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lunedì, dicembre 16, 2019

Gocce d'inchiostro: La fabbrica delle bambole - Elizabeth Macneal

Nel giro di qualche giorno, un weekend all’insegna della frenesia e della fretta, ho letto un romanzo molto carino, atipico ed originale che nell’errabondo frastuono del mondo mi ha adottato repentinamente.
Riconosco come ancora una volta le vicende narrate in certi romanzi, anche le più deprimenti, non solo sfiorano il mio temperamento irreprensivo ma donano vita a ciò che non l’aveva. Gli episodi tormentosi narrati in La fabbrica delle bambole è stato un caso fortuito nel migliorare il mio approccio nei riguardi di questa storia, esplicando le mie vere e proprie ragioni per cui mi ci sono avvicinata, e di effetti positivi ce ne sono stati. E non pochi, a dire il vero.
Ed ecco che, rafforzata dal desiderio di scoprire cosa celassero le pagine di questo magnifico quadro, che ho avvertito anche la minima parvenza di controllare le mie azioni, facendomi più tranquilla. Trasferite le parole su carta, questo dunque ciò che è venuto fuori: un parere a cuor leggero come non mi capitava da qualche tempo. Dando così vita a un quadro reprensibile ma bello che coincise con i miei gusti, le mie preferenze letterarie, tratteggiando in ogni forma o figura tutta la magia che esplicano le sue forme o tratti.

Titolo: La fabbrica delle bambole
Autore: Elizabeth Macneal
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 21 €
N° di pagine: 400
Trama: Una giovane donna che aspira a un futuro da artista. Un pittore preraffaelita in cerca di una nuova musa. Un sinistro tassidermista convinto di poter rendere immortale ciò che è unico. Alla Grande Esposizione di Londra del 1851 i loro destini si incontrano e cambiano per sempre.


La recensione:


