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giovedì, giugno 27, 2019

Gocce d'inchiostro: Isola - Siri Ranya Hjelm Jacobsen

Qualche ora fu tutto ciò che mi concessi nella mia umile dimora e allo scadere di questo arco di tempo ricevetti il messaggio che l’autrice trasmette così bene in queste pagine collocandomi in un posto in cui l’azzurro del cielo si conformava a quello di un semplice isolotto, teso tra le terre emerse, su un filo di terra popolata da mitiche creature e fantasmi. Desiderando ardentemente che l’autrice mostrasse qualcosa in più, mostrasse la sua vera posizione, sia come autrice sia come figlia della Terra, pur quanto abbia cercato di nascondere quanta profondità ci fosse in questo suo racconto autobiografico, si servì di un semplice mucchio di carta e parole che giustificarono il suo continuo sentirsi a disagio, disadattata, lasciando così una ferita ancora scottante che non cessa di pulsare nemmeno quando giunse l’ora di separarci.
Dicendo fra me e me che Isola nasconda molto più di quel che si crede, un esiguo compenso di dispiaceri e rimembranze di una famiglia che è quasi del tutto scomparsa, l’autrice rivendica così la sua dignità parlandoci al cuore; per quanto mi riguarda non c’è voluto poi così tanto per far sì che la magia facesse il suo effetto. Io ne fui soggiogata a tal punto che ho letto questa storia considerandola come un frammento della mia, poiché il profondo sentimento con cui è stata scritta mi ha impedito di sentirmi distante dalla sua creatrice.

Titolo: Isola
Autore: Siri Ranya Hjelm Jacobsen
Casa editrice: Iperborea
Prezzo:17€
N° di pagine: 215
Trama: Dopo la morte della nonna, una giovane ragazza danese decide di tornare a Suduroy – l’isola dell’arcipelago delle Faroe da cui proviene la sua famiglia – a cercare le sue origini in una cultura che ha ereditato ma che non le appartiene e in una lingua estranea in cui << non sa neppure pronunciare il suo nome >>. L’unico legame concreto con quel mondo è il rapporto con i nonni Marita e Fritz, emigrati in Danimarca negli anni ’30,la sua immaginazione e tutti gli aneddoti che fin da piccola le hanno raccontato. È stata la vita durissima dei pescatori nel mare del Nord, <<il posto in cui l’uomo è meno benvenuto al mondo >> a far nascere in Fritz il desidero di un destino diverso, ed è l’urgente desiderio di felicità e necessità di sfuggire alla durezza della vita a guidare tutta questa grande saga famigliare che si snoda fra la Danimarca e le isole sperdute nell’Oceano Atlantico del Nord.


La recensione:

Ogni uomo ha il suo posto stabilito e pesca per sé. Fra loro c’è un metro di freddo. Quando due fili s’intrecciano, nonostante le precauzioni possano inimicizie, accuse di sabotaggio e gelosia.

