Titolo: Il piccolo amico
Autore: Donna Tartt
Casa editrice: Bur
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 685
Trama: Un’ombra cupa si stende sull’infanzia
di Harriet Cleve, che cresce con la famiglia in una cittadina del Mississippi:
è l’omicidio, senza colpevoli, del fratello Robin, impiccato a un albero del
giardino quando lei era appena nata. Quella tragedia ha segnato tutta la
famiglia, che non è più riuscita a superare il dolore. Per Harriet, Robin è il “
piccolo amico”, il legame con un passato felice che lei conosce solo attraverso
le fotografie, i ricordi, i racconti dei familiari. Così, nell’estate in cui
compie dodici anni, decide di scoprire l’assassino del fratello e di compiere
la sua vendetta.
La recensione:
Quando vorrai arrenderti ma non
lo farei. Quando imparerai a non fuggire più e a risplendere.
Mi
sorprendo sorridere, mentre ripongo queste poche righe.Quando mi accorsi che Il piccolo amico si fosse concluso, che
gli eventi che avevo previsto si fossero avverati, avevo intuivo il suo modus
operandi ma non il suo finale credendo banalmente che non mi sarei aspettata
nulla del genere. E il mio atteggiamento, a questo proposito, ha confermato le
mie speranze, cancellando eventuali dubbi che mi ero posta sin dalle prime
pagine. Io non ne sapevo assolutamente niente di questo << piccolo amico
>>, e senza bisogno di troppe spiegazioni, spinta dall’amore che da
qualche tempo a questa parte riservo alla sua autrice, ciò mi diede il diritto
di trovarmi lì, e di ascoltare quello che aveva da dirmi.
Avevo
ragione. In buona parte, perlomeno. Mi sono stupita nello scoprire e
riscontrare una netta differenza fra questo e Il cardellino, ma soprattutto una Tartt acerba, ma ambiziosa e
fedele ad alcuni dogmi cristiani, alcuni aspetti che dovrebbero porre l’individuo
sotto una luce migliore, diversa, che nonostante tutto mi ha attanagliato nelle
sue viscere come una silhouette intrappolata sullo sfondo, infuocata,
misteriosa e ardente, forma di un’ombra scura che lentamente si consumerà fra
le fiamme. Se la Tartt mi aveva ammaliato, conquistato con un volume di oltre
novecento pagine prima o poi sarei dovuta imbattermi in questa opera, da
qualunque parte io mi voltassi. Assemblare qualunque foglio scritto da questa
donna era uno dei miei più grandi obiettivi, e sarebbe stato alquanto impensabile
che potesse sfuggirmi. Chissà, forse questo era il momento adatto. Credo sia l’unica
spiegazione logica.
Quella
ritratta in Il piccolo amico,
tuttavia, ha un chè di complicato, seducente, irriducibile nella ricca
incomprensione di impressioni senza corpo, assediati da spiriti che credono
costantemente al ricordo, per cui presente e futuro esistono esclusivamente in
relazione alle vicende umane. I ricordi infatti sono la vera e propria linfa
vitale di questa storia, e pur quanto si rievochi il passato non scorgono
alcuna identità.
Un
istante, un attimo purchè una tragedia ebbe il suo compimento. Donna Tartt ci
offrì un compromesso, illudendo nel promettere solennemente un riscatto, un
ritrovamento, e aggiungendo a prova della sua meticolosità stilistica che se
per qualche ragione non avrebbe mantenuto parola data, i segnali disseminati
nel romanzo e disposti avrebbero dovuto essere sottoposti ad interpretazione. Perché,
se non ci avessi creduto, se non fossi stata così ingenua, non avrei letto e
vissuto Il piccolo amico con la
forsennata speranza di un contrappasso. Se nel frattempo fosse capitato qualcos’altro
avrei dovuto leggere con più attenzione, restando ferma però alle intoccabili
convinzioni che non ci sarebbe stato alcun lieto fine, e che a me sarebbe toccato assistervi.
