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domenica, giugno 08, 2025

Gocce d'inchiostro: Giustizia - Fredrick Durrenmatt

Quando si leggono testi in cui il sistema che li sorregge è corrotto da forme belliche devastanti e crudeli, nell’immediato si creano delle barriere che, costruiti attorno come una specie di fortezza, avrebbero dovuto fornire nuove idee, nuove forme democratiche. Il romanzo inchiesta in cui Durrenmatt fu impegnato a scrivere e a revisionare per quasi vent’anni, era proiettato su un sistema molto simile a quello di cui vi facevo prima cenno, un sistema condotto da Napoleone che fece piazza pulita e da cui nacquero nuove forme ideologiche che avrebbero dovuto condurre alla prosperità, alla rinascita. Eppure l’epoca ritratta in questo testo continuava ad essere sorretto da forme politiche in cui gli uomini continuavano a compiere gesti immorali. Per l’autore però la vita era priva di valore, intrinseca ad alcunchè, asserendo o conforme all’uomo come attore di un mondo che recita una parte in cui è responsabile di ogni gesto o azione. Gesti a volte folli, altre volte sconsiderati da cui però non vi è principio.

Con Giustizia, Durrenmatt apre le porte al significato dell’esistenza. Nulla che non fosse stato redatto, scritto o diffuso dai suoi << colleghi >> filosofi, quanto dipingendo la vita mediante assetti legati al pensiero, da cui è possibile riconoscere una certa tensione. Una tensione che coincide con la realtà, quella intrinsecamente legata ad una visione umanistica che è in perenne contrasto. L’estetica, la ricerca di scovare forme di felicità perpetua che tuttavia si protraggono all'infinito, ma privi di valore in cui l’etica, il paradosso di credere o aggrapparsi a simili forme di giustizia, sono forme contrapposte alla cultura occidentale.

Titolo: Giustizia

Autore: Fredrick Durrenmatt

Casa editrice: Adelphi

Prezzo: 20 €

N° di pagine: 211

Trama: Tutta giocata di sponda è la partita di biliardo (umano) su cui si impernia questo romanzo giallo: o meglio "antipoliziesco", giacché sin dall'inizio ci esibisce l'assassino. La prima palla a finire in buca, per un colpo a la bande, è la testa calva del professor Winter, esimio germanista: centrato dai proiettili dello squisito consigliere cantonale Kohler, cade con la faccia nel piatto di tournedos Rossini che stava gustando nel ristorante Du théâtre. Quindi, a una a una, rotoleranno in buca le altre palle - un playboy, una squillo d'alto bordo, una perfida nana, un protettore -, delineando un autentico rompicapo: "II comandante era disperato. Un omicidio senza motivo per lui non era un delitto contro la morale, bensì contro la logica". Kohler, poi, in galera è l'uomo più felice del mondo: trova giusta la pena, meravigliosi i carcerieri, e intreccia serafico ceste di vimini. Ha un unico desiderio: che l'avvocato Spät, squattrinato difensore di prostitute, si dedichi finalmente a un'impresa seria (ma a lui sembrerà pazzesca) e riesamini il caso partendo dall'ipotesi che non sia Kohler l'omicida: "Deve solo montare una finzione. Come apparirebbe la realtà, se l'assassino non fossi io ma un altro? Chi sarebbe quest'altro?". Accettata la sfida, Spät precipiterà ben presto in un gorgo, in una surreale commedia umana e filosofica che tiene tutti - lettori in primis - col fiato sospeso: per quale ragione Kohler è di umore tanto allegro? E perché mai ha ucciso Winter?

La mia recensione:


La verità, al di là di ogni sforzo verbale, al di là di ogni mania di potere, si può intuire soltanto nel momento in cui entra la corte, in questo eterno compiersi della giustizia.


Si delinea, in questo spaccato di vita, resoconto giornalistico, quella cosiddetta poetica dell’impossibile che resero l’autore celebre. L’etica o il paradosso a cui il romanzo fa continuamente cenno comparata a credere a forme di giustificazione in cui non sempre sono giuste, così come credere in un Dio che spinse Abramo a sacrificarsi, - visione legata a quella Kirkegiana -, all’accettazione del compromesso e dell’equivoco che la guerra profanò, profondamente inciso nella cultura occidentale. La verità è solo un paradosso sorretto dalla casualità degli eventi rendendo così vane ogni forma di sapere, univoco ogni forma di identità, l’essere umano non così statico quanto in continuo movimento, al centro di una tempesta in cui veste i panni di attore, costruisce un suo personalissimo Io, immaginando o inscenando un proprio ruolo che sa interpretare a modo suo. Forse affidarsi alla politica, alle sorti di un sistema superiore che possa sopprimere e non predisporre quei miglioramenti o accorgimenti in cui il paese possa essere soddisfatto, mediante cui la verità è analizzata in ogni forma o prospettiva, un’oscurità opulenta, cupa che è tuttavia misteriosa come il buon Dio, come un punto privo di dimensioni che sprofondano nel nulla più totale, lo risucchia, lo inghiotte dentro di se con forme ingiustificabili e inestinguibili. 

Gli intrighi della nuova politica non prevedono però nuove forme corruttive ma la pretesa della giustizia di rappresentare qualcosa di obiettivo, un insieme di strumenti svincolati da qualunque consolazione sociale esente da pregiudizi. Osservando chi tenta di osservare chi non osserva, pretendendo una certa avversione agli organi di difesa contro la delinquenza nella capitale della confederazione svizzera.

Amante dell’arte e della scrittura, in Giustizia ma così come in tanti altri testi, è evidente questo forte senso di smarrimento di un individuo di fronte alla labirintica città metropolitana in cui è imprigionato e la capacità di osservare la realtà pur di scorgere gli aspetti più inquietanti.

Quando ho chiuso questa ennesima finestra su un mondo che mi ha affascinato, sin dal principio, ho compreso i motivi per cui l’autore mi affascina. Ragioni che sono strettamente legate allo sfondo filosofico o morale di cui sono contornati questi complessi meccanismi di indagine e giustizia, incapaci però di cogliere la realtà umana. Tutta la sua produzione artistica ruota infatti attorno ad un unico elemento, quello cioè relativo alla giustizia, e, se essa esiste davvero, fino a che punto l’uomo è artefice del suo destino? Ravvedendo su ogni effetto o gesto sconsiderato, metafora di confine valicato da un drammaturgo, da un narratore svizzero impegnato nella sua affannosa ricerca di una storia sempre nuova, di uno squarcio visionario sul presente e sul passato, sul futuro di un’ epoca macchiata dal crollo di ideologie e dallo spettro della distruzione dell’identità conseguente alla caduta del muro di Berlino, convergenti alla realizzazione di qualcosa. Qualcosa di cui forse non si scoverà risposta.

Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti: