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giovedì, marzo 04, 2021

Gocce d'inchiostro: Il grande mare dei sargassi - Jean Rhys

Di romanzi brevi ma intensi, questi primi giorni di marzo, ne ho letto già qualcuno, così scollegata dal mondo e dalla quotidianità che ho sempre desiderato quando mi approccio ad una nuova lettura, che lentamente mi chiedo se ciò potrebbe comportare qualche cambiamento alle mie abitudini.
Ho pensato, nell’immediato, ad un romanzo che acquistai qualche tempo fa con gli sconti Adelphi, un romanzo esile e dalla bellissima copertina la cui aura lucente avrebbe rifluito in tutto il mio essere. L’approccio a nuove sfide di letture mentre di libri ancora da leggere e vivere aumentano spropositamente, quelle che mi hanno condotta in svariati luoghi, dalle pagine che profumano ancora di nuovo e di inchiostro appena rovesciato, oramai niente e nessuno mi avrebbe distratta dai miei propositi, e in un soffio sono stata portata in un luogo che da sempre sortiva il mio fascino. Questo romanzo, perciò, si proiettò nel mio cerchio personale con una certa irruenza, a quanto sembra prequel di uno dei miei romanzi preferiti, Jane Eyre, e di colpo la mia mente si trovò a viaggiare in questo immenso mare confidando di rivivere la felicità tanto agognata quanta desiderata dalla protagonista. L’amore per la propria terra come segno di quella felicità perduta, del vecchio e nuovo e di un amore che avrebbe dovuto essere grande e che disgraziatamente mi ha lasciata un po’ indifferente. Così come adesso, che sono trascorse una manciata di ore dalla fine della sua lettura, nel riporre queste poche righe in quanto inconsapevole ad esprimere i motivi per cui fra le sue pagine riecheggia il forte richiamo della dolce Jane. Quale evento o momento, inaspettato o premeditato, con licenziose condotte, mi avrebbe rimembrato tutto questo?
Non nego però che la sua autrice scrisse questo romanzo cogliendo un messaggio particolare, in cui non accettare l’offerta di vivere di lei e di questo suo figlio di carta sarebbe quasi una blasfema. Perché Il grande mare dei Sargassi non eguaglia ne valica alcun confine che Jane interpose fra lei e il mio cuore. Ad una semplice occhiata questo potrebbe sembrare un romanzo inutile, dal sapore di << già letto >>, ma personalmente credo che concederne qualche ora del nostro tempo sia appropriato. Potrebbe essere che vi deluda, potrebbe essere vi conquisti, ma una cosa è certa: merita di essere letto, almeno una volta!


Titolo: Il grande mare dei Sargassi
Autore: Jean Rhys
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 170
Trama: “C’è in “Jane Eyre” di Charlotte Bronte un personaggio minore, ma discretamente inquietante. Il personaggio di una folle reclusa che si dice sia una bella erediteria creola. Jean Rhys ha avuto l’idea di ricostruire la vita di una simile ombra labile e confusa prima dell’arrivo in Inghilterra. Una idea può essere buona o cattiva, anzi un’idea è in partenza provvisoriamente buona e cattiva. Risulterà essere più buona che cattiva, più cattiva che buona a seconda dell’esecuzione. Ora l’esecuzione di Jean Rhys è straordinaria, un romanzo avvelenato di fascino, squilibrato di passioni, condannato e riscattato dalla magia… scacciata dal suo paradiso di Coulibri, Antoinette affronta un tragico e tumultuoso destino d’amore e follia proprio perché di tale tragicità e tumultuosità è convinta lei per prima. O, facciamo, per seconda.


La recensione:

