Riconosco come ancora una volta le vicende
narrate in certi romanzi, anche le più deprimenti, non solo sfiorano il mio
temperamento irreprensivo ma donano vita a ciò che non l’aveva. Gli episodi
tormentosi narrati in La fabbrica delle
bambole è stato un caso fortuito nel migliorare il mio approccio nei
riguardi di questa storia, esplicando le mie vere e proprie ragioni per cui mi
ci sono avvicinata, e di effetti positivi ce ne sono stati. E non pochi, a dire
il vero.
Ed ecco che, rafforzata dal desiderio di
scoprire cosa celassero le pagine di questo magnifico quadro, che ho avvertito
anche la minima parvenza di controllare le mie azioni, facendomi più
tranquilla. Trasferite le parole su carta, questo dunque ciò che è venuto
fuori: un parere a cuor leggero come non mi capitava da qualche tempo. Dando
così vita a un quadro reprensibile ma bello che coincise con i miei gusti, le
mie preferenze letterarie, tratteggiando in ogni forma o figura tutta la magia
che esplicano le sue forme o tratti.
Titolo: La fabbrica
delle bambole
Autore: Elizabeth
Macneal
Casa editrice:
Einaudi
Prezzo: 21 €
N° di pagine: 400
Trama: Una giovane
donna che aspira a un futuro da artista. Un pittore preraffaelita in cerca di
una nuova musa. Un sinistro tassidermista convinto di poter rendere immortale
ciò che è unico. Alla Grande Esposizione di Londra del 1851 i loro destini si
incontrano e cambiano per sempre.
La recensione:
La recensione:
Le favole sembrano sempre possedere una
certa magia, vero? O così a me sembra, che quando leggo romanzi di questo tipo
mi intestardisco a leggerli o “vederli” in un certo modo. Solo così riesco a
vederne i contorni, tutti in un'unica fila: all’inizio non se ne riesce a darne
una forma o una chiarezza, poi diventano sempre più nitidi come se dicessero
qualcosa…
I libri, infatti, romanticamente parlando,
fanno nascere i sogni con l’arte di parole che, allineate e sparse per caso,
ricacciano indietro tutte le orride fantasie. Dinieghi brutali dell’animo. Fui
così sorpresa di scoprire che una giovane donna, Elizabeth Macneal, soltanto
una donna appassionata di arte, pittura, e a quanto pare letteratura, avesse
colto, in maniera alquanto inconsueta ma bella, qualcosa che ha destato invidia
ad altri suoi coetaneei scrittori, dando forma ad immagini tanto forti quanto
artistici. Aveva espresso, con frasi proprie, mediante disegni colorati e a
dismisura, spontaneamente o irruentemente, aiutata non poco dall’istruzione
della produzione artistica nel suo titolo di studio, mediante sentimenti che li
ho considerati come espressioni di un epoca: il male del progresso. Questa
intuizione mi attrasse maggiormente all’esordio della Macneal, quando riflettei
che si trattavano nient’altro che di idee progressiste di una realtà realistica
ma distorta che definissero l’arte nel mondo, mediante frasi ricercate con
pennellate di colori che denigrano una maggior libertà d’espressione,
sensazioni che uomini e donne non hanno ancora compreso distintamente e che
coincide con la lotta, la supremazia di mantenere in vita la bellezza dei
ricordi. Si potrebbe scappare, ritrarsi ambiziosamente in qualche forma d’espressione.
Ma diviene alquanto strano quando essa coincide con l’amore, l’immobilità in
cui sono rinchiuse o imprigionate le cose; più strano, impressionante,
interessante, commovente.
Non avendo mai letto nulla di simile non
rammentavo come certe esperienze possano essere catartiche, non necessariamente
in rapporto con la durata ma la sua intensità; l’irriducibile desiderio di leggere
La fabbrica delle bambole era stato
anche la mia messa mentale. L’irruenta sensazione di trovarsi intrappolati in
una sfera di vetro, come avviene nel teatro in cui prevale un unico luogo o
rione, rappresenta la funzione degli oggetti e il loro essere rinchiusi
implacabilmente in qualcosa che sfumi qualunque perplessità o dubbio. Per un
infelice gruppo di pellegrini qual sono i protagonisti di questo romanzo vi
sono infatti delle valide ragioni. Non a caso quest’opera è uno specchio, uno
spaccato di una società molto simile alla nostra in cui l’individuo recita una
parte effimera, valicando il confine fra finzione e realtà. E lo fa
aggrappandosi alla straordinaria bellezza dei ricordi, così tattili da essere
sfruttati in tutta la loro denomicità. Gentilezza, poesia, magnificenza
artistica cozzano con l’umiliazione, il disagio, scandagliando l’anima di
chiunque affinchè il pensiero astratto catturi o immobilizzi l’eternità.
