Si trattiene il respiro. Sia io, lettrice, sia le creature che popolano la piccola cittadella della coscienza dell'autore, corazza composta da manichini in carne e ossa che si fanno largo fra grumi di umanità formati dalla gente per strada. Appostata in un angolo, ho visto come Paul Auster abbia scritto l'ennesimo spettacolare ritratto umano che, mediante conversazioni dell'anima che sono state tessute mediante confidenze, segreti sussurrati dinanzi a una pagina bianca, concentrati, con i loro sogni, le loro speranze, osservavano il cielo che cominciava a tingersi di un colore grigiastro: nessuno di loro poteva sospettare alcun minimo dettaglio di invasione. Perfino Anna, disillusa, ingenua, ma combattente e coraggiosa, seguendo la voce del suo cuore, continuava ad affacciarsi dalla finestra virtuale di un mondo che lentamente si sta avviando verso lo sfacelo, in attesa che qualcuno o qualcosa recidesse una battaglia che sembra non avere fine. Permettendo così di ritornare dove stava prima. Ed è proprio qui, naturalmente, che sta il bello di questa lettura. Il non poter tornare allo stato naturale delle cose, se esse, sebbene richiamano costantemente il passato, non rivelano una certa verità. Sfidano la nostra comprensione, feriscono, sminuiscono semplicemente perché le si osserva.
Titolo: Nel paese delle ultime cose
Autore: Paul Auster
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 9,50 €
N° di pagine: 172
Trama: Immaginate un posto dove le persone (la nonna, il droghiere, il vicino di casa) e gli oggetti ( le auto, lo spazzolino, la caffetteria, la gomma da cancellare) sono a rischio di estinzione. Una mattina ti alzi e non c'è più il postino o lo schiaccianoci. E non solo il tuo, ma quello di tutti. Qualsiasi rimasuglio diventa allora l'oggetto più prezioso del mondo, soprattutto per i 'cacciatori di oggetti', persone in grado di uccidere per accaparrarsi, che si, un mozzicone di matita.
La recensione:
La recensione:
Morire in un secondo, cancellare se stessi in breve è un glorioso momento. A volte penso che la morte sia l'unica cosa che davvero ci interessa. È la nostra forma d'arte, l'unico modo per esprimere noi stessi.
Ho tirato un sospiro, quando sono giunta alla fine dell'ultimo paragrafo. Non intendo come atto di liberazione, piuttosto come se Paul Auster mi avessero fagocitato ed io avevo respirato insieme a lui e ai suoi personaggi. Non trascorsero nemmeno 24 ore dal momento in cui giunsi Nel Paese delle ultime cose, e dopo, tuttora anzi, ho il cuore a pezzi come poche altre letture hanno esercitato questo effetto su di me, dove l'orgoglio, il rimorso dovetti ingoiarlo fin quando dovetti andarmene. Salutare Anna e la sua triste storia sfiorandola con un bacio, o, in mancanza di tale contatto, un abbraccio tenero e sincero.
Nel momento in cui mi immersi fra le pagine di questo bellissimo romanzo, ebbi la sensazione di essere sospesa in una dimensione lontana, remota in cui bisogna accontentarsi pur di sopravvivere e vivere meglio. Tenersi stretti cose che si credevano perdute, cose che si disfano, svaniscono, sospesi in un altra dimensione, in una pura e semplice apparizione che ognuno di noi porta dentro di sé. Un paio di pagine dopo compresi come queste cose perdute a cui fa cenno il titolo fanno parte di un piano cosciente di creazione di un mondo disagiato e disuguale, che si trasforma a seconda del volere di un Fato egoista e crudele, soggetto a regolare e trascinare verso l'alto. Anna, così come tutte le creature presenti in queste pagine, vagano in questa terra desolata in attesa che questa tortura passi, nascano dalle loro stesse ceneri,fanno parte di qualcosa che riposa dentro di loro, affinché raggiungino un certo obiettivo.
In questo romanzo, Paul Auster dimostra validi e importanti modelli di sopravvivenza che concernono l’introspezione, i personaggi, la loro funzione, che si muovono grazie alla cittadella sommersa della sua anima popolata da mostri che si muovono nel sonno. Vagano per le strade con strani sorrisi di circostanza stampati in volto, circondati da un magico alone di diversità e tenacia nel contrastare e combattere chiunque. Frustate di fuoco per l'anima di chiunque che solcano la colonna vertebrale di chiunque, sciolgono il midollo o magari le viscere, con conseguenze temibili, impensabili, e una certa vergogna che li avrebbe accompagnati fino alla morte. Perché per un istante si credeva che non ci fosse alcuna via di salvezza, ma poi è bastato semplicemente centrare le cose, immaginarle unite alle altre, poiché nascano nuovi arcipelaghi di materia. Nuove fonti di conoscenza.
I pensieri a questo proposito sono serviti ben poco. Si traducono direttamente in eventi del tutto naturali. Mutano mediante l'osservazione soggettiva di una giovane donna che esplica i motivi per cui nessuno è in grado di dare una spiegazione scientifica a ciò che accade. Per questo motivo si avverte un certo disagio nel constatare quanto sia impossibile tutto questo. Sebbene il desiderio di condurre una vita tranquilla è più forte di qualunque cosa.
Nel paese delle ultime cose è una delle opere più belle di Paul Auster in cui l'autore, in circostanze simile alle mie, nell'atto di scrivere una storia che ha una sua anima, si serve nient’altro che di parole che trapelano sofferenza, un'arcana capacità di scrutare l'anima altrui, percependo correnti nascoste sotto ogni situazione umana. Una storia come questa, infatti, colpisce profondamente proprio perché prende vita, fra mille silenzi, gruppi di parole che sfuggono alla nostra comprensione e che non vengono mai più ritrovate.
Allo stesso modo di Diario d'inverno, anche qui torna alla mente la storia di una donna sola ma ambiziosa e talentuosa che accetta e abbraccia il credo della morte come quella forma d'arte che ci avrebbe aiutato a comprendere noi stessi.
Ma cosa fare quando ti guardi attorno e constati come la vita riservataci sia così inutile e inappagante. Non ci resta altro che rimuginare, lasciare che i nostri pensieri vaghino come meglio crediamo, con ricordi che assalgono, sensazioni in cui diviene impossibile distinguere la realtà dalla finzione. Un mondo visibile in bianco e nero.
Nel momento in cui ci si ferma a pensare ci si riconosce per chi effettivamente siamo: uomini che camminano e che hanno passato la vita attraversando a piedi la città. Ripercorrendo luoghi dove negli anni si ha parcheggiato il proprio corpo, in luoghi che ben o male riconoscono una parte di noi stessi.
Nel paese delle ultime cose è una lettura che consuma letteralmente da dentro, che tocca qualcosa che ti addolora. Gridi disperati di uomini soli e insoddisfatti, tristi, soli e poco inclini alla positività, scritto con frasi che sono state pescate dal dentro della nostra anima, con quell'accumulo di ricordi e percezioni che l'autore si porta nel corpo e che, in un modo o nell'altro, mi lasciano boccheggiare.
Per vivere devi far morire te stesso. Ecco perché tante persone si arrendono. Pecche, per quanto lottino con forza, sanno di essere destinate a perdere. E a quel punto è completamente inutile tentare di lottare.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
Altro autore da provare. In libreria, se non sbaglio, ho follie di Brooklyn. :)
RispondiEliminaQuello non l'ho ancora letto, ma non tarderò a farlo 😊😊😊
Eliminaseems good book!
RispondiEliminaMy Blog | Instagram | Bloglovin
Yes, it is! 😊😊
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