Io feci
esattamente come desideravo. Ho letto Canne
al vento, dopo innumerevoli, entusiastiche e non recensioni riguardanti questo ritratto umano terribilmente
realistico, profondamente sentito, abilmente prodotto dalle innumerevoli
esperienze dell'autrice.
Una ragazza
con un cesto poggiato sulla testa arrivò sul versante tirrenico, lo posò sul
terreno dove mi trovavo io e corse via. Io istintivamente l'ho preso e ne
disposi sul tavolo il contenuto. Una terra devastata dalle incongruenze del
secolo, un pezzetto di coltre scurrognola, una famiglia che si affaccia lungo
uno scenario bello ma devastante. Vicende famigliari, amorose, nettamente
palpabili e realistiche in cui domina un certo senso religioso del peccato e la
tragica coscienza di un inesorabile destino.
Titolo: Canne al vento
Autore: Grazia Deledda
Casa editrice: Newton Compton
Prezzo: 4, 90 €
N° di pagine: 215
Trama: La narrativa della Deledda, posta ora nella scia del verismo
di Verga, ora accostata al decadentismo dannunziano, racconta di forti vicende
d'amore, di dolore e di morte, nelle quali domina il senso religioso del peccato
e la tragica coscienza di un inesorabile destino. Nella sua prosa si consuma la
fusione carnale tra luoghi e figure, tra stati d'animo e paesaggio, tra gli
uomini e la terra di Sardegna, luogo mitico e punto di partenza per un viaggio
dell'anima alla scoperta di un mondo ancestrale e primitivo.
La recensione:
Questo
racconto, o ricordo, si fonda su fatti o esperienze realmente vissute
dall'autrice: idea archetipa di una città che altri non è che un luogo colmo di
passioni ancestrali, comportamenti e tabù che non sono altro che allegorie del
castigo e del dolore umano. Per anni ho sentito parlare, ho letto recensioni
contrastanti su questo romanzo. Da lettrice onnivora e impavida, dovevo sapere
che questa volta l'invito proveniva dalla stessa autrice. Ed eccomi qui,
dunque, con ai piedi le mie immancabili infradito, i capelli raccolti in una
morbida treccia, il mio immancabile blocnotes, il che quest'ultimo particolare
è già abbastanza strano. Doveva avermi aspettato, magari preparandosi con
l'ennesima recensione, forse provoncando la mia coscienza ad accapparrarsi di
una copia. E quando finalmente arrivai, mi si era aperto un mondo. Una
conferma, in un certo senso, del motivo per cui alla Deledda le fu assegnato il
premio Nobel per la letteratura, una curiosità che mi ha spinta a scrutare
attentamente questa magica valle interamente ricoperta di vegetazione,
trasmettondomi l'idea si trattasse di una culla che presto o tardi mi avrebbe
fagocitato.
Ne
sono rimasta affascinata, in buona parte. Sconvolta, la parte restante, non
solo dall'incredibile scenario descritto ma dalle parole che sono state usate
dinanzi a un crepuscolo bucolico o una luna gigantesca che sbocciava come una
rosa fra i cespugli.
Nella
mia mente. la Deledda aveva parlato bene alla mia anima sognatrice e romantica.
Poi, nel proseguirsi delle vicende, avevo avuto la riprova che forse non era
del tutto così, e a questo punto il sogno o l'ideale romantico realizzato si
era frantumato quasi del tutto. Dapprima, fascino e curiosità, poi il livore
crescente. Infine, nel silenzio delle mie riflessioni, la consapevolezza che Canne al vento sia una bella lettura, ma
anche quella straordinaria esperienza che bisognerebbe compiere almeno una
volta nella vita. Se faccio il nome della sua autrice a qualche lettore del mio
calibro, dubito che molti ne tesserebbero le lodi. D'impulso, di primo acchito,
la Deledda può non essere compresa. Ma se ci si inerpica fra le viscere di
questa tenera e melanconica terra si avverte la forza, il sentimento di solitudine
che aleggiano attorno, come invisibili volute di fumo, distaccandoci
completamente dal mondo ma rendendoci unanimi all'anima dei personaggi.
Riconosco
come tutto questo ha destato alla sua creatrice un'infinità di ricordi in cui
il silenzio che circonda il tutto scende dai muriccioli in un sottofondo
melodico, una fisarmonica che suona accompagnata da grida di rivenditori, urla
di giocatori, canti corali o versi di contadini e poeti di cui ho visto
ritrarsi in se stessi come piccole o fragili creature.
E
da questo penso sia derivato il mio interesse nei riguardi di questa lettura.