E’ vero che in questo modo mi sono trovata
fuori dal mio ambiente, ma sapevo che quella narrata fra le pagine de La fabbrica delle bambole evidenzia
qualcosa che si mescola alla sofferenza, alla povertà d’animo, alla miseria. Non
si dipinge o ammira l’arte, in qualunque sua forma, solo perché è un obbligo,
ma perché mediante essa impari ad essere consapevole che l’eternità è solo una
predisposizione e che la si attribuisce a tante cose, una forma o un oggetto,
ma che coincidono con particolari forme di tempo e spazio. Una pittrice che
sarebbe presto divenuta l’amante di un ricco artista sarebbe diventata l’ossessione,
un comandamento. Che l’avesse scelto spontaneamente avrebbe dato qualche
informazione in più.
Ogni capitolo, ogni pagina, è infatti un
frammento che reca un certo riferimento a quelle masse di carne inutilizzate
pur di comprendere la vita, al fine di prolungarla nella sua sgretolatezza. Cianfrusaglie
dotate di vita che hanno la pretesa di scimmiottare l’opulenza di un luogo
altolocato e misero.
La visibilità di questo romanzo è stata
piuttosto scarsa, a causa dei segreti, dei misteri, dei rumori sparsi che
sprigionano queste pagine. Eppure la sua bellezza si è aperta ai miei occhi
come se fosse avvolto in una patina zeppa di crudeltà e fatalità. La scrittura
a questo proposito è servita per aiutarmi ad approdare in una patria alquanto
estranea per me, ma che, attraverso gli occhi di avvenenti figure, ha riempito
il mio cuore di una melodia tutta sua, volteggiando come se la vita fosse una
specie di cerimonia disperata, di festa tragica e solenne a conclusione della
quale l’autrice avrebbe donato vita ai suoi oggetti pur di annunciare la sua
straordinaria magnificenza.
Ammaliata da un intreccio di storie dentro
altre storie, prosa semplice ma poetica e simbolica ho visto l’anima di questo
splendido romanzo rinchiusa in oggetti qualunque, a cui verrà somministrata la
vita, ergersi sulla cima di un monte di disprezzo, crudeltà, in un mondo a sé in
cui spiccano intere generazioni di donne e uomini vissuti in altri tempi. Reliquia
di segreti, misteri che racchiudono la memoria- la memoria di chi resta e di
chi invece non esiste più – che si annida nei recessi più occulti, come il
tremito di una mano o l’accelerazione di un battito improvviso.
Fra le pagine di questo romanzo, in un
luogo in cui tutto ciò è caotico e superfluo, non resta nient’altro che l’immobilità,
il sentirsi vulnerabili. L’uomo infatti durante il corso della sua esistenzsa
si prepara a vivere una condizione ineffabile, movimentata, colta di
responsabilità in cui lo svago o il diletto stonano con la natura ambiziosa dei
personaggi.
Dettata dagli istinti e dalle passioni
irruente del cuore, ho letto La fabbrica
delle bambole con la consapevolezza che il Fato presto o tardi avrebbe
preso il sopravvento, ponendoci così in una posizione in cui si è disposti a
sacrificare la propria vita e la propria felicità per il prossimo, cercando di
cogliere quella voce interiore che ci dica cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Valutazione
d’inchiostro: 4 +
Yine harika bir inceleme olmuş 😊
RispondiEliminaAma çok teşekkür ederim ☺️☺️
EliminaLo punto da un po' 😍
RispondiEliminaTi assicuro che non te ne pentirai ☺️☺️
EliminaSembra interessante, grazie per la recensione
RispondiEliminaGrazie a te ☺️☺️
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