Leggere. Il piacere
di una vita. Artificio di sensazioni forti e
insopprimibili, in cui la bellezza di ciò che è percepito confluisce nell'anima
attraverso una via, l'immaginazione. L'illusoria presenza di una realtà simile
alla nostra, che ci impedisce di vedere ciò che oggettivamente non è possibile
vedere.Leggere poi è
sempre stato considerato da me come una sorta di crescita spirituale, come se
l'atto dell'esplorare mondi di infinita bellezza contribuisse a elevare
l'anima. Anche con Alice, la piccola Dorothy e il presuntuoso Peter
Pan ho potuto constatare tutto questo, e penso che anch'io, se mi fossi
trovata nei panni di ognuno di loro, certamente non avrei impedito alla mia
coscienza di di elevarsi sul reale, infrangendo le solide barriere della banalità
o del nulla.E adesso? Beh,
adesso, in questo tranquillo pomeriggio d'inizio marzo, mi sono chiesta se la
compagnia di questi bizzarri personaggi sia stata o meno ideale, pur di
scoprire qualcosa che ancora ignoravo impunemente. La vecchia emozione dell'andare
nel Paese delle meraviglie, il ripercorrere un sentiero che conduce ai segreti
umani, valicare i confini de L'isola che non c'è aveva risuonato nitidamente
come il rintocco cristallino di una campana. Ogni personaggio, luogo, frase
letta erano storie che andavano alla ricerca di altre storie. E, affidarmi alle
cure del premuroso Carroll, di Baum o Barrie a cui mi sono dedicata per il
resto del tempo con un certo interesse, mi ha permesso di cogliere pulite e
semplici lezioncine morali, consigli e pensieri di una generazione immaginaria
attinente a quella del secolo ambientato.Davanti alla certezza che una storia
del genere avrebbe avuto breve durata, non mi sembrava necessario tornare qui
per riempire questo documento con parole che forse non avranno significato per
molti ma non per me, che ha tanto visto appassionatamente le vicende di ognuno
di loro.Mi sono così limitata a trascorrere
un pomeriggio soleggiato e tranquillo passeggiando nel mondo di Oz, andando qua
e là senza una meta precisa, come una foglia portata dal vento. Di tanto, mi
fermavo a scrutarne i dettagli, e dunque strambi amici come un leone pauroso,
un uomo di latta, uomini di mare puzzolenti e volgari, conigli con strambi
panciotti, e ripassavo i dettagli del nostro incontro come un vagabondo e un
ubriacone in un abbandono sincero e appassionato. In questo modo non ci ho
pensato due volte a immergermi in queste storie, non opponendo resistenza a
niente e nessuno, considerando queste perle come quei piccoli tasselli di un
puzzle che deve ancora essere completato.
Titolo: Alice,
Dortothy e Wendy
Autori: Lewis Carroll, L Frank Baum, James Matthew Barrie
Casa editrice:
Oscar Vault
Prezzo: 24 €
N° di pagine: 540
Trama: Alice e le
sue avventure nel favoloso Paese delle Meraviglie, di là e di qua dallo
specchio. Wendy, l’amica di Peter Pan che per molti lettori è la vera eroina
nei romanzi con il bambino che non vuole crescere. Infine Dorothy, la piuccola
protagonista portata da un tornado nel fantastico mondo di Oz.
La recensione:
Quando leggevo le
favole, mi immaginavo che quel tipo di cose non succedesse mai, e ora eccomi
nel bel mezzo di una favola! Dovrebbero scrivere un libro su di me, ecco cosa
dovrebbero fare! E quando diventerò grande ne scriverò uno…
In un certo senso anch'io sono stata
<<segnata>> come molti altri lettori. La storia della piccola
Alice, di cui ogni lettore ricorda o accoglie nel proprio cantuccio personale
come un oggetto perduto e poi ritrovato, non è esattamente una favola per
bambini infantile ed estratta; non è un opera, tanto per usare un eufemismo. E'
la storia di ognuno di noi. La mia. La vostra. E il bisogno di prenderne atto
mi lega alla piccola cerchia di quei lettori che considerano il romanzo di
Carroll come un classico della letteratura dell'infanzia, che con ogni
probabilità considero tale anch'io, ma con cui, nei primi giorni del mese di
febbraio, mi ritrovai in una insolita intimità. Presto mi accorsi che la vera
ragione del mio essere lì, nel Paese delle meraviglie, era proprio quella di
seguire Alice in questa splendida avventura.
