Bonolis sorprende i lettori con le sue domande ora poetiche ora al vetriolo, sempre profonde: leggerezza e accettazione sono antibiotici per l’esistenza? La Natura Umana è senza scopo, lo Spazio la limita e il Tempo la corrode: come se ne esce? Un amore è un dato oggettivo o un fiume di farfalle? Internet ci sta rincoglionendo? E tagliare i cojoni a un gatto è un atto lecito o arbitrario? Il risultato è una lettura che incuriosisce, fa pensare e talvolta ridere grazie all’intelligenza affilata e alle battute ciniche di Bonolis.

La recensione:

La ricerca della propria identità, il voler dare un senso ad ogni cosa sta velocemente diventando sempre più evidente in gruppi di artisti, scrittori, letterati. Quella del domandarsi su chi siamo, cosa siamo, quella del perché siamo qui, a camminare miseramente in questa terra, ripetendosi come una situazione nel passato, quella che altri poeti greci o latini in passato hanno reso oggetto di studio, negli ultimi tempi è divenuta una costante. Se si vuol approfondire il concetto della vita, l’approccio che si riserva e tutte le sue implicazioni, è bene però confrontarsi con ogni cosa, ascoltare quella vocina della nostra coscienza che a volte è così corrotta, marcia, ma che può essere salvata. Non credo a chi sostiene che la vita è una corsa inarrestabile in cui è impossibile fermarsi per guardarsi attorno; credo invece che il bello della vita si cela in questi tentativi di potersi fermare, non abbandonando niente e nessuno quanto affrontato ogni cosa con una consapevolezza diversa, maggiore. A stroncare, presto o tardi, sarà la morte. Il resto sono solo quisquilie, inerzie. Perché rattristarsi? Perchè compiangersi per qualcosa da cui presto o tardi se ne sarebbe vista una fine?

Forse questi sono i pensieri << puri >> di una trentaduenne, che ha sempre visto il bicchiere mezzo pieno. Forse pensare, credere in tutto questo esplica ingenuità, purezza che ha a che fare con l’entusiasmo che avevo da  bambina e che continuo ad avere e a cui riservo tutto ciò che faccio. Forse perché sono oramai preparata a tutto quel marasma putrescente da cui spesso annaspiamo pur di scrollarci di dosso. Secondo me la vita è bella, nella sua bellezza e nella sua bruttezza, e tutto quello che deriva da lontano era venuto dall’esterno che imbestialisce i più deboli ma incoraggia i più valorosi.. Ma questa è un’altra storia…

Per tornare alla grandezza della vita, il caso volle che mi imbattessi nella lettura di un romanzo, un testo che avrebbe frantumato quella linea di demarcazione, quella che mi distanzia dal mondo di qua da quello di là, quello dei classici, dei saggi, della narrativa, alla lettura di pura evasione, priva di fronzoli ed effetti. Per farlo era necessario tagliare ogni legame con l’esterno, impersonare i panni della lettrice non autocritica bensì quella che le piace leggere senza incappare in qualcosa di irrimediabilmente indigesto. Essere lettore, a volte, comporta anche questo: nel cammino insidioso della vita spesso ci imbattiamo nella conoscenza di figure, voci che richiedono di essere ascoltate, non lette ed interpretate. Non sempre riesco a farlo, ma quando capita tento di essere impersonale e… mi immergo nella lettura. Mi lascio trasportare dal ritmo lento e sincopato di una storia che avrebbe eliminato ogni segno di presenza umana. Da qui la decisione di conoscere un pò meglio Paolo Bonolis, conduttore televisivo che ho sempre apprezzato, i cui progetti poco educativi ma pregni di significato coinvolgono, strappano sorrisi, lasciando nient’altro nelle case di ogni famiglia quel briciolo di leggerezza che per Italo Calvino dovrebbe essere fondamento di ogni principio. Svolazzando nel vento, ma sapendolo anche afferrare; da qui il concetto di Bonolis di vivere la vita, assaporarla in ogni gustosissimo piatto, e le sue << evacuazioni >> morali che non giustificano comportamenti incomprensibili o criticabili quanto simbolo di una modernità che nel tempo è diventata accettabile. Ognuno è bello a modo suo.

Ed ecco perchè spesso ci scopriamo ad intrattenersi col nostro spirito. Fra noi e la nostra anima intercorre una specie di dialogo, che se intrappolato su carta potrebbe essere preservato persino nel tempo. Vita e morte, ricordi, emozioni, affidati al Tempo come un piccolo nodo che si scioglie dinanzi ai nostri occhi. Vista dalla mia prospettiva, ha un chè di affascinante tutto questo, la cittadella e i suoi spiriti, nel giro di qualche ora mi accolsero con un certo fervore, e c’era già, specie tra chi era parecchio vicino a lui, quelli che si sono mostrati e si mostreranno come pilastri di queste fondamenta. E non è stato un buon modo per conoscerlo meglio, carpire ogni piccolo segreto, leggere fra le righe, in un viaggio fra i meandri del passato - un passato di cui non ricordo quasi nulla data la mia età - quelle parti fondamentali di un tutto che rappresentano la vita. La sua vita, contornata da parole sofisticate, il cui linguaggio è forbito, talvolta lezioso talvolta rozzo, ma rinchiuso in un harem segreto di interpretazione che è tipico di una mente arguta e sagace.

Leggere Paolo Bonolis, anziché vederlo in tv, è stata un’esperienza strana ma piacevole. L’unica effettivamente che avrei potuto vivere, se desiderosa di conoscerlo maggiormente. Non da vicino, ora più che mai impresa alquanto ardua, ma che mi ha condotta dinanzi a un uomo che si è spogliato, si è messo a nudo, si è circondato di fantasmi del suo passato che ancora lo attorniano e regolano quel meccanismo artificioso della sua esistenza, esorcizzando, mediante scrittura quei preconcetti, quelle cose in sospeso che solo il tempo avrebbe reso nell’aria meno respirabile, meno pesante e le sue notti più belle di quel che credeva.

Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti: