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venerdì, gennaio 31, 2020

Una porta fra le parole: Piccole donne di Greta Gerwing

Nei primi giorni di gennaio, la storia del mio bellissimo e amato volume rosa delle Piccole donne stanziò nel mio animo per ben due settimane. Le sere successive la lettura dei quattro volumi, quando ancora non riuscivo a staccarmi da Londra né dal magico mondo vittoriano dipinto con fede e rigore dalla Alcott, io ero ancora ferma sui miei passi desiderosa di avere di più. Nei giorni successivi, quando ignoravo completamente la sua esistenza, l’imminente trasposizione cinematografica diretta da una regista che in passato non aveva conquistato pubblico e critica e che io tuttavia ignoravo l’esistenza, mi prese per mano, incuriosita da questa nuova visione, da un trailer apparentemente fedele alla storia del romanzo, come l’annuncio dello stadio accurato di un romanzo esaminato per benino, fedelmente ed emotivamente, essere irriconoscibile nella cerchia di quei film realizzati in passato: lungi dall’assistere al recupero del cuore del romanzo, mi sono rivista in Piccole donne di Greta Gerwig involontariamente in una crescita individuale che mi ha sorpreso e conquistata. Ho osservato il suo montaggio proiettato nella scenografia di paesaggi che sembravano dipinti, sepolti nelle lande incolte di una brughiera lontana e sepolta dal ghiaccio, in cui mi è sembrato di assistere all’inizio di un percorso che le sorelle March avevano inconsapevolmente imboccato e che io non ho potuto fare a meno di seguire.
  Andò a finire che, solo qualche giorno prima che il film uscisse nelle sale cinematografiche, il romanzo, che avevo sistemato sullo scaffale di una libreria troppo piena, conteneva di per sé una storia molta bella e che il film a mio avviso promulga molto bene. Quasi nell’immediato, all’aspetto umile e dimesso di quattro giovani donne e dei dispiaceri vissuti prima che varcassero l’età adulta, e alla sua successiva perfezione, la Gerwing ha costruito le piccole fondamenta di un classico moderno, intelligente e dinamico che ha lasciato un segno del suo passaggio. I continui salti temporali, che evidenziano un certo dinamismo agli eventi narrati, se in un primo momento disorientano, in una manciata di minuti acquisiscono forza e importanza. Dopo una prima metà ricca di eventi e situazioni di diverso genere, sarà più chiaro il lavoro effettuato dalla regista perché la storia realizzata dalla Alcott potesse continuare ad andare avanti da sola, acquisisse una sua figura, realizzando così una sorta di piccola biografia della sua autrice e della genesi del romanzo. Quando si coglierà al volo questo messaggio, mentre la macchina da presa continua inarrestabile a muoversi su paesaggi bellissimi ed indimenticabili, la sua forza ed importanza, che ho sempre acquisito in un certo senso a Jo, alla scrittrice incompresa, accrescerà e si uniformerà persino nel resto dei membri della famiglia March. Un pellegrinaggio sulla forza dei sentimenti, sui legami famigliari, sulle ambizioni, su quelle virtù che all’epoca erano soppiantate dal senso del dovere e da diverse ed inutili istituzioni, come il matrimonio, ad esempio, rievocano ciò che alla Alcott fu sempre scomodo e che aveva detto di aver sempre odiato. Il film, infatti, non intende dire nulla di diverso da ciò, e a mio avviso tale forza è evidenziata dalla stessa regista, che quasi come stile di vita fece delle vicende della famiglia March come sue e, dell’interpretazione psicologica e sociale del romanzo, un insieme di messaggi che a mio avviso sono ben seminati nell’intero film.




