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lunedì, marzo 09, 2020

Gocce d'inchiostro: L'albero della vergogna - Ramiro Pirilla

Le mie letture contano sempre periodi alquanto brevi. Intensi ma brevi, e quello di Ramiro Pinilla non è un’eccezione che tuttavia mi ha piacevolmente colpita, intrigata, appassionata, ospitandomi in un gruppo di cittadini che ambiscono alla rivoluzione e alla restituzione di certi dogmi oramai perduti. Cattolici, ebrei, atei, guerrieri, una popolazione gran parte umile, lavoratrice, le cui famiglie arrivarono a Franco, piccolo paesino di Gexto, ma resi nell’immediato monocromatici della contea dei Paesi Bassi. Anche dopo tanto tempo, a qualche anno di distanza dalla liberazione della città dal regime nazista, perdurano tracce di antisemitismo, in genere sotto forma di bisbigli, sussurri, sorrisi di circostanza che per qualche momento ti illudono nel poter dimenticare le montagne di fuoco appiccate alle loro case, quando meno se lo aspettarono.
L’albero della vergogna sarebbe stata quella proiezione astrale e trascendentale che aspira alla restaurazione di un regime frammentario da cui sembra non ci sia alcuna via d’uscita. L’autore, spagnolo di nascita nonché presente alle vicende che si snodano in questo romanzo, abbracciando la scrittura ma poi anche altri umili mestieri, nella nettezza di certi dogmi o paradigmi, ricerca tramite imprese a suo rischio come promesse dinanzi alla morte, segreti la possibilità di passare il resto della vita nella terra natia.
Una creatura di questo genere è racchiusa nelle fragili membra di un uomo adulto ma dall’età indefinita, che susciterà ammaliamento e fervore, rimpiattato in se stesso come un intrepido animale prigioniero in uno zoo, che dalla sua postazione preferita osserverà con calma il sentiero insidioso che la vita gli ha riservato, domandosi chi avrà il coraggio di percorrerlo ma soprattutto di sopravvivere a tutto ciò che sarà concesso.

Titolo: L’albero della vergogna
Autore: Ramiro Pirilla
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 279
Trama: All’indomani della vittoria di Franco, il piccolo paesino di Gexto, nei Paesi Baschi, è un luogo paralizzato dalla paura: rappresaglie ed esecuzioni da parte di << quelli della Falange >>, sono all’ordine del giorno, e poco a poco gli uomini stanno scomparendo: alcuni sono caduti in guerra, altri vengono portati via in passeggiate dalle quali non si fa più ritorno, oppure fucilati di fronte alle loro famiglie, fra le grida delle loro donne. Ma chi c’è dall’altra parte? Altri uomini. Questa è la storia di Rogelio Ceròn, uno di loro, un falangista ventenne che fa quello che fa senza sapere bene perché. Un giorno uccide un maestro repubblicano sotto lo sguardo del figlio, un bambino di dieci anni; per lui niente sarà mai più lo stesso, quegli occhi gli rimarranno impressi nella memoria per sempre: occhi fissi, freddi, che non piangono, ma che promettono vendetta. Trent’anni dopo, gli abitanti del paesino si chiederanno quale mistero si celi dietro la figura solitaria del << pover’uomo della baracca >>, che da molto tempo conduce una vita da eremita prendendosi cura di un albero di fico, sopportando in silenzio l’assedio di un vicino convinto che sotto la pianta ci sia un tesoro. Cosa si nasconde, realmente, sotto quell’albero? Qual è il suo significato?



La recensione:
Ramino Pirilla fu uno dei migliori narratori spagnoli del Novecento. Dalla carnagione scura, origini est europee depositate su orgini più antiche e più profonde nei deserti meridionali, l’astro nascente di abbracciare la letteratura come rimedio ai malesseri della vita, la scialuppa di salvataggio dinanzi ai melodrammi spagnoli di inizio novecento e delle pellicole in bianco e nero, sfociò all’improvviso, e, nell’immediato, divampò come un fuoco ribelle, ardente. Stile semplice, prosa poetica e delicata, gesti poco eclatanti ma significativi, mai frettolosi o snervati, calmo e mansueto, per molti versi il pregrussore del poeta e scrittore americano William Faulkner. Non tagliente o di forte impatto, ma brillante come brillante sono i temi che abbraccia in questo romanzo, ma più riflessivo e posato sicuramente per via di quello che ha passato assieme alla sua famiglia, intimo e tormentato dai tormenti della vita, sufficientemente audace nel trascrivere una storia che richiama il passato. L’albero della vergogna non era destinato a rivolgersi a me, né al momento che di letture più urgenti ne ho a bizzeffe, ma ciò che racchiudono le sue pagine mi conquistarono non perché denunciano una certa esperienza sull’arte e sulla seduzione con la quale l’uomo si rivolge con una certa attenzione, bensì perché anela ad ottenere una certa intimità. Ed infatti, di quest’uomo relegato volontoriamente sotto un albero di fico, è evidente come anela dell’intimità con qualcuno. Lo toccasse, lo baciasse, sebbene dietro a questo suo gesto folle e insensato non ci sia una vera e propria ragione, le cui carezze o attenzioni avrebbero cancellato alcun bisogno. Per il momento sarebbe bastato questo, poi sarebbero approdati quei momenti più complessi in cui sarebbe stato necessario scavare nel profondo.
Atti in cui si agogna libertà, crolli, distruzioni, senza contare di parole che vanno al di là del loro significato, comunicazione mediante gesti, sguardi, pochi scambi verbali solo sulle questioni più pressanti, non un vero e proprio incontro bensì l’assimilazione di un processo di conoscenza dalla quale nascerà un’intesa, una mancanza di inibizioni non proprio nuova nel settore letterario che fluisce da pori impiastriciati, in cui si accettano le paure e qualunque disperazione, ma si lotta al fine di scovare un posto migliore. Un mondo che non sia contaminato, rozzo, cruento, dominato dal terrore o dalle insicurezze.
A volte, è naturale che letture che abbracciano questo tipo di temi possano annoiare. Che sia scritto benissimo o con delicatezza e lirismo non ha importanza, perché importa poco delle cose che ci circondano. Il processo di lettura di Pirilla, lo confesso, non è stato propriamente entusiastico, né mi ha avvinto nelle maglie di una narrazione desta o attizzante in cui ogni tanto mi sono sorpresa nel perdere la direzione, ma non riuscendo a rompere o stroncare definitivamente alcun legame. La dolcezza di un cuore oramai prossimo all’età adulta è stata davvero irresistibile e i momenti di noia necessari, l’unica cosa che non mi ha concesso di attribuirgli il massimo, che mi ha permesso di comprendere i motivi per cui l’individuo è un povero relitto che vaga lungo la riva dell’assurdo senza alcun motivo, fin quando non conquisterà o otterrà nuovamente la coscienza o l’impeto delle virtù nazionali perse. Pur di restare in stretto contatto con Dio, affinchè non fosse prescindibile al concetto di Patria, dovrebbe essere una nuova rinascita. Un atto di liberazione o mutamento, e niente di tutto questo sarebbe stato possibile se nonché l’uomo non si fosse interrogato sul senso della vita e sulle possibilità che gli si prospettano. Fra le pagine di L’albero della vergogna si è consapevoli di come bisogna essere grati nell’aver attorno quei pochi famigliari, ad aver ancora intatti quei legami che non inducano alla solitudine. Perché di solitudine il cuore dei personaggi di Ramiro Parilla è colmo, e ciò denota come l’autore stesso era legato alla sua famiglia, alla propria terra. Era così compatto a questa forma d’unità che certamente non avrebbe mai voluto separarsene.
L’albero della vergogna ha un’aura che sfugge a qualunque definizione precisa, anche se non poche volte mi sono chiesta cosa in effetti la renda inconfondibile, così diversa da altri romanzi che ci sono in circolazione. Dipende forse da quel misto di eleganza e tran tran quotidiano, dove però l’eleganza non è mai ammantata dal tran tran quotidiano. I modi delicati, controllati dell’autore convivono con le tendenze culturali e antropologiche di questo popolo spagnolo, in cui non vi è alcun rancore, e di cui lo stesso romanzo sembra essere pervaso da un’atmosfera pacifica, sebbene reduce da massacri e discriminazioni. Un’instantanea: l’ultimo bacio di un condannato, il commiato a una via di rendenzione o libertà. Ecco l’aura faulkneriana, o una delle sue fugaci emanazioni, e quando l’autore americano si interroga sulle condizioni su cui sono condannati il popolo americano, quando descrive i timori o le paure nel poter perdere qualunque cosa, si domandava cosa sarebbe accaduto se ci fosse stata una maggiore resistenza. Ecco cosa accomuna Pirilla e Faulkner: l’individuo è un essere imperfetto ma fin quando sarà libero non deve farsi sopraffare dal male bensì contrastarlo definitivamente.
Da questa lettura ho compreso tante cose, e adesso comprendo i motivi per cui Pirilla sia così popolare in patria. L’albero della vergogna lamenta come un fantasma annunciatore di dispiaceri, costrinzioni, racconto di una generazione che attraversa un intero popolo. L’ambiente circostante evidenzia la condizione degli stessi protagonisti, centellinati su un paesaggio butterrato da ceppi, profondamente silenziosi ma solidali perché desiderosi nel tenere compatti certi dogmi. E, dalle tonalità accese ma non complicate, storia che mi è comparsa in una certa maniera ma alquanto diversamente dall’universo parallelo che celano alcuni splendidi romanzi. Ma intrappolata nelle maglie di una storia a cui ho dedicato del tempo, attenzione, scrupoli, che evidenzia la condizione umana e il suo modo di sopravvivere.

Valutazione d’inchiostro: 4-

8 commenti:

  1. Molto interessante e diverso dal solito, ottima recensione, grazie

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  2. Ah aspettavo questa recensione! <Sembra una piccola pillola di felicità, grazie ** In effetti ioe ro rimasta colpita solo dalla copertina, ma leggendoti mi sa che devo acquistarlo anch'io

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    1. Grazie a te! A me è piaciuto, e non ne sconsiglio la lettura ☺️☺️

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  3. Copertina a parte, non troppo mi chiama...

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  4. grazie per la tua visita al mio blog😊
    Adoro leggere le recensioni dei libri.
    Saluti dalla Turchia😊

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