Non voglio diventare pedante. Sebbene le circostanze a causa delle
quali mi hanno indotta, in questa quarta ed ultima parte del mese di marzo, dinanzi
alla rotta di una saga famigliare semplicemente straordinaria ma così diversa dalle
storie cui sono solita leggere, mi è ancora impossibile esprimere il più cauto
parere su una storia prima del previsto. Storie di vita di questo genere non
sono solamente l'unica vera arbitro della produzione ferrantiana, ma l'unico
metro di giudizio della vita stessa. La Ferrante nei suoi romanzi esplica
questo suo sentirsi continuamente inadatta, nel posto in cui è costretta a
vivere, e continua a farlo mediante i suoi figli di carta e inchiostro. I suoi
burattini, infatti, piazzatosi lungo la mia strada, mi hanno donato tante cose.
La figlia oscura è il terzo tassello
che compone l'ultimo atto de le Cronache
del mal d'amore e si impone sul mondo a un angolo brutalmente opposto a
quello propiziatoci dai volumi precedenti già solo pensando come la vita può
subire variazioni, può sfasciarsi, costringendo l'individuo medesimo a vivere
isolato come in una caverna.
Titolo: La figlia oscura
Autore: Elena Ferrante
Casa editrice: E/O
Prezzo: 9, 90 €
N° di pagine: 145
Trama: Leda è un'insegnante, divorziata da tempo, tutta dedita alle
figlie e al lavoro. Ma le due ragazze partono per raggiungere il padre in Canada.
Ci si aspetterebbe un dolore, un periodo di malinconia. Invece la donna, con
imbarazzo, si sente come liberata e la vita le diventa più leggera. Decide di
prendersi una vacanza al mare in un paesino del sud. Ma, dopo i primi giorni
quieti e concentrati, l'incontro con alcuni personaggi di una famiglia poco rassicurante
scatena una serie di eventi allarmanti. Pagina dopo pagina la trama di una piacevole
riconquista di sé si logora e Leda compie un piccolo gesto opaco, ai suoi
stessi occhi privo di senso, che la trascinerà verso il fondo buio della sua
esperienza di madre.
La recensione:
Le cose più
difficili da raccontare sono quelle che noi stessi non riusciamo a capire.
Nei
suoi romanzi, Elena Ferrante mostra particolare interesse per le donne.
Specialmente per quelle con figli a carico, che siano adolescenti o bambini,
impegnate a condurre una vita sana ma frenetica, sempre più ambiziose a
perseguire e raggiungere i loro obiettivi. Uno degli ultimi romanzi che hanno
scandagliato la mia anima e che completano il mio percorso con la produzione
ferrantiana ci parla di una donna, e del suo sentirsi continuamente a disagio.
Già
solo queste parole mi fanno riflettere … un pensiero fugace, vago, sfuggente ed
enigmatico, come se giudicassi con stoltezza e vulnerabilità, non lascia adito
a dubbi o perplessità. Non parlo della condizione in sé della donna, ma del suo
essere donna nel mondo ferrantiano. Ed ecco che nei romanzi si trasformano in
modelli di sollecitudine, ripetendoci come in un certo senso il sesso debole
siano non poi così deboli, come se incoraggiati dalla stessa autrice, fosse
l'approvazione definitiva non solo per il libro, ma per tutto ciò che la
contraddistingue. Quindi, porgendosi mediante modi gentili, questo terzo volume
mi mise davanti a una situazione alquanto spinosa, disagevole, che ha esplicato
la loro posizione sociale.
Per
comprendere i romanzi della Ferrante bisogna prima di ogni cosa abbandonarsi al
flusso lento ma sinuoso delle sue storie. Effettivamente le sue storie non
possiedono niente di così sconvolgente da non farci restare a bocca aperta:
atti di violenza, sesso, litigi, rivelazioni sconcertanti, segreti sopiti dal
tempo … insomma, ogni ben di Dio. Tutto pronto e studiato a tavolino,
accompagnato da sentimenti forti e contrastanti e da quello che chiaramente
attanaglia la loro condizione dell'essere madre. Credo che ogni madre, donna
adulta o matura leggerà queste storie non potrà non tradire una certa sorpresa.
E'
davvero strano quello che talvolta ci riserva la vita. Strano come, da un
momento all'altro, non si sa mai cosa può succedere. Eccoci qui, dinanzi alla
storia della sofferta Rosaria. E' la stessa persona di sempre, è colei che
correva casa casa pur di accudire i suoi figli piccoli. E adesso? Che cosa ha
imparato dalla vita? Se qualcuno le avesse detto che il futuro era questo,
penso gli avrebbe riso in faccia. Alla fine cosa ha imparato dalla vita? Che è
proprio strana. Non si riesce a stare al passo con quello che succede. Non si
riesce nemmeno a immaginarlo.
In
un certo senso le protagoniste della Ferrante si assomigliano un po' tutte. Gli
si vuole bene repentinamente, talvolta le si ammira, persino, ma dall'anima
devastata, morta che ci impedisce di avvicinarci completamente. Non penso ci si
senta bene a convivere con qualcuno che ti impedisce di avvicinarsi. Se giovani
o adulte non ha importanza; il fulcro della situazione è il sentirsi rifiutate,
quasi scomode.
Non
sto dicendo che Olga, Rosaria, Dana sono cattive. Sono creature a sé, madri di
figli alle prese con diversi problemi. Le parole a questo proposito hanno ben
poco effetto. Lo stesso con qualunque figura la Ferrante porga l'attenzione.
Non si impara niente; si arriva alla consapevolezza che comunicare è un'impresa
alquanto ardua e non si può obbligare qualcuno ad amarti solo perché a te
piace.
Certo,
in ogni storia c'è sempre stata una certa intimità. Solo così sono potuta
arrivare lontano. Ma, come dire, è stata proprio questa nostra intimità a
legarci. Ha inciso un legame solido e profondo che non svanirà tanto
facilmente. Mi ha resa indomita, coraggiosa, avventurosa che non ci ho pensato
due volte ad abbracciare l'anima di queste tre tragiche storie. Ero io che
dovevo saperle capire, l'unica che le avrebbe potuto consigliare, indirizzare
verso certi luoghi, come pupazzi mossi abilmente nelle mani della sua
creatrice.
La
decisione della Ferrante di restare anonima fu la "causa" scatenante
per cui ho accolto, sul finire dell'anno, la quadrilogia che la resero
celeberrima. E' per lei che mi sono lasciata alle spalle ogni remora,
pregiudizio o critica, e in meno di un mese mi ci sono appassionata talmente
tanto che, come in un putiferio di esortazioni, mi hanno indotta a credere che
forse Lena e Lenù erano dotate di volontà propria. Ho trascorso delle
piacevolissime ore in loro compagnia. Per qualche tempo credevo che la mia
produzione letteraria aveva adesso acquisito una certa importanza ora che avevo interpretato i lati più
reconditi del cuore umano, avevo scrutato qualunque parvenza di violenza o
malessere, interpretato profezie o messaggi segreti scritti apposta per me.
Naturalmente,
alla fine mi sono sorpresa di trovarmi in mezzo a un intrico di sentimenti
aspri che ad ogni urto di suono, colore o odore si inasprirono ancora di più.
Il quotidiano principio di quotidianità, quell'elemento di monotonia che mi
tenne al passo con lo sviluppo della stessa storia, sbiadì, nel momento in cui
mi abbandonai agli incubi ad occhi aperti della protagonista, popolati da
situazioni bizzarre, dalla consapevolezza che la sua coscienza li stesse
elaborando.
In
La figlia oscura il lettore impara, inevitabilmente,
a sentire i reduci effetti di un certo tipo di esperienze, raccontate non
proprio nel dettaglio, i cui temi sono sempre uguali a se stessi, mentre i
personaggi anime dannate che vagano lungo la riva dell'assurdo. E, spontaneo,
oscuro, misterioso, è un altalena di gesti sconsiderati e folli che tormentano
il nostro animo di inquietudine.
Siamo
obbligati a fare tante cose sceme fin da piccoli pensando che siano essenziali;
quello che ci è successo è l'unica cosa sensata che mi sia capitata da quando
sono nata.
Valutazione
d'inchiostro: 3 e mezzo
Come sai tentare tu, pochi altri. In lista!
RispondiEliminaGrazie, Michele! ;)
EliminaCiao Gresi, oltre alla quadrilogia, non ho letto altro della Ferrante, ma prima o poi proverò a leggere qualche altro suo libro ;-)
RispondiEliminaBene, Ariel! Fammi poi sapere ;)
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