Poco a poco proseguo imperterrita il
mio proposito di divorare romanzi che languiscono sullo scaffale da qualche
tempo, prima che si concluda l’anno.
Prima che infatti il 2019 termini ci sarà
certamente un momento che alimenterà i miei propositi letterari dell’anno
venturo, uno sbuffo di fumo nel mio piccolo focolare, la cui matassa, salendo,
si allargherà fra le stanze buie della mia coscienza come se un gigante posasse
la sua mano sull’apertura di un camino. Tutto ciò sarebbe stato provocato da un
regalo inaspettato, di cui conosco già il suo contenuto, e che decreterà la
prima lettura dell’anno 2020.
Non ho tuttavia potuto fare a meno
di tenere a bada quelle che non sono state altre che le mie più fervide
impressioni, nei riguardi di una lettura il cui odore sa di antico e penetrante,
e poiché il tempo va ad accorciarsi sempre più, l’ho accolto nel mio
personalissimo cantuccio non sapendo che cosa aspettarmi. Vi ho portato
speranze, reciso progetti, sognato ad occhi aperti. Il risultato è un sogno
vittoriano, romantico ma un po’ triste, che in qualcosa di estremamente
nascosto, delicato, simbolico, rivelante, ha segnato il mio cammino in aggiunta
a quello degli anni letterari.
Dal “grembo” dickensiano, deriva così
Il prigioniero felice, la cui autrice
fu la pronipote di Charles Dickens e che, mi piace affettuosamente adesso
chiamarla, la Dickens al femminile. Come
è stato possibile ignorare completamente la sua esistenza?
Quello che segue è il mio parere, a
caldo, di un triste racconto di vite che in un certo senso mi sono appartenute.
Mi hanno indotta a gettarmi sulle spalle la monotonia del giorno, la
drammaticità di alcuni eventi, giungendo irruentemente come un ospite
indesiderato nella stanza del giovane Oliver ascoltando ciò che mi avrebbe
detto. Toccata dal un certo coinvolgimento emotivo, il cui messaggio conferisce
una mancata libertà interiore che in un momento di estatica felicità cozzò con
la vita e il processo inesorabile del tempo.
Titolo: Il
prigioniero felice
Autore: Monica Dickens
Casa editrice: Eliot
Prezzo: 14, 90 €
N° di pagine: 320
Trama: La guerra è finita ma niente è ancora tornato alla normalità per Oliver North. In convalescenza per l’amputazione di una gamba, il giovane reduce è prigioniero nel suo letto, sistemato nella stanza principale della casa, da cui osserva il viavai dei membri della sua complicata famiglia. Le sorelle, la madre, i nipoti, una cugina e persino una ex fidanzata approfittano della sua condiizone di spettatore affettuoso per confidargli i propri problemi. Ee’ un modo per passare il tempo e pian piano Oliver ci prende gusto: dà consigli, suggerisce strategie, manovrando dietro le quinte le esistenze degli altri. Ed è così impegnato a occuparsi degli affari altrui ( provocando anche una serie di pasticci ) da non badare a ciò che lo riguarda, ovvero i suoi sentimenti verso qualcuno che ha molto a cuore la sua sorte: Elizabeth, la preziosa quanto riservata infermiera personale.
Autore: Monica Dickens
Casa editrice: Eliot
Prezzo: 14, 90 €
N° di pagine: 320
Trama: La guerra è finita ma niente è ancora tornato alla normalità per Oliver North. In convalescenza per l’amputazione di una gamba, il giovane reduce è prigioniero nel suo letto, sistemato nella stanza principale della casa, da cui osserva il viavai dei membri della sua complicata famiglia. Le sorelle, la madre, i nipoti, una cugina e persino una ex fidanzata approfittano della sua condiizone di spettatore affettuoso per confidargli i propri problemi. Ee’ un modo per passare il tempo e pian piano Oliver ci prende gusto: dà consigli, suggerisce strategie, manovrando dietro le quinte le esistenze degli altri. Ed è così impegnato a occuparsi degli affari altrui ( provocando anche una serie di pasticci ) da non badare a ciò che lo riguarda, ovvero i suoi sentimenti verso qualcuno che ha molto a cuore la sua sorte: Elizabeth, la preziosa quanto riservata infermiera personale.
La recensione:
Nessuno di noi pensava che la nostra vita sarebbe cambiata. Non ci
veniva mai in mente che avremmo potuto invecchiare, o diventare più ricchi o
più poveri, o che avremmo potuto vivere in un altro posto, o che potessimo
essere travolti da una crisi familiare. La nostra vita era costituita solo da
noi, e basta. Non siamo mai stati felici in modo delirante né miserabilmente
depressi. Eravamo soddisfatti, tranquilli e al sicuro. Compiaciuti di noi
stessi.
Il racconto terminò ed ebbero termine anche
le relative impressioni, emozioni o sensazioni che non riesco a tenere a bada,
con le sue relative spiegazioni. Per tutto il tempo la voce della sua autrice
si era levata più alta di quella del giovane Oliver, con un mucchio di
riflessioni dense di vita, morte, sensi di colpa.
Ma l’aspetto degli oggetti esterni, l’importanza
che gli si attribuisce, sembrò subissero una notevole crescita a mano a mano
che procedevo nella sua narrazione. La nostra coscienza spesso ci induce ad
essere protagonisti di qualche crudele scherzetto, diabolicamente studiato,
irruenti e imprevedibili, che irremovibili decretano una sentenza a cui si è
costretti ad avvalersi. Ho letto Il prigioniero felice immaginando la Vita come
un diavoletto dispettoso e monello ridacchiare rumorosamente, mostrando
cattiveria e poco senso pratico. La luce
che ogni tanto penetrava da uno squarcio di stoffa, dietro una finestra,
riluceva di vita; impregnava non solo ciò che vi era attorno, ma persino i
cuori di chi era vicino. Tutto ciò che mi circondava, lo stesso Oliver,
esprimeva un terribile senso di mancanza, insoddisfazione, rassegnazione che in
un attimo hanno rovesciato ogni cosa, quando la guerra ha prostato Oliver ad
uno stato di quasi totale infermità, o piuttosto nella sostanza delle cose. Mutano
le cose ma non la loro essenza.
Quando conclusi Il prigioniero felice, il
ricordo delle tenere parole dickensiane si spinsero negli angoli più remoti
della mia mente, ripetendosi come l’eco di un tempo di cieca e suprema
insensatezza. La Dickens, questa volta donna, pronipote di Charles Dickens,
compì l’atto di scrivere un romanzo apparentemente semplice, insulso, qualcosa la cui fiamma riverbera ancora fra le
pareti bianche della mia camera. Sono state attizzate le braci, con una certa
violenza interiore, di una condizione umana che sin dalle prime pagine mi
apparve chiara. Il volto di questo giovane uomo era esattamente come quello
dell’altro Oliver, quello de Le avventure di Oliver Twist, come avvizzito nell’intensità
dello sfrigolio di un cuore che batte regolarmente.
Quando si legge questo tipo di romanzi non
si ragiona con coerenza: ci si lascia andare e coinvolgere da emozioni forti,
istantanee di vita comune ma sgregolate da eventi o emozioni forti, e da ciò
penso derivi il significato dei suoi movimenti netti. Fui sorpresa da questo
elemento, poiché la magia celata in queste pagine sta nel desiderio di mancata
libertà dei personaggi, il loro stare nel mondo, una cella invisibile da cui
non vi è alcuna via di salvezza, quasi quanto la confessione stessa dei loro “peccati”.
Queste, in soldoni, le tematiche di un
libro le cui prime pagine sono pagine cariche di dramma, tragicità che
sedimenta nell’animo, e che induce il lettore ad elaborare nozioni o idee che
incantano nella loro sottigliezza, che li ho percepiti solo come elementi di
una vita ostile che sradicano la rassegnazione. L’uomo, infatti,
dinanzi al processo crudele della vita non può far nient’altro che rassegnarsi,
aggrappandosi ai ricordi e attribuendo ad essi una certa importanza. Senza
ricordi, infatti, non sarebbe nient’altro che massa di carne prive di anima. Ed
attanagliata dagli eventi del passato, scivolando addosso come la lente di un
microscopio sugli oggetti.
Come una spettatrice attenta, mi sono
mescolata a gruppi di persone che procedevano strascicando i piedi, con la mano
nel petto, e la consapevolezza delle bellezza a cui avrei dovuto assistere. Il
cammino impervio di un ragazzo e della sua storia, presumibilmente nella
direzione che avrebbe portato dritto dritto a fare breccia nel mio cuore, fu un
chiaro riferimento alla crudeltà della vita, e al modo per come l’uomo si
aggrappa a sogni o speranze per contrastarla e viverla meglio. In lontananza, l’eco di drammi lunghi,
ponderati, vaghi, che sedimentarono nel mio cuore, sprofondando nelle pieghe
del tempo.
Quando ci si inerpica nei meandri ostili,
ma intensi di certe produzioni letterarie nell'immediato si provano moti di
compassione o affetto. Incapace di dare un significato, una giustificazione,
per quello che le sue pagine celano così bene: segreti irraggiungibili del
cuore umano. Il prigioniero felice non ne è un eccezione, e costruito
secondo i piani emotivi più incredibili e convincenti, esplica una certa forza,
una bonaria scaltrezza, un amabile, soave apparente totalità di vero uomo, con
ritorsioni dell'animo che alla fine avranno una loro giustizia.
Perla della letteratura vittoriana ed inglese che rientra nel sentimentalismo
della produzione dickensiana, in cui ci si trascina nella crudeltà,
nell'indecenza per riassumere un fatto realmente crudele che condanna il protagonista a vivere come un anima dannata e alla deriva.
Valutazione d’inchiostro: 4
Anche io alle prese con un romanzo di quest'editore, ma purtroppo per me mi sta deludendo e annoiando. Tu sei stata decisamente più fortunata! :)
RispondiEliminaGrazie! Mi spiace per la tua delusione 😔😔
EliminaCiao Gresi, non conosco il romanzo, ma sembra una bella storia! Buon Natale :-)
RispondiEliminaAuguroni anche a te ❤️☺️
EliminaMi spiace per la delusione; non conosco il romanzo; buona Vigilia di Natale a te e famiglia
RispondiEliminaBuona Vigilia anche a te ❤️☺️
EliminaCiao Gresi! Non conoscevo il libro, ma mi ispira molto, sembra essere perfetto per me. Tanti auguri in ritardo. ❤️
RispondiEliminaSpero allora lo leggerai, Diletta :) Auguroni :)
Elimina