La situazione ritratta in queste pagine, il centro delle attività, il teatro di azioni su cui convergono le << magnifiche >> gesta di una semplice donna di colore, a quanto si dice attiguo alla storia celata fra le pagine di Jane Eyre, avrebbe dovuto sortire effetti assolutamente positivi su un’esperienza che personalmente amo e ho amato immensamente svariate volte, nel corso degli anni, e se mai fossi riuscita ad amare Il grande mare dei Sargassi come il romanzo della Bronte, maturare un opinione non del tutto positiva e in prima persona nei suoi riguardi mi avrebbe schierata dalla parte di quei lettori che il romanzo l’hanno letto ma non apprezzato, una delle tante voci ( forse ) fuori dal coro che hanno letto quasi con voracità le pagine narrate dall’autricee ma senza alcun slancio emotivo, senza alcun coinvolgimento, perché anche se scritto bene non è entrato nelle stanze remote della mia coscienza ne ha lasciato un segno del suo passaggio. A me, quando mi imbatto in questo tipo di letture, non mi serve altro. Della Rhys, tanto amata quanto criticata, non credo vorrò leggere qualcos’altro ma non perché questa sua prova di scrittura non ebbe alcun bisogno di mostrare gli strascichi lasciati dalla Bronte – certamente tralasciati di proposito – solo una prova di letteratura, per l’appunto, che ha rispettato alcune nozioni sentimentali ma nient’altro. Perché i possibili spunti di argomentazioni finiscono qua: un forte attacamento alla famiglia, alla propria terra, mi hanno conferito un quadro famigliare affascinante ma insulso che ha previsto una lettura avida e zeppa di curiosità tanto per scoprire dove la sua autrice volesse andare a parare quanto per la storia in se. Il grande mare dei Sargassi infatti tocca diverse questioni politiche, sociali a causa di diffamazioni, eventi razziali, acerrime distinzioni fra bianchi e neri nel considerare soprattutto quest’ultimi nient’altro che delle << blatte bianche >>, di cui la stessa autrice evidenzia con un certo distacco, una certa freddezza di chi visse queste situazioni in prima persona, ma anche un espediente per indurre moti di compassione e comprensione nei riguardi di una donna che francamente non ho compreso. Algida, malinconica, avvolta in un aura di sconforto, aveva deciso di sposarsi e unirsi in matrimonio confidando di poter allontanarsi dai principi bislacchi nei riguardi della sua terra. Non propriamente roba leggera, se si considera che la stessa protagonista fu malmenata e maltrettata dal marito per scopi ad uso impersonale, che avrebbe accresciuto il tono tendenzialmente piatto e malinconico. Rischiando così di apparire pesante, con una protagonista avvolta in un sudario indistricabile di sofferenza.
Questa recensione, credo, parli da sola. Scrivere recensioni di romanzi a cui si erano riposte particolari speranze vuol dire un certo coinvolgimento emotivo ma anche distacco dal mondo. Se voglio che sia chiara, e leggibile, avrei dovutto accettare i termini del paradosso e costringermi a scrivere nel parlare malamente o sufficientemente di un romanzo. Disgraziatamente, questo romanzo rientra in questa categoria che, sin dal primo momento del suo approccio, mi ha costretta a vivere in una condizione di duplicità: l’esigenza di tuffarsi nel vivo delle situazioni e quella di tenersi però in disparte nei momenti di generale sconforto. Ed è così che mi sono sentita, una volta conclusa questa lettura. Riposto il romanzo sullo scaffale di una mensola fin troppo capiente è stato un problema. Così come quando saluto un amico che so non vedrò per tanto tempo. Ma anni e anni di letture di svariato tipo mi hanno resa più forte e ciò che in un primo momento potrebbe apparire come meraviglioso, in un secondo dimenticabile ma non per questo non meritevole di essere letto. Imparzialità e obiettività che in un certo senso ho adottato come stile di vita, seppur con una certa irritazione poiché di elementi assolutamente apprezzabili e trattabili il romanzo ne possiede. Essere una lettrice comporta anche a vestire i panni di un critico che potrebbe dare inizio a una rivoluzione. Io però scrivo per me stessa, e se qualcuno mi legge ne sono più che felice, e cercare di spiegare agli altri il significato di questo mio diniego comporterebbe sottrarre alcune ore del suo tempo.
Ma a Il grande mare dei sargassi non lancio mattoni, non lincio alcunchè, poiché inevitabilmente mi sono impantanata anche io nei recessi oscuri ed infiniti che circondano la sua aura inquieta e impenetrabile, e quando emersi da tutto ciò mi sono ritrovata a pensare a ciò che dovette passare questa povera donna. In un certo senso, è una donna che non ha mai ricevuto conforto né comprensione. Chi ero io a giudicarla?
Venni informata dell’esistenza di questo romanzo, quando di Jane e della sua bellissima storia avevo già letto svariate volte. Non mi fu spiegato né detto niente di specifico, ma sapevo che sarebbe stato l’erede del romanzo di Charlotte Bronte. L’insediamento di questo romanzo fu come un tarlo che disgraziatamente ha divorato le mie viscere, che in parte mi ha liberato dal peso della condanna ma allo stesso tempo dubitare del mio personale giudizio, a fine lettura. La voce con cui è stato raccontato il romanzo non è stata così limpida come credevo; zeppa piuttosto di stonature, cambi di punti di vista improvvisi, legata ad una terra che ha sortito un certo fascino per qualche minuto ma immerso in un’atmosfera ovattata, soffocante, ermeticamente chiusa che nel vago ottimismo della vita non fa trapelare nulla, se non la paura stessa. L’autrice ritrae bene tutto questo ma non toglie il dramma, elementi di tragico/ comico che hanno conferito un assetto più nefasto. La conferma che le persone dal colore di pelle differente alla nostra fossero denigrate, condannate a morte, indotto da un forte senso di giustizia, di rivalsa, dall’impossibilità di spiccare il volo in un mondo che ci tarpa le ali, che soffre, soffre sempre più.
Un romanzo dal fragoroso, forte senso di riscatto che disgraziatamente non è divenuto parte di me. Più distaccata, una volta che ero partecipe alla vicenda, un po’ insoddisfatta ad abbracciare un opera che non dice più di ciò che è stato detto da altri autori. In un giardino solidificato da alte muraglie, ingiusto, imprescindibile, il suo essere vulnerabile che solo in contrappeso di forme di sostentamento al nulla più assoluto.

Valutazione d’inchiostro: 2 e mezzo

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