Le favole sembrano sempre possedere una certa magia, vero? O così a me sembra, che quando leggo romanzi di questo tipo mi intestardisco a leggerli o “vederli” in un certo modo. Solo così riesco a vederne i contorni, tutti in un'unica fila: all’inizio non se ne riesce a darne una forma o una chiarezza, poi diventano sempre più nitidi come se dicessero qualcosa…
I libri, infatti, romanticamente parlando, fanno nascere i sogni con l’arte di parole che, allineate e sparse per caso, ricacciano indietro tutte le orride fantasie. Dinieghi brutali dell’animo. Fui così sorpresa di scoprire che una giovane donna, Elizabeth Macneal, soltanto una donna appassionata di arte, pittura, e a quanto pare letteratura, avesse colto, in maniera alquanto inconsueta ma bella, qualcosa che ha destato invidia ad altri suoi coetaneei scrittori, dando forma ad immagini tanto forti quanto artistici. Aveva espresso, con frasi proprie, mediante disegni colorati e a dismisura, spontaneamente o irruentemente, aiutata non poco dall’istruzione della produzione artistica nel suo titolo di studio, mediante sentimenti che li ho considerati come espressioni di un epoca: il male del progresso. Questa intuizione mi attrasse maggiormente all’esordio della Macneal, quando riflettei che si trattavano nient’altro che di idee progressiste di una realtà realistica ma distorta che definissero l’arte nel mondo, mediante frasi ricercate con pennellate di colori che denigrano una maggior libertà d’espressione, sensazioni che uomini e donne non hanno ancora compreso distintamente e che coincide con la lotta, la supremazia di mantenere in vita la bellezza dei ricordi. Si potrebbe scappare, ritrarsi ambiziosamente in qualche forma d’espressione. Ma diviene alquanto strano quando essa coincide con l’amore, l’immobilità in cui sono rinchiuse o imprigionate le cose; più strano, impressionante, interessante, commovente.
Non avendo mai letto nulla di simile non rammentavo come certe esperienze possano essere catartiche, non necessariamente in rapporto con la durata ma la sua intensità; l’irriducibile desiderio di leggere La fabbrica delle bambole era stato anche la mia messa mentale. L’irruenta sensazione di trovarsi intrappolati in una sfera di vetro, come avviene nel teatro in cui prevale un unico luogo o rione, rappresenta la funzione degli oggetti e il loro essere rinchiusi implacabilmente in qualcosa che sfumi qualunque perplessità o dubbio. Per un infelice gruppo di pellegrini qual sono i protagonisti di questo romanzo vi sono infatti delle valide ragioni. Non a caso quest’opera è uno specchio, uno spaccato di una società molto simile alla nostra in cui l’individuo recita una parte effimera, valicando il confine fra finzione e realtà. E lo fa aggrappandosi alla straordinaria bellezza dei ricordi, così tattili da essere sfruttati in tutta la loro denomicità. Gentilezza, poesia, magnificenza artistica cozzano con l’umiliazione, il disagio, scandagliando l’anima di chiunque affinchè il pensiero astratto catturi o immobilizzi l’eternità.
E’ vero che in questo modo mi sono trovata fuori dal mio ambiente, ma sapevo che quella narrata fra le pagine de La fabbrica delle bambole evidenzia qualcosa che si mescola alla sofferenza, alla povertà d’animo, alla miseria. Non si dipinge o ammira l’arte, in qualunque sua forma, solo perché è un obbligo, ma perché mediante essa impari ad essere consapevole che l’eternità è solo una predisposizione e che la si attribuisce a tante cose, una forma o un oggetto, ma che coincidono con particolari forme di tempo e spazio. Una pittrice che sarebbe presto divenuta l’amante di un ricco artista sarebbe diventata l’ossessione, un comandamento. Che l’avesse scelto spontaneamente avrebbe dato qualche informazione in più.
Ogni capitolo, ogni pagina, è infatti un frammento che reca un certo riferimento a quelle masse di carne inutilizzate pur di comprendere la vita, al fine di prolungarla nella sua sgretolatezza. Cianfrusaglie dotate di vita che hanno la pretesa di scimmiottare l’opulenza di un luogo altolocato e misero.
La visibilità di questo romanzo è stata piuttosto scarsa, a causa dei segreti, dei misteri, dei rumori sparsi che sprigionano queste pagine. Eppure la sua bellezza si è aperta ai miei occhi come se fosse avvolto in una patina zeppa di crudeltà e fatalità. La scrittura a questo proposito è servita per aiutarmi ad approdare in una patria alquanto estranea per me, ma che, attraverso gli occhi di avvenenti figure, ha riempito il mio cuore di una melodia tutta sua, volteggiando come se la vita fosse una specie di cerimonia disperata, di festa tragica e solenne a conclusione della quale l’autrice avrebbe donato vita ai suoi oggetti pur di annunciare la sua straordinaria magnificenza.
Ammaliata da un intreccio di storie dentro altre storie, prosa semplice ma poetica e simbolica ho visto l’anima di questo splendido romanzo rinchiusa in oggetti qualunque, a cui verrà somministrata la vita, ergersi sulla cima di un monte di disprezzo, crudeltà, in un mondo a sé in cui spiccano intere generazioni di donne e uomini vissuti in altri tempi. Reliquia di segreti, misteri che racchiudono la memoria- la memoria di chi resta e di chi invece non esiste più – che si annida nei recessi più occulti, come il tremito di una mano o l’accelerazione di un battito improvviso.
Fra le pagine di questo romanzo, in un luogo in cui tutto ciò è caotico e superfluo, non resta nient’altro che l’immobilità, il sentirsi vulnerabili. L’uomo infatti durante il corso della sua esistenzsa si prepara a vivere una condizione ineffabile, movimentata, colta di responsabilità in cui lo svago o il diletto stonano con la natura ambiziosa dei personaggi.
Dettata dagli istinti e dalle passioni irruente del cuore, ho letto La fabbrica delle bambole con la consapevolezza che il Fato presto o tardi avrebbe preso il sopravvento, ponendoci così in una posizione in cui si è disposti a sacrificare la propria vita e la propria felicità per il prossimo, cercando di cogliere quella voce interiore che ci dica cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Valutazione d’inchiostro: 4 +

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