Di romanzi brevi ma intensi, questi primi giorni di
marzo, ne ho letto già qualcuno, così scollegata dal mondo e dalla quotidianità
che ho sempre desiderato quando mi approccio ad una nuova lettura, che
lentamente mi chiedo se ciò potrebbe comportare qualche cambiamento alle mie
abitudini.
Ho pensato, nell’immediato, ad un romanzo che
acquistai qualche tempo fa con gli sconti Adelphi, un romanzo esile e dalla
bellissima copertina la cui aura lucente avrebbe rifluito in tutto il mio
essere. L’approccio a nuove sfide di letture mentre di libri ancora da leggere
e vivere aumentano spropositamente, quelle che mi hanno condotta in svariati
luoghi, dalle pagine che profumano ancora di nuovo e di inchiostro appena
rovesciato, oramai niente e nessuno mi avrebbe distratta dai miei propositi, e
in un soffio sono stata portata in un luogo che da sempre sortiva il mio
fascino. Questo romanzo, perciò, si proiettò nel mio cerchio personale con una
certa irruenza, a quanto sembra prequel di uno dei miei romanzi preferiti, Jane
Eyre, e di colpo la mia mente si trovò a viaggiare in questo immenso mare
confidando di rivivere la felicità tanto agognata quanta desiderata dalla
protagonista. L’amore per la propria terra come segno di quella felicità
perduta, del vecchio e nuovo e di un amore che avrebbe dovuto essere grande e
che disgraziatamente mi ha lasciata un po’ indifferente. Così come adesso, che
sono trascorse una manciata di ore dalla fine della sua lettura, nel riporre queste
poche righe in quanto inconsapevole ad esprimere i motivi per cui fra le sue
pagine riecheggia il forte richiamo della dolce Jane. Quale evento o momento,
inaspettato o premeditato, con licenziose condotte, mi avrebbe rimembrato tutto
questo?
Non nego però che la sua autrice scrisse questo
romanzo cogliendo un messaggio particolare, in cui non accettare l’offerta di
vivere di lei e di questo suo figlio di carta sarebbe quasi una blasfema. Perché
Il grande mare dei Sargassi non eguaglia ne valica alcun confine che Jane
interpose fra lei e il mio cuore. Ad una semplice occhiata questo potrebbe
sembrare un romanzo inutile, dal sapore di << già letto >>, ma
personalmente credo che concederne qualche ora del nostro tempo sia
appropriato. Potrebbe essere che vi deluda, potrebbe essere vi conquisti, ma
una cosa è certa: merita di essere letto, almeno una volta!
Titolo:
Il grande mare dei Sargassi
Autore: Jean Rhys
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 170
Trama: “C’è in “Jane Eyre” di Charlotte Bronte un personaggio minore, ma discretamente inquietante. Il personaggio di una folle reclusa che si dice sia una bella erediteria creola. Jean Rhys ha avuto l’idea di ricostruire la vita di una simile ombra labile e confusa prima dell’arrivo in Inghilterra. Una idea può essere buona o cattiva, anzi un’idea è in partenza provvisoriamente buona e cattiva. Risulterà essere più buona che cattiva, più cattiva che buona a seconda dell’esecuzione. Ora l’esecuzione di Jean Rhys è straordinaria, un romanzo avvelenato di fascino, squilibrato di passioni, condannato e riscattato dalla magia… scacciata dal suo paradiso di Coulibri, Antoinette affronta un tragico e tumultuoso destino d’amore e follia proprio perché di tale tragicità e tumultuosità è convinta lei per prima. O, facciamo, per seconda.
Autore: Jean Rhys
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 170
Trama: “C’è in “Jane Eyre” di Charlotte Bronte un personaggio minore, ma discretamente inquietante. Il personaggio di una folle reclusa che si dice sia una bella erediteria creola. Jean Rhys ha avuto l’idea di ricostruire la vita di una simile ombra labile e confusa prima dell’arrivo in Inghilterra. Una idea può essere buona o cattiva, anzi un’idea è in partenza provvisoriamente buona e cattiva. Risulterà essere più buona che cattiva, più cattiva che buona a seconda dell’esecuzione. Ora l’esecuzione di Jean Rhys è straordinaria, un romanzo avvelenato di fascino, squilibrato di passioni, condannato e riscattato dalla magia… scacciata dal suo paradiso di Coulibri, Antoinette affronta un tragico e tumultuoso destino d’amore e follia proprio perché di tale tragicità e tumultuosità è convinta lei per prima. O, facciamo, per seconda.
