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martedì, febbraio 04, 2020

Gocce d'inchiostro: Il piccolo amico - Donna Tartt

Il quadro era molto più complesso di quanto avessi immaginato. In quasi otto giorni trascorsi con Harriet, mi sono reputata sostanzialmente affascinata. Bene o male, Donna Tartt scrive dei libri bellissimi, scruta a fondo nell’animo dei suoi personaggi nell’attesa di una possibile rivelazione, e, senza demordere, ci induce a porci delle domande su ciò che talvolta ci riserva la vita e su quanto essa sia imprevedibile. Adesso, dopo le innumerevoli vicende vissute in Il piccolo amico e le ulteriori complicazioni di un brutale assassinio risalente a quasi quindici anni fa, osservata da diversi punti di vista e affrontata con un certo tatto. A questo proposito sarà il lutto a non renderci per niente liberi. Né ad una intelligentissima e appassionata lettrice come Harriet, né ai lettori a cui sono state ostacolate qualunque via di fuga. Curiosamente l’idea mi ha ampiamente ricordato quella sfruttata ne il bellissimo Il cardellino, ma certa nel non aver riscontrato le medesime sensazioni suscitate. A causa di un marasma di sensazioni, debolezze, ci collochiamo in una situazione spiacevole, quasi scomoda in cui uscirne è doppiamente difficile. Tuttavia, pur quanto sia stato evidente ciò la sua esperienza si è rivelata molto bella e intrigante. La cui vera e propria essenza si riassume nell’identificazione della natura del problema stesso, e nello scoprire chi sia il vero autore che lo minaccia quasi ossessivamente.



Titolo: Il piccolo amico
Autore: Donna Tartt
Casa editrice: Bur
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 685
Trama: Un’ombra cupa si stende sull’infanzia di Harriet Cleve, che cresce con la famiglia in una cittadina del Mississippi: è l’omicidio, senza colpevoli, del fratello Robin, impiccato a un albero del giardino quando lei era appena nata. Quella tragedia ha segnato tutta la famiglia, che non è più riuscita a superare il dolore. Per Harriet, Robin è il “ piccolo amico”, il legame con un passato felice che lei conosce solo attraverso le fotografie, i ricordi, i racconti dei familiari. Così, nell’estate in cui compie dodici anni, decide di scoprire l’assassino del fratello e di compiere la sua vendetta.



La recensione:

Quando vorrai arrenderti ma non lo farei. Quando imparerai a non fuggire più e a risplendere.

