Le cinquecento pagine che compongono questo
romanzo sono state davvero impossibili da ridurre, per quanto la storia narrata
mi ha condotta fra le braccia di un epoca che ha scalfito la mia anima. Scrivo
'scalfito' perché da un autrice prolifica come la Oates mi aspettavo qualcosa
di più di un semplice sfioramento, ma questo è semplicemente il mio pensiero e
sebbene durante il corso della lettura sia trapelato un certo fastidio tuttavia
sono contenta di aver capito e conosciuto la Oates. Disgraziatamente per me il
nostro percorso letterario si conclude qui, che ho cercato di tenermi in
equilibrio seduta, attenta, lasciando vagare lo sguardo per i campi incolti e
aridi che si succedevano dalla finestra virtuale su cui mi sono affacciata. Il
ritratto di un epopea che risalta il forte impulso di evadere, scappare da
qualunque cosa o persona affinché ci si possa difendere, costruiscono il fulcro
primordiale su cui ruota l’intero romanzo. Ma dopo una bellissima immersione
nella cultura americana faulkneriana, quella della Oates è stato così noioso
che mi ha creato qualche problema. Eppure, alla fine, arrancando nel caldo
afoso, ho portato questa opera nel mio universo. E trattasi di una lettura che
mi ha lasciato molto poco, non ho compreso i marchingegni concepiti nel mettere
su un teatrino individuale inzuppato di lerciume e sudiciume, per non dire che
non credo compariró più nello stesso luogo.
Titolo: Il giardino
delle delizie. Epopea americana.
Autore: Joyce Carol
Oates
Casa editrice: Il
Saggiatore
Prezzo: 21 €
N° di pagine: 520
Trama: Campi di
segale sotto il sole abbacinante dell’Arkansas. Le mani strappano i frutti
della terra, la terra prude e si mangia le mani. I braccianti arrancano nel
meriggio insieme ai cavalli e il sogno americano è un abbaglio nell’afa, una
zacchera di fango sulla schiena, un canto di nostalgia e speranza spezzato
dalle spighe del grano. Clara è la figlia di due contadini e trascorre
l’adolescenza a correre fra gli odori aspri ed erbosi del grano. Clara è la
figlia di sue contadini e trascorre l’adolescenza a correre fra gli odori aspri
ed erbosi delle piantagioni, e a rubacchiare oggetti insignificanti nei negozi
per divertimento e noia. Vagheggia un futuro di emancipazione, ricchezza e
amori idilliaci; fantastica di evadere dalla promiscua violenza del suo mondo
provinciale gettandosi con abbandono in ogni avventura: prima con Lowry,
fascinoso e ribelle apolide che la strappa alla famiglia e l’abbandona subito
dopo averla ingravidata; poi con Revere, facoltoso uomo già sposato che Clara
seduce in cambio di una promessa di stabilità economica; infine con suo figlio
Swan – l’ennesima speranza di riscatto, l’estrema illusione di una riscossa
impossibile -, destinato però a diventare un uomo violento e autodistruttivo e
a far naufragare anche gli ultimi sogni della madre.
La recensione:
Tediata, ho
osservato attentamente ogni personaggio fino a notare speranzosa la fitta
ragnatela di filamenti irriducibili alla biografia dell’autrice, uno squarcio
di spazio letterario riguardante il suo passato. Quando mi resi conto di ciò
sentì di aver in qualche modo sopravvalutato la Oates, forse fino all’estremo.
È spuntato invece un terrore puro per il moderno, il progresso, il desiderio di
redimersi da una condizione che non cambierà mai se non grazie la morte che si
è propagato per tutto il mio corpo attraverso le reti inestricabili e contorte
che compongono la prosa dell’autrice, tentando forse di sorprendere, colpire
dritto al cuore strapparmi qualunque rimasuglio di razionalità.