La recensione:
La situazione ritratta in
queste pagine, il centro delle attività, il teatro di azioni su cui convergono
le << magnifiche >> gesta di una semplice donna di colore, a quanto
si dice attiguo alla storia celata fra le pagine di Jane Eyre, avrebbe
dovuto sortire effetti assolutamente positivi su un’esperienza che personalmente
amo e ho amato immensamente svariate volte, nel corso degli anni, e se mai
fossi riuscita ad amare Il grande mare dei Sargassi come il romanzo
della Bronte, maturare un opinione non del tutto positiva e in prima persona
nei suoi riguardi mi avrebbe schierata dalla parte di quei lettori che il
romanzo l’hanno letto ma non apprezzato, una delle tante voci ( forse ) fuori
dal coro che hanno letto quasi con voracità le pagine narrate dall’autricee ma
senza alcun slancio emotivo, senza alcun coinvolgimento, perché anche se
scritto bene non è entrato nelle stanze remote della mia coscienza ne ha
lasciato un segno del suo passaggio. A me, quando mi imbatto in questo tipo di
letture, non mi serve altro. Della Rhys, tanto amata quanto criticata, non
credo vorrò leggere qualcos’altro ma non perché questa sua prova di scrittura
non ebbe alcun bisogno di mostrare gli strascichi lasciati dalla Bronte –
certamente tralasciati di proposito – solo una prova di letteratura, per l’appunto,
che ha rispettato alcune nozioni sentimentali ma nient’altro. Perché i
possibili spunti di argomentazioni finiscono qua: un forte attacamento alla
famiglia, alla propria terra, mi hanno conferito un quadro famigliare
affascinante ma insulso che ha previsto una lettura avida e zeppa di curiosità
tanto per scoprire dove la sua autrice volesse andare a parare quanto per la
storia in se. Il grande mare dei Sargassi infatti tocca diverse
questioni politiche, sociali a causa di diffamazioni, eventi razziali, acerrime
distinzioni fra bianchi e neri nel considerare soprattutto quest’ultimi nient’altro
che delle << blatte bianche >>, di cui la stessa autrice evidenzia
con un certo distacco, una certa freddezza di chi visse queste situazioni in
prima persona, ma anche un espediente per indurre moti di compassione e comprensione
nei riguardi di una donna che francamente non ho compreso. Algida, malinconica,
avvolta in un aura di sconforto, aveva deciso di sposarsi e unirsi in
matrimonio confidando di poter allontanarsi dai principi bislacchi nei riguardi
della sua terra. Non propriamente roba leggera, se si considera che la stessa
protagonista fu malmenata e maltrettata dal marito per scopi ad uso impersonale,
che avrebbe accresciuto il tono tendenzialmente piatto e malinconico. Rischiando
così di apparire pesante, con una protagonista avvolta in un sudario
indistricabile di sofferenza.
Questa recensione, credo,
parli da sola. Scrivere recensioni di romanzi a cui si erano riposte
particolari speranze vuol dire un certo coinvolgimento emotivo ma anche distacco
dal mondo. Se voglio che sia chiara, e leggibile, avrei dovutto accettare i
termini del paradosso e costringermi a scrivere nel parlare malamente o
sufficientemente di un romanzo. Disgraziatamente, questo romanzo rientra in
questa categoria che, sin dal primo momento del suo approccio, mi ha costretta
a vivere in una condizione di duplicità: l’esigenza di tuffarsi nel vivo delle
situazioni e quella di tenersi però in disparte nei momenti di generale
sconforto. Ed è così che mi sono sentita, una volta conclusa questa lettura. Riposto
il romanzo sullo scaffale di una mensola fin troppo capiente è stato un
problema. Così come quando saluto un amico che so non vedrò per tanto tempo. Ma
anni e anni di letture di svariato tipo mi hanno resa più forte e ciò che in un
primo momento potrebbe apparire come meraviglioso, in un secondo dimenticabile
ma non per questo non meritevole di essere letto. Imparzialità e obiettività
che in un certo senso ho adottato come stile di vita, seppur con una certa
irritazione poiché di elementi assolutamente apprezzabili e trattabili il
romanzo ne possiede. Essere una lettrice comporta anche a vestire i panni di un
critico che potrebbe dare inizio a una rivoluzione. Io però scrivo per me
stessa, e se qualcuno mi legge ne sono più che felice, e cercare di spiegare
agli altri il significato di questo mio diniego comporterebbe sottrarre alcune
ore del suo tempo.
Ma a Il grande mare dei
sargassi non lancio mattoni, non lincio alcunchè, poiché inevitabilmente mi
sono impantanata anche io nei recessi oscuri ed infiniti che circondano la sua
aura inquieta e impenetrabile, e quando emersi da tutto ciò mi sono ritrovata a
pensare a ciò che dovette passare questa povera donna. In un certo senso, è una
donna che non ha mai ricevuto conforto né comprensione. Chi ero io a
giudicarla?
Venni informata dell’esistenza
di questo romanzo, quando di Jane e della sua bellissima storia avevo già letto
svariate volte. Non mi fu spiegato né detto niente di specifico, ma sapevo che
sarebbe stato l’erede del romanzo di Charlotte Bronte. L’insediamento di questo
romanzo fu come un tarlo che disgraziatamente ha divorato le mie viscere, che
in parte mi ha liberato dal peso della condanna ma allo stesso tempo dubitare
del mio personale giudizio, a fine lettura. La voce con cui è stato raccontato
il romanzo non è stata così limpida come credevo; zeppa piuttosto di stonature,
cambi di punti di vista improvvisi, legata ad una terra che ha sortito un certo
fascino per qualche minuto ma immerso in un’atmosfera ovattata, soffocante,
ermeticamente chiusa che nel vago ottimismo della vita non fa trapelare nulla,
se non la paura stessa. L’autrice ritrae bene tutto questo ma non toglie il
dramma, elementi di tragico/ comico che hanno conferito un assetto più nefasto.
La conferma che le persone dal colore di pelle differente alla nostra fossero
denigrate, condannate a morte, indotto da un forte senso di giustizia, di
rivalsa, dall’impossibilità di spiccare il volo in un mondo che ci tarpa le
ali, che soffre, soffre sempre più.
Un romanzo dal fragoroso,
forte senso di riscatto che disgraziatamente non è divenuto parte di me. Più distaccata,
una volta che ero partecipe alla vicenda, un po’ insoddisfatta ad abbracciare
un opera che non dice più di ciò che è stato detto da altri autori. In un
giardino solidificato da alte muraglie, ingiusto, imprescindibile, il suo
essere vulnerabile che solo in contrappeso di forme di sostentamento al nulla
più assoluto.
Valutazione d’inchiostro: 2 e mezzo
Bom dia, nada como uma boa dica literária, no final de semana, obrigado.
RispondiElimina🤗🤗🤗
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