Non leggevo un romanzo così in fretta da parecchio tempo. Avanzo sempre in momenti in cui le mie letture sono calibrate, misurate e guardigne, come le mosse di un giocatore di scacchi. Un pomeriggio però il desiderio impellente di leggere qualcosa di diverso e originale e una nuova voce nel panorama danese apparvero come se mi avessero allontanata dalla monotonia, dalla piattezza di certi pomeriggi solitari per assumere una nuova forma, una nuova prospettiva. Ogni ramoscello di questo piccolo albero maestro era coperto da una bianca lanuggine, simile a una pelliccia cresciuta dalla corteccia durante la notte, che ne quadruplicó lo spessore; nell’insieme, Isola formò uno strano disegno di linee famigliari di demarcazione fra una generazione e un'altra contro il malinconico splendore di un isolotto luminoso e scintillante. Fronde di alberi scoprirono e rivelarono la loro presenza, nei cuori algidi di protagonisti desiderosi di conoscere le proprie origini, estirpare il passato dalle radici, finchè l'alter ego della stessa autrice, che qui non ha un suo nome, una sua identità specifica, rivelò qualcosa di dannatamente profondo e drammatico che si cristallizzó, pendendo dai bordi della sua anima come nodi di lana bianca dai punti più alti dei boschi, dal villaggio e da ogni piccola abitazione.
Da qui si dirama il cuore pulsante di una storia in cui le isole Farae sono popolate da maledizioni, sacrilegi, sacrifici dell’anima, che caratterizzano un intero popolo, un intera generazione da cui, ben presto, sopravvenne una novità di gelo asciutto, quando la morte di una persona cara cominciò silenziosamente ad arrivare e picchiare sul nostro cuore come magre e spettrali creature dalle origini prevalentemente tragici. Occhi che hanno contemplato scene di vita di eventi passati, in cui vige il forte desiderio di realizzarsi e perseguire degli obiettivi. Studiare per formarsi culturalmente o lavorare, affinché si possa tenere conto di una certa indipendenza economica. Marita è colei che ha vissuto sulla propria pelle scene di orribili cataclismi, in inaccessibili usanze religiose di una vastità inconcepibile di esseri umani, figli dello stesso Dio ma diversi per sesso e cultura, in rivelazioni sconcertanti, usanze, modi di vedere o interpretare le cose che pochi uomini sono stati in grado di sopportare. Mediante gli stessi occhi, l’autrice ha assistito all’urto di tempeste e sconvolgimenti interiori che dettero una certa pressione a certi eventi. Questa, come un uccello sconosciuto, mi si avvicinò non rivelando tuttavia nulla riguardo la sua identità e il ruolo fondamentale che ella svolgeva e che mai nessuno avrebbe potuto contestare. Era priva di debolezza, forte e coraggiosa a voler raccontare proprio di questo viaggio dell’anima, spirituale e intimo che, con muta passività, mi ha allontanato da esperienze a cui non ho dato così tanto valore, interessata a scoprire come in questo piccolo romanzo aleggiasse un forte senso di insoddisfazione. Tristezza, amarezza, incomprensione. Sembra quasi di vedere dei funamboli che camminano su questa landa desolata come se non avessero nessun altro fine.
Tutto questo ebbe scopo e riscatto dalla comprensione e dal nutrimento di un luogo che è sempre stato lì, elegante e ritirato, in cima a pascoli che degradavano verso i non ti scordar di me e i frumenti ondeggianti. Si trattava di un oscurità che venne e calò sul mio cuore, ghiacciando le mie pupille, penetrando fin dentro le ossa, agendo più all’interno del corpo che sulla superficie. Forse si trattava di una tattica per comprendere come, il lento assassinio processo della morte è una graffiante discordia che getta il proprio potere su qualunque individuo. Gli individui della  Jacobsen però non fanno nulla per scansarla, e prediligono l’idea di restare al mondo non facendo nulla di diverso se non sperare in un nuovo avvento.
Leggere Isola non è stato propriamente facile; se avessi saputo che il mio cuore sarebbe rimasto strettamente legato a quello dell’anima di questo romanzo non credo avrei esitato più di tanto. Mi rendo sempre più conto che calamito quelle storie dannatamente profonde e struggenti che, inavvertitamente, mi spronano a scovare quasi sempre un raggio di sole in un banco di nuvole e pioggia. Isola ne è un esempio, romanzo appartenente a quel bagaglio culturale che ha abbattuto e annientato il mio spirito, saldandomi alla sua anima come un tutt’uno come qualcosa di irrimediabilmente immutato. La storia che si porta dentro la stessa Jackson è un pó la storia di ognuno di noi, di chi è desideroso di conoscere le proprie radici e chi considera, anche il minimo stralcio di terra, la propria casa natia. Il fantasma cieco di un isolotto alla deriva. Perla lucente in un mare di detriti e pattume che, sebbene ambizioso e solenne, non riesce ad abbattere e annientare nemmeno la colla degli anni che hanno saldato la sua autrice alla sua famiglia come qualcosa di irrimediabilmente immutato. Corpo estraneo in un marasma di eventi, disordini e sfaceli del cuore, in cui è bastato un semplice gesto per riconoscersi: guardarsi dentro, affinché potessimo capire quanto ogni tanto ci si sente guasti, sbagliati. Intrusi che inconsapevolmente si sono infilati in una piccola fessura creando un certo contrasto. 
Spesso e volentieri è davvero un’impresa tenere a bada le emozioni, sopravvivere alla risacca lenta e disomogenea che ti assale quando sopravvengono i ricordi, come pensieri piatti, dalle vedute ristrette, privi di ogni immaginazione. Isola è un romanzo che muta e cresce in tutta la sua meravigliosa essenza, trasformando inutili e insulsi granelli di vite lontane in un sogno romantico, onnisciente che non nasconde una certa malinconia, non mancando mai di ricordarci il numero di effetti, tormenti, cause o conseguenze. 
Ho assaporato la sensazione di essermi, per qualche momento, immersa in un momento storico davvero importante, ma a colpirmi maggiormente è stata la luminosità dei colori, la forza che sprigionano queste parole, ogni cosa completamente immersa nel buio, nel grigiore della distruzione, che crea un disegno splendido, toccante ed estremamente profondo. L’esordio della Jacobsen è un dramma romanzato che racchiude, al suo interno, un certo coraggio per dichiararsi rivoluzionari, combattenti verso qualcosa o qualcuno in cui ti senti solo, vulnerabile. L’autrice vede al lato umano, estremamente intrinseco alla sua natura profetica e poetica, in cui realizza un utopia paradisiaca dove vigono peccati dell’anima, un passato che è impossibile annullare, sensi di colpa verso un futuro utopica che non ci sarà mai. 

Le isole più piccole possono nascere in una notte, e possono sparire in una notte.

Valutazione d’inchiostro: 4

8 commenti: