Per un attimo mi ero dimenticata di questa "nuova" rubrica,
che qualche mese fa ho ideato per il semplice gusto di farlo, agitando le dita
su una tastiera grigia e un po' consumata e guardando a turno ciascuno di quei
personaggi protagonisti mensilmente, senza capacitarmi come sia giunto l'ottavo
giorno del nuovo mese, e incapace di trovare nell'immediato le idee. E sebbene
mi sento quasi sempre in dovere di far trasparire ciò che tengo saldamente
dentro, mediante quel battesimo magico che mette in contatto il mondo di qua con
quello di là, invasa dalla dolcezza di un'estasi interiore, non manca dunque di
far sedere comodamente sulla mia poltrona preferita un uomo davvero grande, grande
come le sue opere del resto, protetto parzialmente dalla luce di un fuoco carico
di sfarzo e frivolezze.
Le sue opere infatti mi hanno tenuto sotto tiro con lo sguardo per
parecchi giorni, parecchie volte, prima di voltarmi e girargli le spalle.
Mediante personaggi avvenenti
ed educati, figure pulite, dure e categoriche, immerse nello scetticismo
universale, che altri non sono che l'alter ego dello stesso Fitzgerald, o nemesi
di una figura che col tempo molti lettori hanno amato e coccolato, dal rozzo
vigore che invita i vecchi eufemismi dal destino troppo evidente lungo una
scorciatoia che porta al niente, Fitzgerald si è avvicinato al mio orecchio
sussurrandomi qualcosa che io non sapevo. Ho conosciuto così un uomo dal temperamento
forte e un po' distaccato, dalla cui figura trapela qualcosa di nebuloso,
preoccupato, vago, drammatico che me lo ha fatto designare come qualcuno a cui
è stata strappata la felicità. Ogni rimasuglio di speranza, addirittua di vita,
che vaga lungo la riva dell'assurdo, avanza verso nuvole evanescenti che poi
fluttuano verso il cielo. Talvolta infatti ho avuto l'impressione di aver affiancato
un uomo vuoto come un guscio. Ho avvertito tutto il peso della sua tristezza,
crogiolarsi nel dolore, deperirsi senza che io potessi fare niente. Il congegno
artificioso delle emozioni, dei ricordi, esposti quasi sempre ai venti della
vita, mi hanno consentito di calarmi nel vivo di un mondo all'apparenza popolato
da cartoni animati, di personaggi drammatici che scontano fino alla fine il
mestiere della vita.
I romanzi di Fitzgerald infatti sono una selvaggia immersione dell'anima,
un tuffo di tutti i colori in un'unica tinta scura, una debole cantilena americana
che continua a corteggiare il mondo, trascendendo con una certa durezza, con un certo autocontrollo e disciplina del secolo. Sullo sfondo di crepuscoli quasi sempre
verdognoli, in una New York affollata e colorata, fra feste, cocketel e pianoforti
che sprigionano una splendida melodia.
Tanto legato alla sua epoca quanto ancora vicino a quella attuale. Grande autore e ottima scelta per la rubrica :)
RispondiEliminaGrazie, Fede!! È un autore che mi affascina parecchio ☺
EliminaCiao Gresi! Non conoscevo questa rubrica (me tapina), ma come sempre il tuo modo di raccontare che mi affascina.
RispondiEliminaMagari lo conosci già, ma ti consiglio la lettura de "La morte della farfalla" di Pietro Citati, un volumetto in cui viene raccontata la storia d'amore tra Francis e Zelda. Citati scandaglia giusto la superficie, ma la racconta in modo perfetto! :)
Ciao, Adele! Si, lo conosco ma purtroppo non ho ancora avuto modo di leggerlo ☺☺ è una lettura che mi incuriosisce molto, e spero non mi deluda ☺
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