Cosa ci sarebbe stato di più bello, di tornare nella vecchia e malconcia casa di legno, la prima e l’unica da dove si dirameranno le vicende, dove ogni cosa ha avuto inizio? Cosa, se non un film che estrapolato da vecchie e logore pagine vergate a penna ha custodito per anni i sogni e i desideri di tante generazioni, soprattutto di sesso femminile, che come un invisibile patina mi ha avvolta e fagocitata mentre assistevo alla crescita personale delle sorelle March? Su una poltrona deforme e un po’ scolorita ho visto una donna che si dilettava scrivere con passione: felice, immaginavo, come poteva essere un esordiente che si affaccia alla scrittura. E’ una delle tante immagini a cui sono affezionata, e che per un amante della scrittura e della lettura come me, la realizzazione di questi ritratti dell’anima sussurravano ed intrappolavano il concetto di vita così come nessuno aveva mai fatto, fin da allora. Nonostante gli aspetti ingenui con cui si abbraccia spesso la vita, nonostante la lotta e la forza di volontà nel contrastare o cambiare qualcosa a cui solo il tempo potrà dare delle risposte e che pendono sulle anime di Jo, Meg, Beth ed Amy come un fardello troppo pesante e che, per tutto il film, terrano testa sebbene con visioni e temperamenti diversi, passando dolorosamente da una vicenda ad un’altra, da eventi che colpiscono come mazzate ad altri, pur di non perdere vigore.



Ai miei occhi, quello di Greta Gerwig è stato un progetto, un lavoro ingegnoso, intelligente, dinamico, emotivo che mi ha sorpresa parecchio e che sorprenderà parecchio specialmente il pubblico femminile. Porta con sé il rigore di certi messaggi che i due romanzi, Piccole donne  e Piccole donne crescono racchiudono perfettamente, avvertendo qualunque segnale come nuovo modo di espressione, pur di immaginarsi o immedesimarsi mentre si esce da un periodo storico rischioso e soffocante in cui si anela la libertà, una certa rivalsa. Pur essendo donne forti, indipendenti, e non più succubi o inette e servizievoli, la Alcott ha ritratto la figura di una nuova eroina ottocentesca che corre, con la sua armatura scintillante, incontro al mondo e che, pur di contrastarlo, si sarebbe sacrificata, qualunque azione o conseguenza sarebbe sopraggiunta. Così vicina alla donna moderna del XXI secolo che quasi ho potuto accarezzare, e che con il potere dell’immaginazione è stata composta come qualcosa d’intero. Come poteva non essere così, quando lei stessa, al di là della genesi del romanzo, sentì la forte esigenza di dare come risultato esattamente una visione più “distorta” del mondo in cui fu costretta a vivere?

La presuntuosa innocenza della ribelle Jo, interpretata da una straordinaria Saoirse Roan, promulga un tema caro all’intera produzione alcottiana, e che la Gerwig devo dire ha colto magnificamente: le donne sono destinate ad asservire, seguire certe istituzioni. Ma cosa accadrebbe se si nasce con una tempra indomabile che, con tutta la forza necessaria, rivela ambizioni solide, salde, che prevederanno la conclusione di una storia dal sapore dolce e amaro? A venticinque anni dalla sua ultima trasposizione, le Piccole donne in salsa cinematografica tornano con una gran voglia di essere << mature >>. Se in alcuni momenti, non lo sono state è semplicemente dovuto dalla misura in cui hanno dovuto adattarsi per guardare e comprendere meglio il mondo, mediante responsabilità più dirette, con l’intensità di un desiderio di piccole ma grandi donne che contempleranno la vita dal vetro opaco di una finestra.  
Voto: 4 e mezzo

6 commenti:

  1. Ottima recensione, ma io la penso un po' diversamente.. sul mio blog trovi la recensione al film se ti interessa

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  2. Harika bir inceleme olmuş 😊 merak ediyorum bu filmi en kısa zamanda izlemek istiyorum...

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    1. Eğer bir fırsatınız varsa, kesinlikle tavsiye ederim ☺️☺️

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  3. Ciao Gresi, anche a me è piaciuto molto il film :-)

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