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giovedì, marzo 28, 2019

Gocce d'inchiostro: La figlia oscura - Elena Ferrante

Non voglio diventare pedante. Sebbene le circostanze a causa delle quali mi hanno indotta, in questa quarta ed ultima parte del mese di marzo, dinanzi alla rotta di una saga famigliare semplicemente straordinaria ma così diversa dalle storie cui sono solita leggere, mi è ancora impossibile esprimere il più cauto parere su una storia prima del previsto. Storie di vita di questo genere non sono solamente l'unica vera arbitro della produzione ferrantiana, ma l'unico metro di giudizio della vita stessa. La Ferrante nei suoi romanzi esplica questo suo sentirsi continuamente inadatta, nel posto in cui è costretta a vivere, e continua a farlo mediante i suoi figli di carta e inchiostro. I suoi burattini, infatti, piazzatosi lungo la mia strada, mi hanno donato tante cose. La figlia oscura è il terzo tassello che compone l'ultimo atto de le Cronache del mal d'amore e si impone sul mondo a un angolo brutalmente opposto a quello propiziatoci dai volumi precedenti già solo pensando come la vita può subire variazioni, può sfasciarsi, costringendo l'individuo medesimo a vivere isolato come in una caverna.

Titolo: La figlia oscura
Autore: Elena Ferrante
Casa editrice: E/O
Prezzo: 9, 90 €
N° di pagine: 145
Trama: Leda è un'insegnante, divorziata da tempo, tutta dedita alle figlie e al lavoro. Ma le due ragazze partono per raggiungere il padre in Canada. Ci si aspetterebbe un dolore, un periodo di malinconia. Invece la donna, con imbarazzo, si sente come liberata e la vita le diventa più leggera. Decide di prendersi una vacanza al mare in un paesino del sud. Ma, dopo i primi giorni quieti e concentrati, l'incontro con alcuni personaggi di una famiglia poco rassicurante scatena una serie di eventi allarmanti. Pagina dopo pagina la trama di una piacevole riconquista di sé si logora e Leda compie un piccolo gesto opaco, ai suoi stessi occhi privo di senso, che la trascinerà verso il fondo buio della sua esperienza di madre.



La recensione:

Le cose più difficili da raccontare sono quelle che noi stessi non riusciamo a capire.

Nei suoi romanzi, Elena Ferrante mostra particolare interesse per le donne. Specialmente per quelle con figli a carico, che siano adolescenti o bambini, impegnate a condurre una vita sana ma frenetica, sempre più ambiziose a perseguire e raggiungere i loro obiettivi. Uno degli ultimi romanzi che hanno scandagliato la mia anima e che completano il mio percorso con la produzione ferrantiana ci parla di una donna, e del suo sentirsi continuamente a disagio.
Già solo queste parole mi fanno riflettere … un pensiero fugace, vago, sfuggente ed enigmatico, come se giudicassi con stoltezza e vulnerabilità, non lascia adito a dubbi o perplessità. Non parlo della condizione in sé della donna, ma del suo essere donna nel mondo ferrantiano. Ed ecco che nei romanzi si trasformano in modelli di sollecitudine, ripetendoci come in un certo senso il sesso debole siano non poi così deboli, come se incoraggiati dalla stessa autrice, fosse l'approvazione definitiva non solo per il libro, ma per tutto ciò che la contraddistingue. Quindi, porgendosi mediante modi gentili, questo terzo volume mi mise davanti a una situazione alquanto spinosa, disagevole, che ha esplicato la loro posizione sociale.
Per comprendere i romanzi della Ferrante bisogna prima di ogni cosa abbandonarsi al flusso lento ma sinuoso delle sue storie. Effettivamente le sue storie non possiedono niente di così sconvolgente da non farci restare a bocca aperta: atti di violenza, sesso, litigi, rivelazioni sconcertanti, segreti sopiti dal tempo … insomma, ogni ben di Dio. Tutto pronto e studiato a tavolino, accompagnato da sentimenti forti e contrastanti e da quello che chiaramente attanaglia la loro condizione dell'essere madre. Credo che ogni madre, donna adulta o matura leggerà queste storie non potrà non tradire una certa sorpresa.
E' davvero strano quello che talvolta ci riserva la vita. Strano come, da un momento all'altro, non si sa mai cosa può succedere. Eccoci qui, dinanzi alla storia della sofferta Rosaria. E' la stessa persona di sempre, è colei che correva casa casa pur di accudire i suoi figli piccoli. E adesso? Che cosa ha imparato dalla vita? Se qualcuno le avesse detto che il futuro era questo, penso gli avrebbe riso in faccia. Alla fine cosa ha imparato dalla vita? Che è proprio strana. Non si riesce a stare al passo con quello che succede. Non si riesce nemmeno a immaginarlo.
In un certo senso le protagoniste della Ferrante si assomigliano un po' tutte. Gli si vuole bene repentinamente, talvolta le si ammira, persino, ma dall'anima devastata, morta che ci impedisce di avvicinarci completamente. Non penso ci si senta bene a convivere con qualcuno che ti impedisce di avvicinarsi. Se giovani o adulte non ha importanza; il fulcro della situazione è il sentirsi rifiutate, quasi scomode.
Non sto dicendo che Olga, Rosaria, Dana sono cattive. Sono creature a sé, madri di figli alle prese con diversi problemi. Le parole a questo proposito hanno ben poco effetto. Lo stesso con qualunque figura la Ferrante porga l'attenzione. Non si impara niente; si arriva alla consapevolezza che comunicare è un'impresa alquanto ardua e non si può obbligare qualcuno ad amarti solo perché a te piace.
Certo, in ogni storia c'è sempre stata una certa intimità. Solo così sono potuta arrivare lontano. Ma, come dire, è stata proprio questa nostra intimità a legarci. Ha inciso un legame solido e profondo che non svanirà tanto facilmente. Mi ha resa indomita, coraggiosa, avventurosa che non ci ho pensato due volte ad abbracciare l'anima di queste tre tragiche storie. Ero io che dovevo saperle capire, l'unica che le avrebbe potuto consigliare, indirizzare verso certi luoghi, come pupazzi mossi abilmente nelle mani della sua creatrice.
La decisione della Ferrante di restare anonima fu la "causa" scatenante per cui ho accolto, sul finire dell'anno, la quadrilogia che la resero celeberrima. E' per lei che mi sono lasciata alle spalle ogni remora, pregiudizio o critica, e in meno di un mese mi ci sono appassionata talmente tanto che, come in un putiferio di esortazioni, mi hanno indotta a credere che forse Lena e Lenù erano dotate di volontà propria. Ho trascorso delle piacevolissime ore in loro compagnia. Per qualche tempo credevo che la mia produzione letteraria aveva adesso acquisito una certa importanza  ora che avevo interpretato i lati più reconditi del cuore umano, avevo scrutato qualunque parvenza di violenza o malessere, interpretato profezie o messaggi segreti scritti apposta per me.
Naturalmente, alla fine mi sono sorpresa di trovarmi in mezzo a un intrico di sentimenti aspri che ad ogni urto di suono, colore o odore si inasprirono ancora di più. Il quotidiano principio di quotidianità, quell'elemento di monotonia che mi tenne al passo con lo sviluppo della stessa storia, sbiadì, nel momento in cui mi abbandonai agli incubi ad occhi aperti della protagonista, popolati da situazioni bizzarre, dalla consapevolezza che la sua coscienza li stesse elaborando.
In La figlia oscura il lettore impara, inevitabilmente, a sentire i reduci effetti di un certo tipo di esperienze, raccontate non proprio nel dettaglio, i cui temi sono sempre uguali a se stessi, mentre i personaggi anime dannate che vagano lungo la riva dell'assurdo. E, spontaneo, oscuro, misterioso, è un altalena di gesti sconsiderati e folli che tormentano il nostro animo di inquietudine.

Siamo obbligati a fare tante cose sceme fin da piccoli pensando che siano essenziali; quello che ci è successo è l'unica cosa sensata che mi sia capitata da quando sono nata.

Valutazione d'inchiostro: 3 e mezzo

4 commenti:

  1. Come sai tentare tu, pochi altri. In lista!

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  2. Ciao Gresi, oltre alla quadrilogia, non ho letto altro della Ferrante, ma prima o poi proverò a leggere qualche altro suo libro ;-)

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