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giovedì, agosto 30, 2018

Gocce d'inchiostro: Canne al vento - Grazia Deledda

Comunque sia andata, credo che nella vita di un prolifico lettore romanzi come quello di Grazia Deledda devono essere sempre a portata di mano.
Io feci esattamente come desideravo. Ho letto Canne al vento, dopo innumerevoli, entusiastiche e non recensioni riguardanti questo ritratto umano terribilmente realistico, profondamente sentito, abilmente prodotto dalle innumerevoli esperienze dell'autrice.
Una ragazza con un cesto poggiato sulla testa arrivò sul versante tirrenico, lo posò sul terreno dove mi trovavo io e corse via. Io istintivamente l'ho preso e ne disposi sul tavolo il contenuto. Una terra devastata dalle incongruenze del secolo, un pezzetto di coltre scurrognola, una famiglia che si affaccia lungo uno scenario bello ma devastante. Vicende famigliari, amorose, nettamente palpabili e realistiche in cui domina un certo senso religioso del peccato e la tragica coscienza di un inesorabile destino.





Titolo: Canne al vento
Autore: Grazia Deledda
Casa editrice: Newton Compton
Prezzo: 4, 90 €
N° di pagine: 215
Trama: La narrativa della Deledda, posta ora nella scia del verismo di Verga, ora accostata al decadentismo dannunziano, racconta di forti vicende d'amore, di dolore e di morte, nelle quali domina il senso religioso del peccato e la tragica coscienza di un inesorabile destino. Nella sua prosa si consuma la fusione carnale tra luoghi e figure, tra stati d'animo e paesaggio, tra gli uomini e la terra di Sardegna, luogo mitico e punto di partenza per un viaggio dell'anima alla scoperta di un mondo ancestrale e primitivo.

