A metà di un mese interminabile, crudele ma beneficiario, vidi un
autore che conobbi quasi sette anni fa fendere un muro di acqua e oltrepassare
i miei confini. Venne nella mia direzione, avanzando imperterrito verso di me
ben malgrado la brusca accoglienza che qualche anno fa gli concessi, e quando
fummo abbastanza vicini e vidi che di David Mitchell ricordavo effettivamente
molto poco, mi venne in mente che con una delle sue opere – l’unica che compongono
gli scaffali delle mie strapiene librerie -, sette anni fa, avevo provato ad avventurarmi fra le
maglie di una storia non propriamente semplice, epica ma proiettata su uno
sfondo fuligginoso, ombroso, a cui ci si aggrappa mediante un certo umorismo
pur di restare vivi, intatti, non lasciandosi contagiare dalla malinconia o
dalla solitudine. Io però non ero stata molto attenta e mi rimase poco impresso
della sua storia, che è piuttosto ingarbugliata, ricordando come di mezzo c’era
un << organismo artificioso >> che avrebbe messo in ordine ogni
cosa. Un universo di predatori, amorali e senza Dio, discretamente riservati e
lontani.
Un periodo di maggior accuratezza, proprio come questo, non mi
sottrasse a dover dedicare quel tempo prezioso a leggere quei romanzi,
quelle storie, che solitamente mi trovo a dover procrastinare. Da una nave
gigantesca, o un diario ricco di pensieri e sentimenti, questa volta, dunque,
non ho potuto sottrarmi, e sebbene la tipologia di romanzo raccontata da
Mitchell non si sposa con i miei gusti personali ha resuscitato un chè di
lontano, quasi remoto che mi ha trasformato in una giovane paladina siciliana
che, dopo aver sorvolato cieli di infinita bellezza, scrutato l’anima di
chiunque, si è sentita parte di un cosmo infinito, la cui composizione a
matriosca è uno squarcio di anime, di elementi racchiusi in altri elementi nel
quale percepiamo il passato ma lo affrontiamo come se immersi nel presente.
Titolo: Cloud Atlants. L’atlante delle nuvole
Autore: David Mitchell
Casa editrice: Pickwick
Prezzo: 12, 90 €
N° di pagine: 600
Trama: I sei protagonisti di “Cloud Atlas – L’atlante delle nuvole
“ vivono in punti e momenti diversi del mondo e del tempo, eppure fanno parte
tutti di un unico schema, una specie di matrioska composta da sei personaggi
uniti l’uno all’altro dal filo sottile e inestricabile del caso. Le loro anime
si spostano come nuvole, passando dal corpo di un notaio americano di metà
Ottocento, giunto su un’isola del Pacifico per assistere ai devastanti effetti
del colonialismo, al giovane musicista che si intrufola nell’esistenza di un
celebre compositore belga tra le due guerre mondiali. Da un’intrepida
giornalista che indaga sull’omicidio di uno scienziato antinucleare in piena
guerra fredda, a un editore inflese in fuga dai creditori nella Londra anni
ottanta, sino a un clone schiavizzato nella Corea del prossimo futuro. Per arrivare
infine all’alba del nuovo mondo – all’indomani dell’Apocalisse – e al suo
primitivo, stupefatto abitante.
La recensione:
Com’è volgare questa caccia all’immortalità,
quanto è vana, quanto è falsa. I compositori sono puri e semplici scribacchini
di pitture represti. Si scrive musica solo perché l’inverno è eterno e perché senza
i lupi e le tempeste di ghiaccio ci azzanerebbero alla gola anche prima.
Le vicende narrate da David Mitchell erano molto più complicate di
quel che credevo; una composizione epica ma a matrioska, paragonabile a diversi
romanzi del genere, attanagliata dal forte fragore di voci concitate, agitate,
perse, mi avevano accettata senza alcun riserbo. Adesso che ho desiderato
sorvolare i cieli dell’Atlante delle nuvole, bisognava scorgere una veridicità
particolare a ciò per cui ci si approccia, più nascosta, pur di non sprofondare
nel dissidio. Avrei potuto cedere e dirigere i miei interessi verso tutt’altra
direzione, ma senza dubbio quella parte << romantica >> con il
quale l’individuo scruta il suo animo, interpreta i meccanismi contorti del suo
cuore, mescola una serie infinita di colori, volgarizzati però nel linguaggio. Intrappolato
nel tempio della civiltà, nelle cui crepe esistono i cosiddetti conoscitori del
mondo e il cui ruolo è celato nell’importanza di dare maggior splendore ad una
civiltà che lentamente sta per estinguersi.
Il mio animo giovane, intrepido e romantico sa perfettamente come
la penso su questo punto, quando mi imbatto nella lettura di certi romanzi. L’ho
sempre saputo, e anche se la sua anima non combacia in buona parte alla mia, le
rispetto e non cerco di cambiare idea, pur quanto non nascondo che a volte sono
stata tentata, i giorni in cui mi batto per colmare lacune che lentamente
avrebbero sorretto il mio bagaglio culturale sono infiniti, e mai periodo fu
più adatto per non accettare questa ennesima scommessa. Una scelta emotiva e
irrazionale, forse, ma pur sempre un atto d’amore.