Ciò che invece accadde
è ancora per me difficile da spiegare. Forse un narratore più abile di me
avrebbe certamente maggiore facilità a farlo, ma sfortunatamente è capitato a
me. E dunque dovrò essere io a spiegarmi. Di colpo, prima che potessi
realizzare una frase di senso compiuto riguardo al romanzo di William Faulkner
la storia della Oates disfece ogni cosa come figure d’argilla sotto una pioggia
inattesa, per fondersi tra loro in un unico modello. Le insenature bucoliche, i
campi arati, il senso di inquietudine e sconforto dei protagonisti del romanzo
di Faulkner si deformarono e navigarono in un fluido viscoso, fino a
confondersi in un intruglio concitante, realistico, di un mondo lontano,
estraneo scritto in maniera sordida, prolissa, loquace, sognante e fumante in cui
ho riscontrato l’opera di una scrittrice acerba ma ambiziosa che nel nuovo
millennio ha fatto di questa opera un atto di umiltà. Fallace in più punti,
chiacchierone e viscoso che disgraziatamente non ha incontrato i miei gusti
personali. Malgrado ciò, non ho potuto fare a meno di osservare incuriosita il
processo di metamorfosi dei personaggi della Oates, sempre più inquieti perché,
ogni secondo che passava, era il risultato di una lotta per il raggiungimento
della felicità, la libertà a una forma di sopravvivenza sconosciuta. E nemmeno
sul finale questi esseri potranno raggiungere il loro obiettivo, provvisti di
armi che possano renderli simili fra loro, avvolti quasi completamente in
pelami putridi, lanuginosi.
Quando Il
giardino delle delizie cominciò ad acquisire consistenza, riuscì a
cogliere l’aspetto della sua anima, ma ho osservato anche come il metodo
adoperato dalla Oates per raccontarlo non è stato per me soddisfacente. L’opera
avrebbe potuto cristallizzarsi in un volto perennemente triste, deformato da
atrocità e rinneghi, che è il risultato ottenuto dopo aver trascorso una vita
intera in una campagna dimenticata persino da Dio, fra povertà e miseria
disposti come lame acuminate. La ragazza che riposa docilmente nel corpo
dell’autrice con gesti lenti ma netti e recisi ha affondato i suoi artigli
nell’anima di chi legge, per estrarla un attimo dopo emaciata o malridotta o
solo impietosita, come nel mio caso, che si sparse sul pavimento della mia
camera producendo un piccolo ticchettio attenuato. Per quanto mi riguarda, ho
vinto la paralisi che ha attanagliato il mio corpo, sin dal primo momento che
ho letto questo romanzo, e ho avanzato sino alla fine impavida, risoluta,
affondando con velocità fra gruppi di anime deteriorate dal tempo e dalla vita.
Molte lettrici,
così come me, del resto, hanno seguito questo impervio cammino rotolando per
terra per tutto il romanzo, facendomi sentire estranea per tutta la sua durata.
Giudicare un
romanzo come quello della Oates, dopo un immersione impune, morbosa come quella
descritta da Faulkner nel suo meraviglioso romanzo, mi ha regalato
l’opportunità di godere del privilegio di conoscere questa autrice, sfuggendo
felicemente dal tarlo della curiosità di fare delle opere della Oates come mie.
Eppure con Il giardino delle delizie non è stato così, sebbene
abbia tolto alcun dubbio se sia giusto o meno mettere in << cattiva
>> luce una storia come questa. La storia di Clara tuttavia è stata
l’ultima che ha sancito il mio incontro con l’autrice, sebbene emersa da un
luogo lontano, in cui l’individuo stesso è un essere che sente l’esigenza di
poter essere compreso, aiutato. Poiché l'individuo, come in Luce
d’agosto, è figlio di un Dio che ci tiene uniti ma resi piccoli involucri
trasparenti senza peso, senza anima.
Ci ho riflettuto a
lungo, e mentre Faulkner considerava la letteratura come quel magnifico
marchingegno per dipingere modestamente la realtà circostante, la Oates si
affida alla memoria, ai ricordi. Da qui, penso derivi il mio rifiuto, il mio
inappagamento nei riguardi di questa lettura, che purtroppo mi ha resa
distaccata dalla massa.
Certo, tutto ciò
che alla fine apprenderemo non lascia indifferenti. Eppure per me Il
giardino delle delizie è stato una sorta di trappola, messinscena
letteraria che in un certo senso mi ha mostrato la sua faccia, la sua identità
sin dall’inizio mediante fatti o eventi che scorrono come un fiume in
proprusione.
Romanzo che è un
monito per la società odierna, un ritratto sociale realistico in cui l’atto del
fuggire trova sfogo nell’anima di chiunque, torturando il nostro essere, e, per
quanto mi riguarda, non raggiungendo tuttavia ne il cuore ne l’anima.
Valutazione
d’inchiostro: 3
Deve essere una lettura molto particolare, magari lo leggerò.
RispondiEliminaNon mi ha entusiasmato molto, come puoi vedere, ma ero molto curiosa di leggere la Oates che alla fine ho deciso di buttarmi :)
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