La recensione:
Questo racconto, o ricordo, si fonda su fatti o esperienze realmente vissute dall'autrice: idea archetipa di una città che altri non è che un luogo colmo di passioni ancestrali, comportamenti e tabù che non sono altro che allegorie del castigo e del dolore umano. Per anni ho sentito parlare, ho letto recensioni contrastanti su questo romanzo. Da lettrice onnivora e impavida, dovevo sapere che questa volta l'invito proveniva dalla stessa autrice. Ed eccomi qui, dunque, con ai piedi le mie immancabili infradito, i capelli raccolti in una morbida treccia, il mio immancabile blocnotes, il che quest'ultimo particolare è già abbastanza strano. Doveva avermi aspettato, magari preparandosi con l'ennesima recensione, forse provoncando la mia coscienza ad accapparrarsi di una copia. E quando finalmente arrivai, mi si era aperto un mondo. Una conferma, in un certo senso, del motivo per cui alla Deledda le fu assegnato il premio Nobel per la letteratura, una curiosità che mi ha spinta a scrutare attentamente questa magica valle interamente ricoperta di vegetazione, trasmettondomi l'idea si trattasse di una culla che presto o tardi mi avrebbe fagocitato.
Ne sono rimasta affascinata, in buona parte. Sconvolta, la parte restante, non solo dall'incredibile scenario descritto ma dalle parole che sono state usate dinanzi a un crepuscolo bucolico o una luna gigantesca che sbocciava come una rosa fra i cespugli.
Nella mia mente. la Deledda aveva parlato bene alla mia anima sognatrice e romantica. Poi, nel proseguirsi delle vicende, avevo avuto la riprova che forse non era del tutto così, e a questo punto il sogno o l'ideale romantico realizzato si era frantumato quasi del tutto. Dapprima, fascino e curiosità, poi il livore crescente. Infine, nel silenzio delle mie riflessioni, la consapevolezza che Canne al vento sia una bella lettura, ma anche quella straordinaria esperienza che bisognerebbe compiere almeno una volta nella vita. Se faccio il nome della sua autrice a qualche lettore del mio calibro, dubito che molti ne tesserebbero le lodi. D'impulso, di primo acchito, la Deledda può non essere compresa. Ma se ci si inerpica fra le viscere di questa tenera e melanconica terra si avverte la forza, il sentimento di solitudine che aleggiano attorno, come invisibili volute di fumo, distaccandoci completamente dal mondo ma rendendoci unanimi all'anima dei personaggi.
Riconosco come tutto questo ha destato alla sua creatrice un'infinità di ricordi in cui il silenzio che circonda il tutto scende dai muriccioli in un sottofondo melodico, una fisarmonica che suona accompagnata da grida di rivenditori, urla di giocatori, canti corali o versi di contadini e poeti di cui ho visto ritrarsi in se stessi come piccole o fragili creature.
E da questo penso sia derivato il mio interesse nei riguardi di questa lettura. Si, al tempo in cui avevo scoperto l'esistenza di questo romanzo ero ancora una ragazzina che nutriva già un amore profondo per la lettura, ma non per i classici. Per questa tipologia di romanzi mi ci sarebbe voluto qualche altro anno. E una certa maturità nel campo mi ha reso impavida, amica con qualsiasi tipologia di lettura, e fedele solo a pochi. Per questo ogni romanzo possiede una sua anima, e ogni lettore deve saperla estrapolare mediante i suoi interessi, senza fare giudizi temerari contro il prossimo.
Il misterioso manto della notte che avvolge il tutto, la magia che sprigionano queste pagine, così come l'aura grigiastra di ognuno di questi personaggi, burattini manovrati magistralmente nel quale i sentimenti, le emozioni, si annidano e si intrecciano, costituiscono i principali elementi che caratterizzano la prosa deleddiana. La possente attrativa di quel fenomeno psicologico per cui ho gradito questa storia. La grande << presenza >> dell'autrice. Voce onniscente, forte e chiara, riempita da anni e anni di fervide letture, grande costate da cui sono dipese le sorti di una famiglia di contadini comuni, i Pexel. Loro, quella numerosa famiglia sorretta da un maggiordomo, tre sorelle, una condizione sovrastante e insormontabile. Quella piccola finestra su cui molti prima di me si sono affacciati, e di cui non ho potuto ignorare il meraviglioso paesaggio che si è snodato ai miei occhi, partendo e arrivando da un punto che non ha una sua collocazione precisa.
Qui dove gruppi di anime piangono, ridono, si commuovono o si spaventano, ma anche ridono, spariscono e, ogni tanto, non danno alcuna risposta, infranti sul legno consumato di tradizioni e tabù di una generazione che non è più la nostra.
Fu dunque così che, abbracciando ricordi o dispiaceri lontani, impregnati di desiderio e speranza, giocando con vecchie o nuove conoscenze, in un attimo, in un istante, ho disegnato le tracce della mia esistenza su una lapide bianca e antica. Su uno spazio bucolico che ha tanto di famigliare e che, se si vuole esagerare, mi ha dato l'impressione avesse la forma di una persona.
Consapevole di quanto sia ingiusta e crudele la vita, celata in una storia apparentemente semplice, Canne al vento è un romanzo la cui trama non si dipana come la stoffa di un tessuto. Piuttosto con piccole grinze, piccole divagazioni che potrebbero irretire in un primo momento, e in un secondo tediare.
Certi tipi di romanzi fanno capire come il destino non è una catena di eventi, ma un volo; un continuo avvicendarsi di creazione e distruzione. Un'altalena sfilante. A tratti persino angosciante. Qualcuno - un padre, un amico , una sorella - incapaci di rialzarsi e combattere pur di trovare quella zolla, quella strada perduta e mai più ritrovata. Immaginando, inventando, e su una corrente impetuosa di frasi e parole porgere lo sguardo, con una pesantezza inaudita nel cuore. Tragico e allo stesso tempo penetrante.
In compagnia di figure che vagano lungo la riva dell'assurdo e che sentono il peso insostenibile della lontananza, e che colgono l'esperienza del male come qualcosa di inaspettato e sconvolgente, nella sua interezza, nella sua maestosità, nella sua giusta dimensione, Canne al vento è caratterizzato da una trama realistica basata esclusivamente su esperienze di vita che sembra di vivere in prima persona. Una storia che ho ascoltato in questo momento della mia vita e che sono certa non vorrò più ascoltare. In un mondo dove si è completamente indifesi in cui gli uomini non sono altro che spettatori di una realtà a cui si adatteranno al più presto, sorvegliano silenziosamente l'azzurro del cielo. Una cornice in cui lo sguardo rimane intrappolato, si fissa come un'impronta nella mente.
Un libriccino dalla mole piuttosto ridotta il cui contenuto però grava sulle spalle come una roccia. Affascinata dalla meravigliosa concezione della prosa deleddiana, ho vagato sola nel bel mezzo del nulla in cui bisogna sopportare e respirare l'aria degli altri. In un bianco chiarore infinito che tuttavia non lascia indifferenti, amaro e crudo come è solo la negazione di un qualcosa che deve arrivare, nel non volerlo vedere.
Valutazione d'inchiostro: 3 e mezzo

2 commenti:

  1. Ciao Gresi, non ho letto nulla della Deledda, questo è un romanzo molto famoso e spero di riuscire a leggerlo prima o poi!

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    1. Ciao, Ariel! Per me questo romanzo è stata la mia prima esperienza con la Deledda, e non nascondo che non mi è dispiaciuto. Ma non la si può nemmeno considerare come una lettura che consiglierei ad occhi chiusi ☺

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