La sensazione immediata fu quella di soffocamento. Una morsa
attanagliante, strangolatrice aspettava calma, nel momento in cui mi accorsi di
questo ennesimo sconcertante romanzo che come un lampo di furia si abbattè su
di me e sulla mia anima. Mai prima di ora, a eccezione delle opere di questo
autore, una storia fosse riuscita a non nascondere la sua crudele essenza, il
suo continuo essere brutale, credendo forse un lettore ignaro e ingenuo di
poterne uscire illeso, non destabilizzato, dietro innumerevoli scenate.
L’avversario, esattamente
come i precedenti romanzi carrèriani, è colmo di cinismo, crudeltà, follia, e
non nasconde nemmeno il tentativo di non voler guadagnarsi il perdono, la
comprensione altrui, per gli imperdonabili crimini commessi. La perdita di una
persona amata, ci viene sbattuta in faccia con forza, impetuosità, con un
bagaglio di vite che sono rigorosamente ricoperte di menzogne e avversità.
Dottrine, sprazzi di pensieri che sono esplicate dalla figura stessa dei
personaggi, così imperscrutabili, magnetici, enigmatici, affetti quasi sempre
da malattie incurabili che non portano alcuna vergogna. Alcuna conseguenza
morale.
Alla fine, era giunta anche la mia ora. Dovevo leggere questo
romanzo, e mediante un viaggio a ritroso nel tempo ho visto e osservato le
vicende di questo folle omicida non facendo nient’altro che leggere. Trascinata
alla deriva, col cuore frantumato in minuscoli pezzettini.
Titolo: L’avversario
Autore: Emmanuel Carrère
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 17 €
N° di pagine: 169
Trama: << Il 9 gennaio 1993 Jean Claude Romand ha ucciso la
moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidarsi, maq invano. L’inchiesta
ha rivelato che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più
difficile da credere, che non era nient’altro. Da diciotto anni mentiva, e
quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di essere
scoperto, ha preferito sopprimere le persone di cui non sarebbe riuscito a
sopportare lo sguardo. E’ stato
condannato all'ergastolo. >>
La
recensione:
La
pazzia è come un buco nero, e vedrà che ci esploderà in faccia. La gente non sa
cosa sia la pazzia. E’ terribile. E’ la cosa più terribile che ci sia al mondo.
A
dispetto di Un romanzo russo e di Limonov, tritati magistralmente fino all’ultimo
pezzo come carni da macello, L’avversario
mi coinvolse nelle sue machiavelliche vicende, mi sconcertò proprio come
pensavo ma mi tenne un po’ distante, fredda, poiché pur quanto intrigante e strabiliante
il risultato non fu così rinfrescante come credevo. Poiché gli appetiti
sessuali, violenti, omicidi, inspiegabili indotti da un uomo comune come Jean
Claude Roman continuarono ad essere sepolti in una piscina di misteri e enigmi.
Al mio ingresso, l’aria era già soffocante; mi sentivo nauseata al pensiero che
un marito, un padre, una mattina di un giorno qualunque, avesse ucciso la sua
famiglia, sua moglie, i suoi figli, persino il cane, e sarebbe uscito illeso,
sardonicamente soddisfatto, di un crudele reato come questo. Le vicende
narrate, tuttavia, furono disponibili ai giornalisti, alla giuria per un certo periodo,
mentre a noi poveri umani sarebbe toccato continuare a condurre la nostra umile
vita nel terrore, nell’angoscia. Ce ne sono state di opere, testimonianze
stampate su libri o opere che avvalessero questa ipotesi, supposizioni su
questi efferati omicidi. In assenza di prove concrete, Carrère scrisse L’avversario mediante le vivide
testimonianze di Roman, tirando non solo a indovinare ma anche avvalendosi nel
credere che per realizzare un opera come questa bisogna credere che esista una
luce grazie alla quale ogni cosa avviene, accade, e la felicità e la cattiveria
diventano comprensibili. Perfino se generati dalla fantasia o dall’ispirazione.
Pochi
si interessarono a questo caso; Carrère vide questo brutale omicidio come una
finestra da dove affacciarsi poiché si apriva in un tempo, in un momento
storico in cui ci si imbarca senza nemmeno rendersene conto. Perciò il lettore
nutre qualche serio problema a sentirsi accolto in qualcosa che è ancora
avvolto nel buio e nell’oscurità. A questo proposito L’avversario mi ha letteralmente sconcertato, ignara nell’aver
consegnato l’anima a un burattinaio che muove ancora i fili.
L’effetto
di soffocamento, di angoscia, la tristezza che inzuppa le nostre fragili membra
crebbero nel momento in cui vidi e assistetti al sangue che inzuppò e macchiò
le pareti di una casa qualunque, l’unica famiglia di Roman che possedeva: per
qualche strambo motivo, Roman aveva realizzato un omicidio che ancora tutt’oggi,
dopo vent’anni, è ampiamente ricordato. Il risultato, infatti, è un ritratto
terribilmente realistico e cruento, indecifrabile e misterioso di cui Carrère
si servì per parlarci della mente umana, di frammenti o segmenti mnemonici di
un individuo comune e il momento in cui essi giungono alla deriva, scandagliando
l’anima di questa Bestia in ogni sua forma o sostanza, coinvolgendo chiunque
nel suo freddo abbraccio. Non ne avevo mai sentito parlare di Roman, ma è molto
probabile che, nelle intenzioni dell’autore, ci fosse il presupposto di
riscattare la vita di quei poveri innocenti mediante poche pagine che hanno
tuttavia una certa solidità.
Avvicinarmi di soppiatto alla figura di quest’uomo è stato davvero impossibile, poiché incarnazione del Male assoluto, della cattiveria che inevitabilmente scorreva nelle sue vene, ignaro di quei sentimenti che potessero condurlo alla pace, alla tranquillità, il poter essere finalmente libero o redento da colpe che avrebbero potuto non essere suoi. Eppure, la vita in generale sembrava un passatempo insulso e noioso e, implacabile come ogni personaggio carrèriano, si affidò alle “cure” di un uomo raccontandogli la sua storia, il suo “lavoro di distruzione”, le sue vivide impressioni sui delitti commessi.
Lo scompiglio generale che imperversa dentro la mia anima, ogniqualvolta mi imbatto in questo tipo di letture, non riescono a ricoprire la sua aura arcigna, i suoi modi poco affabili e cortesi, il suo essere amaro e pessimista. Seppur scritto magnificamente, non sono ammessi nemmeno sprazzi di felicità che avrebbero potuto ricoprirne il rumore. Immobilizzato in un ambiente famigliare accecante, scandaloso, come un bellissimo quadro che reca tuttavia un brutto presagio.
L’avversario non è stato facile collocarlo nella categoria di quei romanzi indimenticabili e straordinari poiché la sua aura complicata, enigmatica, introversa, malinconica e bellicosa mi ha allontanata da qualunque emozione come un grosso sforzo mentale. Eppure coglierne l’importanza della scrittura come quel mezzo perfetto in cui riversare frustrazione, rancore, invidia, odio, fantasie perverse, senza alcuna ipocrisia e vergogna, è un qualcosa che ha a che fare col trionfo dello stesso autore a vendicare l’insuccesso dell’omicida, del diabolico e del sadico. La vita del fantomatico medico Roman era divenuta una materia sbiadita e mediocre, destinata a restare sospesa nel nulla, nell’amarezza, nel dolore. Ne è trapelato il rumore della sua notorietà, un suono che ha inconsapevolmente raggiunto la fama e che ognuno ha accolto nel suo cantuccio personale.
Così come Limonov, L’avversario trasporta la bomba di un sapere individuale di un uomo qualsiasi e dei suoi gesti. Un sapere trascendentale, estraneo al mio mondo, scritto mediante l’accurata descrizione di un’esistenza per gran parte conosciuta dal popolo francese, calata per incongruenza sui cieli celesti di chiunque ne incrocia il suo cammino.
Questa storia gode del fascino che la contraddistingue, così fredda e lucida, trasportata dalle forti correnti della vita. L’essenziale è quello che salta nell’immediato agli occhi. Roman si era mosso in un mondo esterno che lo strinse da ogni parte, e chi legge non può non restarne ammaliato. Ritratto decadentistico di un uomo la cui vita ben presto diverrà un vero e proprio incubo, intento a comporre un diario di delitti e crudeltà. Viaggiatore perenne di una tenebra che non ha più alcuna via di uscita, incrociata a una certa oscurità che hanno conferito una certa inquietudine, un oppressione che trascina sino alla fine.
Avvicinarmi di soppiatto alla figura di quest’uomo è stato davvero impossibile, poiché incarnazione del Male assoluto, della cattiveria che inevitabilmente scorreva nelle sue vene, ignaro di quei sentimenti che potessero condurlo alla pace, alla tranquillità, il poter essere finalmente libero o redento da colpe che avrebbero potuto non essere suoi. Eppure, la vita in generale sembrava un passatempo insulso e noioso e, implacabile come ogni personaggio carrèriano, si affidò alle “cure” di un uomo raccontandogli la sua storia, il suo “lavoro di distruzione”, le sue vivide impressioni sui delitti commessi.
Lo scompiglio generale che imperversa dentro la mia anima, ogniqualvolta mi imbatto in questo tipo di letture, non riescono a ricoprire la sua aura arcigna, i suoi modi poco affabili e cortesi, il suo essere amaro e pessimista. Seppur scritto magnificamente, non sono ammessi nemmeno sprazzi di felicità che avrebbero potuto ricoprirne il rumore. Immobilizzato in un ambiente famigliare accecante, scandaloso, come un bellissimo quadro che reca tuttavia un brutto presagio.
L’avversario non è stato facile collocarlo nella categoria di quei romanzi indimenticabili e straordinari poiché la sua aura complicata, enigmatica, introversa, malinconica e bellicosa mi ha allontanata da qualunque emozione come un grosso sforzo mentale. Eppure coglierne l’importanza della scrittura come quel mezzo perfetto in cui riversare frustrazione, rancore, invidia, odio, fantasie perverse, senza alcuna ipocrisia e vergogna, è un qualcosa che ha a che fare col trionfo dello stesso autore a vendicare l’insuccesso dell’omicida, del diabolico e del sadico. La vita del fantomatico medico Roman era divenuta una materia sbiadita e mediocre, destinata a restare sospesa nel nulla, nell’amarezza, nel dolore. Ne è trapelato il rumore della sua notorietà, un suono che ha inconsapevolmente raggiunto la fama e che ognuno ha accolto nel suo cantuccio personale.
Così come Limonov, L’avversario trasporta la bomba di un sapere individuale di un uomo qualsiasi e dei suoi gesti. Un sapere trascendentale, estraneo al mio mondo, scritto mediante l’accurata descrizione di un’esistenza per gran parte conosciuta dal popolo francese, calata per incongruenza sui cieli celesti di chiunque ne incrocia il suo cammino.
Questa storia gode del fascino che la contraddistingue, così fredda e lucida, trasportata dalle forti correnti della vita. L’essenziale è quello che salta nell’immediato agli occhi. Roman si era mosso in un mondo esterno che lo strinse da ogni parte, e chi legge non può non restarne ammaliato. Ritratto decadentistico di un uomo la cui vita ben presto diverrà un vero e proprio incubo, intento a comporre un diario di delitti e crudeltà. Viaggiatore perenne di una tenebra che non ha più alcuna via di uscita, incrociata a una certa oscurità che hanno conferito una certa inquietudine, un oppressione che trascina sino alla fine.
Solo
la morte convince gli uomini delle ragioni della sincerità e della profondità
del dolore altrui.
Valutazione
d’inchiostro: 4
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