David Mitchell ha inconsapevolmente lanciato un nuovo progetto,
nel lontano 2013, di cui la trasposizione cinematografica con Tom Hanks e Halle Berry crebbe fagocitando nell’assoluto
la fama nel mondo. Uno dei requisiti di questo romanzo è certamente una buona introspezione
psicologica, che mediante situazioni estremamente convenzionali, ci pone
dinanzi all’idea che l’individuo è un essere imperfetto ma composto di una
massa indivisibile impossibile da scindere. Sebbene in realtà non è così: il
bello della razza umana è l’essere diversi e spiccare fra gli altri è uno dei
migliori sintomi pur di evolversi. David Mitchell evidenzia questa diversità
nell’affannosa lotta per il progresso imponendoci dinanzi a delle situazioni
necessarie a riconoscere e conoscere chi non ha mai avuto riflettori addosso. Un
legame tra uomo e specie che non potrà mai essere reciso. E questo è uno dei
temi più importanti di Cloud Atlants.
Questa << fusione >> che in un certo senso scruta verità inespugnabili
e insopprimibili, ma così evidenti da muoversi come nuvole invisibili in una
mappa raggrinzita e vecchiotta.
Certamente quello di Mitchell comprende un numero spropositato di
ricerche, studi approfonditi sul campo, prodigi della scienza con punteggi
stratosferici per il bene dell’umanità da non lasciarci la minima possibilità
di perplessità o dubbio. Cloud Atlants,
a questo proposito, è un romanzo antropologico in quanto gli episodi che
centellinano queste pagine, lo zelo per certi principi sono attualissimi ma
lontani dai miei paradigmi. Man mano che mi sono avventurata fra le sue pagine,
la mia coscienza subii i primi effetti di qualcosa di diverso. Una ventata di
originalità, organizzazione, crescita, un meccanismo oliato e preciso che
fecero evaporare qualunque ondulazione, qualunque scrematura.
Sebbene mi si sia rivolto con una certa difficoltà, trattando un
argomento per nulla facile ma che in un certo senso cela sempre un chè di
drammatico, umiliazioni inflitte a uomini comuni ma soli e incompresi dalla
vita, Cloud Atlants ci parla del
potere che detiene l’uomo e come gestirlo pur di non essere soggiogati dal
fragore del mondo. Ritenendo adeguata la presenza di quei luminari nel
redarguire la loro vicinanza nel momento in cui meno me lo sarei aspettata. Gloriata
da frenetiche ma travolgenti situazioni che Mitchell ci propina a piccole dosi,
mediante uno sguardo arguto, intellegibile, sarcastico che rievoca il passato
come una malattia da cui non si può più guarire.
Gruppi di anime, agili e spedite come nuvole bianche e soffici, si
posarono dinanzi al mio cerchio personale. Ogni tanto squarci di puro e sano
romanticismo, ogni tanto la purezza del cuore di giovani che inesorabilmente si
stanno avvicinando sempre più in un luogo da cui non avrà più scampo, Mitchell
interseca una tela fitta di parole e voci che respirano e vivono mediante un
processo di << composizione >> da cui è davvero impossibile non
restarne affascinati. Il romanzo, infatti, impiega una tipologia di
immaginazione piuttosto caotica, antropologica, scomoda, che richiama certe inchieste poste sul campo in cui l’individuo
coglie la realtà circostante come metodologia di studio. Da ciò è stato
possibile cogliere quella magia di cui molti lettori consacravano questo
romanzo, dopo un lungo processo di lettura, constatato sulla mia pelle nel
momento in cui l’atto del sopravvivere diviene quel ponte magico che mette a
contatto due mondi bellissimi ma differenti fra loro. Non intesa nel senso più
stretto del termine, quanto come un dettaglio dal quale avranno vita tante
cose.
Le anime attraversano l’età come
le nuvole e i cieli, e anche se le nuvole cambiano spesso forma, colore e
dimensione, una nuvola è sempre una nuvola e un’anima è un’anima. Chissà chi
soffia le nuvole e chissà come sarà la mia anima domani?
Valutazione d’inchiostro: 3 e
mezzo
Il film l'ho amato, fantasioso e struggente. Il romanzo mi spaventa un po'.
RispondiEliminaIo ho letto il romanzo, ma non credo guarderò nell'immediato il film... Vedrò 🙂🙂
EliminaCiao Gresi :D
RispondiEliminaGià dall'introduzione ci hai catapultato in un mondo parallelo al nostro! Insomma, questo romanzo ti ha lasciato un'atmosfera mistica dentro ^-^ Le 600 pagine mi fanno un po' paura perché non è un genere a cui sono molto abituata
Ciao, Franci! 🙂🙂 Grazie mille ☺️☺️ è una lettura particolarmente impegnativa, che ho letto ma non credo lo rifarei ☺️☺️ e anche il film, non so se lo vedrò. Perlomeno, non adesso ☺️☺️
EliminaMi fa un po' paura.. ottima recensione, grazie
RispondiEliminaGrazie a te ☺️❤️
EliminaThanks ☺️
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