Da
questo ne deriva quanto questa lettura mi abbia sbalordito, travolta nel suo
freddo ma brutale abbraccio, trattenuta a stento dal non provare moti di
empatia o compassione per una ragazzina di soli dodici anni a cui la vita le ha
strappato furiosamente il fratello. Tanta gravità, tanta amarezza, tante pene
che gravano su cuori semplici ma impossibili da addomesticare o ammorbidire. L’idea
di perdere un figlio, un fratello, un nipote, un confidente, è di per se
portatrice di grandi responsabilità, beneficio di alcune stranezze. La Tartt,
decisa a dimostrarsi ben intenzionata nell’esagerare forse un po’ sui toni,
qualunque fossero i suoi motivi, scrisse un romanzo a mio avviso bello ma forte
e drammatico che non si lascia tentare ne scomporre da niente e nessuno. Sebbene
la sua essenza non è intatta ma frammentaria e caotica, racchiusa nel disvelare
un segreto che tuttavia non avrà mai una sua trasparenza. Naturalmente nascosto
nell’importanza di come l’individuo affronta il lutto, nello stravolgimento
seguito alla scomparsa del piccolo Robin
e che risucchia qualunque parvenza di felicità, ironia, spensieratezza. Immerso
in immemori timori, ogni tanto scovolti e frantumati da forze esterne potenti e
più scure.
Quanto
a me, quando mi imbatto in certi tipi di romanzi trovare le parole è quasi
sempre un’impresa alquanto ardua. L’idea di leggere Il piccolo amico mi aveva colta impreparata, e per quasi tutta la
durata della sua lettura restai senza parole, col cuore pesante che gravava nel
mio petto, pronta a confrontarmi con il peso immane che mi si era stato gettato
tra le braccia. A quanto ho compreso, la Tartt ci parla della vita come ricca
di insidie e percussioni e di come essa talvolta diviene tragica e
indimenticabile. L’avevo compreso in un suo romanzo precedente, ora desidero
riscoprirlo nel Dio di illusioni. Come
potevo aspettarmi altrimenti? Come sarebbe stato possibile se ciò che descrive
è così pregno di fatti ed eventi realmente accaduti che straziano il cuore e in
cui l’unico modo per sopravvivervi è rifuggiarvi dentro una spessa coltrina di
sogni, oppio e tenebra? Fra sogno e realtà come giochi ingannevoli, echi ed
oscure ombre, luci riflesse che isolano ma descrivono perfettamente i
personaggi: umani, vulnerabili, incompresi di cui spesso mi sono sorpresa del
talento della Tartt nel fare ciò.
Tutti
questi elogi mi imbarazzano. C’è dietro la convinzione, così intensa e
caparbia, che quando leggo qualcosa di Donna Tartt mi sembra quasi di sentire
parlarla attraverso funnamboli che vagano sul sentiero insidioso della vita,
pronunciando quelle giuste parole che in un modo o nell’altro tracciano l’anima.
Il piccolo amico, ammetto, pur quanto
bello e sconvolgente, sorprendente e magnetico, non lo considero alla pari de Il cardellino in quanto l’emozioni che
ha sortito la sua lettura non hanno la medesima potenza di quest’ultimo. Eppure
è un grande romanzo, capace di penetrare a fondo nelle persone, modificare la
loro vita, sconvolgere la mia. E a poco a poco, mi rendo conto di quanta forza
comprendono queste parole. Dentro di me c’è una piccola creatura che agogna la
libertà, e il forte e insopprimibile desiderio dei personaggi tarttiani di
essere liberi coincide perfettamente con il mio. Che comprende e riesce a
fiutare, senza alcun vanto, e da milioni e milioni di distanze, la validità di
una storia, guadagnandomi un certo pregio, un certo valore che nemmeno il tempo
o l’incuria potrà sciupare.
Valutazione d’inchiostro: 4
Molto interessante, grazie per la recensione
RispondiEliminaGrazie a te ☺️☺️
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