E quello dell'avventura è proprio il tema del romanzo. A ruota libera, senza remore o incertezze, in cui ogni personaggio dice la sua, a volte con una tazza di tè in mano, a volte con una schiera di piccole ostriche, come quando la parola passò all'irascibile brucaliffo. Con una schiera di figure eccentriche, bizzarre la cui anima sgargiante sfavilla ai bordi di questa storia, che raggireranno la piccola Alice, come ostacolo alla sua <<volontà di agire>>.
In un periodo non molto dissimile da questo, con il cielo terso che sembrava voler trasmettere un senso di pace interiore e un sole spaventoso che si spandeva in una ghirlanda di rame liquido, la storia di Alice mi sorprese repentinamente con le sue continue divagazioni filosofiche. La concezione del mondo come luogo abitato da una specie individuale che costituisce una grande famiglia, e che conta di andare a predominare sul prossimo mediante istituzioni, norme di cui io non conoscevo nemmeno l'esistenza.
Sulla soglia dell'età adulta, ho letto di loro con una certa curiosità e con uno stato d'animo simile all'eccitazione come non mi capitava da tempo; non qualcosa di insolito, ma di sacro e misterioso; qualcosa che incute rispetto dinanzi al quale ho camminato in punta di piedi, parlato sottovoce. Ricordavo chiaramente ogni cosa: il Cappellaio Matto; la Lepre Marzolina; la Regina di Cuori, una schiera di carte da gioco che bisbigliavano concisamente o dipingevano rose bianche. La mia anima assisteva meravigliata a tutto questo. Quello era il paese dei matti. E la pazzia esisteva; era relativa.
In pomeriggi vissuti con passione spaparanzata sulla mia poltrona preferita e attorniata dai mie cari e amati libri, che inondavano la stanza luminosa con un odore denso e particolare - in cui si possono trovare opere in cui gli autori elevano la loro immaginazione con maggior libertà, anche a costo di sfiorare il ridicolo e sguazzarci apertamente, Alice nel paese delle meraviglie è stata la rappresentazione scenica di una sfilza di oggetti e situazioni simboliche. Una successione di luoghi e figure che condurranno la piccola Alice alla maturazione, prototipo perfetto della ragazzina semplice e a modo, ingenua, istruita, bigotta, svagata e suscettibile che, fra le pagine di una disavventura dalle diverse tonalità, imparerà a soffocare le emozioni che incorrono nella crudeltà di un mondo ostico e le sue convenzioni.
Opera che affronta molte questioni relative alla società del secolo, nonché richiamo costante alla libertà repressa, alla crescita all'età adulta, agli affetti. Un contenitore di verità fondamentali che pochi individui compresero, all'epoca, o, inclinazione adatta a rievocare emozioni represse. Gioia, felicità, spensieratezza.
Ideale per trascorrere qualche giorno in piacevole compagnia, un romanzo indimenticabile che racchiude al suo interno un'infinità di significati. Monito verso coloro che continuano a costruirsi delle solite barriere attorno, ricostruzione perfetta di un mondo che è un vaso di Pandora che, una volta scoperchiato, libera un'infinità di pregiudizi che, se abbattuti, permettono di capire cosa e chi ci circonda.
E quello dell'avventura è proprio il tema del romanzo. A ruota libera, senza remore o incertezze, in cui ogni personaggio dice la sua, a volte con una tazza di tè in mano, a volte con una schiera di piccole ostriche, come quando la parola passò all'irascibile brucaliffo. Con una schiera di figure eccentriche, bizzarre la cui anima sgargiante sfavilla ai bordi di questa storia, che raggireranno la piccola Alice, come ostacolo alla sua <<volontà di agire>>.
In un periodo non molto dissimile da questo, con il cielo terso che sembrava voler trasmettere un senso di pace interiore e un sole spaventoso che si spandeva in una ghirlanda di rame liquido, la storia di Alice mi sorprese repentinamente con le sue continue divagazioni filosofiche. La concezione del mondo come luogo abitato da una specie individuale che costituisce una grande famiglia, e che conta di andare a predominare sul prossimo mediante istituzioni, norme di cui io non conoscevo nemmeno l'esistenza.
Sulla soglia dell'età adulta, ho letto di loro con una certa curiosità e con uno stato d'animo simile all'eccitazione come non mi capitava da tempo; non qualcosa di insolito, ma di sacro e misterioso; qualcosa che incute rispetto dinanzi al quale ho camminato in punta di piedi, parlato sottovoce. Ricordavo chiaramente ogni cosa: il Cappellaio Matto; la Lepre Marzolina; la Regina di Cuori, una schiera di carte da gioco che bisbigliavano concisamente o dipingevano rose bianche. La mia anima assisteva meravigliata a tutto questo. Quello era il paese dei matti. E la pazzia esisteva; era relativa.
In pomeriggi vissuti con passione spaparanzata sulla mia poltrona preferita e attorniata dai mie cari e amati libri, che inondavano la stanza luminosa con un odore denso e particolare - in cui si possono trovare opere in cui gli autori elevano la loro immaginazione con maggior libertà, anche a costo di sfiorare il ridicolo e sguazzarci apertamente, Alice nel paese delle meraviglie è stata la rappresentazione scenica di una sfilza di oggetti e situazioni simboliche. Una successione di luoghi e figure che condurranno la piccola Alice alla maturazione, prototipo perfetto della ragazzina semplice e a modo, ingenua, istruita, bigotta, svagata e suscettibile che, fra le pagine di una disavventura dalle diverse tonalità, imparerà a soffocare le emozioni che incorrono nella crudeltà di un mondo ostico e le sue convenzioni.
Opera che affronta molte questioni relative alla società del secolo, nonché richiamo costante alla libertà repressa, alla crescita all'età adulta, agli affetti. Un contenitore di verità fondamentali che pochi individui compresero, all'epoca, o, inclinazione adatta a rievocare emozioni represse. Gioia, felicità, spensieratezza.
Ideale per trascorrere qualche giorno in piacevole compagnia, un romanzo indimenticabile che racchiude al suo interno un'infinità di significati. Monito verso coloro che continuano a costruirsi delle solite barriere attorno, ricostruzione perfetta di un mondo che è un vaso di Pandora che, una volta scoperchiato, libera un'infinità di pregiudizi che, se abbattuti, permettono di capire cosa e chi ci circonda.
- Ma io non voglio
andare tra i matti.
- Ma qui non se ne
può fare a meno, siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta.
- Come fai a sapere
che sono matta?
- Devi esserlo per
forza, altrimenti non saresti venuta qui.
Valutazione
d'inchiostro: 4
🌺🌺🌺🌺🌺
La recensione:
L’altro pomeriggio è successa una cosa che,
con mio grande sorpresa, era riuscito a risvegliare la mia curiosità mai
assopita, invitandomi a pensare che il mondo ritratto da Baum malgrado la mia
prima impressione, non fosse del tutto immune alle bellezze descritte nel Il
meraviglioso mago di Oz. Fui convocata con una certa urgenza, ed io ci sono
andata con una certa voglia, una certa impazienza seguendo con un certo
entusiasmo le vicende di una piccola bimba e dei suoi strambi amici.
Baum assicurava una storia che possiede una certa sensibilità speciale che conferisce innumerevoli significati, ma consapevole di trattarsi semplicemente di metafore o allegorie per riunire paradigmi, idiomi letterari e politici, immergendoli in una confortevole penombra, accreditata da spaventose e orribilanti creature, approfittando della forza proorompente della natura per accarezzare l’anima di una storia apparentemente semplice.