Mi sorprendo sorridere, mentre ripongo queste poche righe.Quando mi accorsi che Il piccolo amico si fosse concluso, che gli eventi che avevo previsto si fossero avverati, avevo intuivo il suo modus operandi ma non il suo finale credendo banalmente che non mi sarei aspettata nulla del genere. E il mio atteggiamento, a questo proposito, ha confermato le mie speranze, cancellando eventuali dubbi che mi ero posta sin dalle prime pagine. Io non ne sapevo assolutamente niente di questo << piccolo amico >>, e senza bisogno di troppe spiegazioni, spinta dall’amore che da qualche tempo a questa parte riservo alla sua autrice, ciò mi diede il diritto di trovarmi lì, e di ascoltare quello che aveva da dirmi.
Avevo ragione. In buona parte, perlomeno. Mi sono stupita nello scoprire e riscontrare una netta differenza fra questo e Il cardellino, ma soprattutto una Tartt acerba, ma ambiziosa e fedele ad alcuni dogmi cristiani, alcuni aspetti che dovrebbero porre l’individuo sotto una luce migliore, diversa, che nonostante tutto mi ha attanagliato nelle sue viscere come una silhouette intrappolata sullo sfondo, infuocata, misteriosa e ardente, forma di un’ombra scura che lentamente si consumerà fra le fiamme. Se la Tartt mi aveva ammaliato, conquistato con un volume di oltre novecento pagine prima o poi sarei dovuta imbattermi in questa opera, da qualunque parte io mi voltassi. Assemblare qualunque foglio scritto da questa donna era uno dei miei più grandi obiettivi, e sarebbe stato alquanto impensabile che potesse sfuggirmi. Chissà, forse questo era il momento adatto. Credo sia l’unica spiegazione logica.
Quella ritratta in Il piccolo amico, tuttavia, ha un chè di complicato, seducente, irriducibile nella ricca incomprensione di impressioni senza corpo, assediati da spiriti che credono costantemente al ricordo, per cui presente e futuro esistono esclusivamente in relazione alle vicende umane. I ricordi infatti sono la vera e propria linfa vitale di questa storia, e pur quanto si rievochi il passato non scorgono alcuna identità.
Un istante, un attimo purchè una tragedia ebbe il suo compimento. Donna Tartt ci offrì un compromesso, illudendo nel promettere solennemente un riscatto, un ritrovamento, e aggiungendo a prova della sua meticolosità stilistica che se per qualche ragione non avrebbe mantenuto parola data, i segnali disseminati nel romanzo e disposti avrebbero dovuto essere sottoposti ad interpretazione. Perché, se non ci avessi creduto, se non fossi stata così ingenua, non avrei letto e vissuto Il piccolo amico con la forsennata speranza di un contrappasso. Se nel frattempo fosse capitato qualcos’altro avrei dovuto leggere con più attenzione, restando ferma però alle intoccabili convinzioni che non ci sarebbe stato alcun lieto fine, e  che a me sarebbe toccato assistervi.
Da questo ne deriva quanto questa lettura mi abbia sbalordito, travolta nel suo freddo ma brutale abbraccio, trattenuta a stento dal non provare moti di empatia o compassione per una ragazzina di soli dodici anni a cui la vita le ha strappato furiosamente il fratello. Tanta gravità, tanta amarezza, tante pene che gravano su cuori semplici ma impossibili da addomesticare o ammorbidire. L’idea di perdere un figlio, un fratello, un nipote, un confidente, è di per se portatrice di grandi responsabilità, beneficio di alcune stranezze. La Tartt, decisa a dimostrarsi ben intenzionata nell’esagerare forse un po’ sui toni, qualunque fossero i suoi motivi, scrisse un romanzo a mio avviso bello ma forte e drammatico che non si lascia tentare ne scomporre da niente e nessuno. Sebbene la sua essenza non è intatta ma frammentaria e caotica, racchiusa nel disvelare un segreto che tuttavia non avrà mai una sua trasparenza. Naturalmente nascosto nell’importanza di come l’individuo affronta il lutto, nello stravolgimento seguito alla scomparsa del piccolo Robin  e che risucchia qualunque parvenza di felicità, ironia, spensieratezza. Immerso in immemori timori, ogni tanto scovolti e frantumati da forze esterne potenti e più scure.
Quanto a me, quando mi imbatto in certi tipi di romanzi trovare le parole è quasi sempre un’impresa alquanto ardua. L’idea di leggere Il piccolo amico mi aveva colta impreparata, e per quasi tutta la durata della sua lettura restai senza parole, col cuore pesante che gravava nel mio petto, pronta a confrontarmi con il peso immane che mi si era stato gettato tra le braccia. A quanto ho compreso, la Tartt ci parla della vita come ricca di insidie e percussioni e di come essa talvolta diviene tragica e indimenticabile. L’avevo compreso in un suo romanzo precedente, ora desidero riscoprirlo nel Dio di illusioni. Come potevo aspettarmi altrimenti? Come sarebbe stato possibile se ciò che descrive è così pregno di fatti ed eventi realmente accaduti che straziano il cuore e in cui l’unico modo per sopravvivervi è rifuggiarvi dentro una spessa coltrina di sogni, oppio e tenebra? Fra sogno e realtà come giochi ingannevoli, echi ed oscure ombre, luci riflesse che isolano ma descrivono perfettamente i personaggi: umani, vulnerabili, incompresi di cui spesso mi sono sorpresa del talento della Tartt nel fare ciò.
Tutti questi elogi mi imbarazzano. C’è dietro la convinzione, così intensa e caparbia, che quando leggo qualcosa di Donna Tartt mi sembra quasi di sentire parlarla attraverso funnamboli che vagano sul sentiero insidioso della vita, pronunciando quelle giuste parole che in un modo o nell’altro tracciano l’anima. Il piccolo amico, ammetto, pur quanto bello e sconvolgente, sorprendente e magnetico, non lo considero alla pari de Il cardellino in quanto l’emozioni che ha sortito la sua lettura non hanno la medesima potenza di quest’ultimo. Eppure è un grande romanzo, capace di penetrare a fondo nelle persone, modificare la loro vita, sconvolgere la mia. E a poco a poco, mi rendo conto di quanta forza comprendono queste parole. Dentro di me c’è una piccola creatura che agogna la libertà, e il forte e insopprimibile desiderio dei personaggi tarttiani di essere liberi coincide perfettamente con il mio. Che comprende e riesce a fiutare, senza alcun vanto, e da milioni e milioni di distanze, la validità di una storia, guadagnandomi un certo pregio, un certo valore che nemmeno il tempo o l’incuria potrà sciupare.
Valutazione d’inchiostro: 4

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