Si, al tempo in cui avevo scoperto l'esistenza di questo romanzo ero ancora una
ragazzina che nutriva già un amore profondo per la lettura, ma non per i
classici. Per questa tipologia di romanzi mi ci sarebbe voluto qualche altro
anno. E una certa maturità nel campo mi ha reso impavida, amica con qualsiasi
tipologia di lettura, e fedele solo a pochi. Per questo ogni romanzo possiede
una sua anima, e ogni lettore deve saperla estrapolare mediante i suoi
interessi, senza fare giudizi temerari contro il prossimo.
Il
misterioso manto della notte che avvolge il tutto, la magia che sprigionano
queste pagine, così come l'aura grigiastra di ognuno di questi personaggi,
burattini manovrati magistralmente nel quale i sentimenti, le emozioni, si
annidano e si intrecciano, costituiscono i principali elementi che
caratterizzano la prosa deleddiana. La possente attrativa di quel fenomeno
psicologico per cui ho gradito questa storia. La grande << presenza
>> dell'autrice. Voce onniscente, forte e chiara, riempita da anni e anni
di fervide letture, grande costate da cui sono dipese le sorti di una famiglia
di contadini comuni, i Pexel. Loro, quella numerosa famiglia sorretta da un maggiordomo,
tre sorelle, una condizione sovrastante e insormontabile. Quella piccola
finestra su cui molti prima di me si sono affacciati, e di cui non ho potuto
ignorare il meraviglioso paesaggio che si è snodato ai miei occhi, partendo e arrivando
da un punto che non ha una sua collocazione precisa.
Qui
dove gruppi di anime piangono, ridono, si commuovono o si spaventano, ma anche
ridono, spariscono e, ogni tanto, non danno alcuna risposta, infranti sul legno
consumato di tradizioni e tabù di una generazione che non è più la nostra.
Fu
dunque così che, abbracciando ricordi o dispiaceri lontani, impregnati di
desiderio e speranza, giocando con vecchie o nuove conoscenze, in un attimo, in
un istante, ho disegnato le tracce della mia esistenza su una lapide bianca e antica.
Su uno spazio bucolico che ha tanto di famigliare e che, se si vuole esagerare,
mi ha dato l'impressione avesse la forma di una persona.
Consapevole
di quanto sia ingiusta e crudele la vita, celata in una storia apparentemente
semplice, Canne al vento è un romanzo
la cui trama non si dipana come la stoffa di un tessuto. Piuttosto con piccole
grinze, piccole divagazioni che potrebbero irretire in un primo momento, e in
un secondo tediare.
Certi
tipi di romanzi fanno capire come il destino non è una catena di eventi, ma un
volo; un continuo avvicendarsi di creazione e distruzione. Un'altalena
sfilante. A tratti persino angosciante. Qualcuno - un padre, un amico , una
sorella - incapaci di rialzarsi e combattere pur di trovare quella zolla,
quella strada perduta e mai più ritrovata. Immaginando, inventando, e su una
corrente impetuosa di frasi e parole porgere lo sguardo, con una pesantezza
inaudita nel cuore. Tragico e allo stesso tempo penetrante.
In
compagnia di figure che vagano lungo la riva dell'assurdo e che sentono il peso
insostenibile della lontananza, e che colgono l'esperienza del male come
qualcosa di inaspettato e sconvolgente, nella sua interezza, nella sua maestosità,
nella sua giusta dimensione, Canne al
vento è caratterizzato da una trama realistica basata esclusivamente su
esperienze di vita che sembra di vivere in prima persona. Una storia che ho
ascoltato in questo momento della mia vita e che sono certa non vorrò più
ascoltare. In un mondo dove si è completamente indifesi in cui gli uomini non
sono altro che spettatori di una realtà a cui si adatteranno al più presto,
sorvegliano silenziosamente l'azzurro del cielo. Una cornice in cui lo sguardo
rimane intrappolato, si fissa come un'impronta nella mente.
Un
libriccino dalla mole piuttosto ridotta il cui contenuto però grava sulle
spalle come una roccia. Affascinata dalla meravigliosa concezione della prosa
deleddiana, ho vagato sola nel bel mezzo del nulla in cui bisogna sopportare e
respirare l'aria degli altri. In un bianco chiarore infinito che tuttavia non
lascia indifferenti, amaro e crudo come è solo la negazione di un qualcosa che
deve arrivare, nel non volerlo vedere.
Valutazione
d'inchiostro: 3 e mezzo
Ciao Gresi, non ho letto nulla della Deledda, questo è un romanzo molto famoso e spero di riuscire a leggerlo prima o poi!
RispondiEliminaCiao, Ariel! Per me questo romanzo è stata la mia prima esperienza con la Deledda, e non nascondo che non mi è dispiaciuto. Ma non la si può nemmeno considerare come una lettura che consiglierei ad occhi chiusi ☺
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