Il meraviglioso mago di Oz non lo si può definire infatti come quell’esperienza letteraria che promette molto di più di quel che sembra, prendendo per mano chiunque legga e conducendoli in qualunque luogo. Piuttosto un semplice disegno di un viaggio simbolico, importante, che scruta una parte dell’animo umano, scandaglia ciò che sono i più importanti valori, forse perché narrare semplicemente di una ragazzina e del suo incontro/scontro con uno spaventapasseri non era così degnamente necessario. Al di là dei disegni, delle figure, dello genuinità del tema trattato Il meraviglioso mago di Oz è stato quel romanzo che ha tanto di famigliare, e che attira l’attenzione per la sua figura minuta, colorata, verdognola, che l’autore descrive in una posa più eroica e significativa e che ha impersonato il valoroso ma incessante combattimento fra Bene e Male.
Baum assicurava una storia che possiede una certa sensibilità speciale che conferisce innumerevoli significati, ma consapevole di trattarsi semplicemente di metafore o allegorie per riunire paradigmi, idiomi letterari e politici, immergendoli in una confortevole penombra, accreditata da spaventose e orribilanti creature, approfittando della forza proorompente della natura per accarezzare l’anima di una storia apparentemente semplice.
Il meraviglioso mago di Oz non lo si può definire infatti come quell’esperienza letteraria che promette molto di più di quel che sembra, prendendo per mano chiunque legga e conducendoli in qualunque luogo. Piuttosto un semplice disegno di un viaggio simbolico, importante, che scruta una parte dell’animo umano, scandaglia ciò che sono i più importanti valori, forse perché narrare semplicemente di una ragazzina e del suo incontro/scontro con uno spaventapasseri non era così degnamente necessario. Al di là dei disegni, delle figure, dello genuinità del tema trattato Il meraviglioso mago di Oz è stato quel romanzo che ha tanto di famigliare, e che attira l’attenzione per la sua figura minuta, colorata, verdognola, che l’autore descrive in una posa più eroica e significativa e che ha impersonato il valoroso ma incessante combattimento fra Bene e Male.
Valutazione d'inchiostro: 4
🌺🌺🌺🌺🌺
La recensione:
Pirati, Bambini sperduti, fatine curiose ma gelose e
compagni d’avventure che in gonnella e dalle chiome dorate, mi hanno allietato
col loro lento passaggio. In effetti, la lettura di questo volume, con i suoi
precedenti volumi, mi sorprese parecchio, sebbene delle prime due eroine ne
conoscevo la genesi da tantissimo tempo. Se non altro, con un certo stupore, la
storia di Peter mi indusse a sentire e custodire fra le mie mani questa
stravagante avventura, ma di cui nessuno mi disse né minimamente mi accennò che
sarebbe stata parecchio bella. Di trasposizioni, film, telefilm ne ho visto a
bizzeffe, ma ora la storia di Peter ebbe un senso. Ecco spiegati i motivi per
cui dovette rifugiarsi sull’Isolachenonc’è, ecco perché vide in Wendy quella
madre/bambinaia con cui rifugiarsi, ecco perché Peter è e sarà l’eterno
bambino, e la cui storia è un ripetersi infinito di cui io stessa, ad un certo
punto, ho riconosciuto come quel qualcosa che potrebbe diventare monotono. Non è
bello essere << dipendenti >> di qualcuno, specie se questo
qualcuno è una ragazzina della tua stessa età, ma l’autore descrisse di questo
ragazzo esattamente come erano e come sono – perlomeno la maggior parte – i bambini
a quell’età, di cui il candore ha qualcosa di ammirevole, non vergogandosi
assolutamente di essere diverso, e così per non ammettere che la sua vita è
sempre stata solitaria, mi promisi che di Peter mi sarei presa cura anche io.
In una manciata di pagine ecco che sono stata trascinata fra la fitta giungla, il fitto fogliame de L’isolachenonc’è, raccontando non semplicemente una storia per bambini ma la cui morale dovrebbe indurci a riflettere su ciò che ha più significato la vita. Quando si anela a scovare un luogo, un posto che possa essere quella fugace combinazione fra ciò di cui è davvero importante e ciò che non lo è. Mai una donna, una madre che si prese cura di questi bambini cresciuti e allevati come selvaggi, eppure ecco Peter, il selvaggio di turno, ecco il ragazzino reduce di svariati avvenimenti che l’hanno reso ciò che è. Probabilmente molti non ameranno l’eterno Peter, specialmente coloro che al giorno d’oggi sono affetti da tale sindrome. Eppure il romanzo di Barrie, al di là della storia dell’Isola, divenne famosa per la caratterizazzione che l’autore attibuisce a Peter, forse addirittura indecente, da parte di un’adulto lasciarsi andare a certe confidenze ad un pubblico così giovane, ma il piglio e la magia celata in queste pagine sta proprio nel tono entusiasta che è stato conferito nello sciorinare tutto ciò. Le ambiguità della vita, le difficoltà a comprendere cosa siamo e chi siamo, la ragazzina innamorata degli uomini o attinente ad una certa cura, di cui in poco tempo trasformerà questo ragazzo in qualcosa che potrebbe essere frainteso.
Sono d’accordo. Peter non mi era simpatico, quando ero bambina. Non mi importava se fosse uomo o donna, ma questo attaccamento a questa isola lo trovavo fastidioso. Ma l’età, la maturità mi hanno indotta a credere che non è veramente così, in quanto di questa storia e delle sue avventure spericolate ho fatto parte con una certa gioia, un certo entusiasmo, che finchè non giunsi alla fine è stato divertente tornare ad essere quella ragazzina occhialuta ed esuberante che vive ancora in me.
In una manciata di pagine ecco che sono stata trascinata fra la fitta giungla, il fitto fogliame de L’isolachenonc’è, raccontando non semplicemente una storia per bambini ma la cui morale dovrebbe indurci a riflettere su ciò che ha più significato la vita. Quando si anela a scovare un luogo, un posto che possa essere quella fugace combinazione fra ciò di cui è davvero importante e ciò che non lo è. Mai una donna, una madre che si prese cura di questi bambini cresciuti e allevati come selvaggi, eppure ecco Peter, il selvaggio di turno, ecco il ragazzino reduce di svariati avvenimenti che l’hanno reso ciò che è. Probabilmente molti non ameranno l’eterno Peter, specialmente coloro che al giorno d’oggi sono affetti da tale sindrome. Eppure il romanzo di Barrie, al di là della storia dell’Isola, divenne famosa per la caratterizazzione che l’autore attibuisce a Peter, forse addirittura indecente, da parte di un’adulto lasciarsi andare a certe confidenze ad un pubblico così giovane, ma il piglio e la magia celata in queste pagine sta proprio nel tono entusiasta che è stato conferito nello sciorinare tutto ciò. Le ambiguità della vita, le difficoltà a comprendere cosa siamo e chi siamo, la ragazzina innamorata degli uomini o attinente ad una certa cura, di cui in poco tempo trasformerà questo ragazzo in qualcosa che potrebbe essere frainteso.
Sono d’accordo. Peter non mi era simpatico, quando ero bambina. Non mi importava se fosse uomo o donna, ma questo attaccamento a questa isola lo trovavo fastidioso. Ma l’età, la maturità mi hanno indotta a credere che non è veramente così, in quanto di questa storia e delle sue avventure spericolate ho fatto parte con una certa gioia, un certo entusiasmo, che finchè non giunsi alla fine è stato divertente tornare ad essere quella ragazzina occhialuta ed esuberante che vive ancora in me.
Valutazione d’inchiostro: 4
Ottime recensioni; dovrei leggere anche io questi 3 romanzi, anche se nel caso di Alice sarebbe piu corretto dire: rileggere
RispondiEliminaBuona lettura, allora ☺️☺️
EliminaThanks for your review:)
RispondiEliminaThank you 🤗
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