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domenica, aprile 26, 2020

Gocce d'inchiostro: Il barone rampante - Italo Calvino e Niente - Janne Teller

Una delle cose più belle di questo terrificante periodo sono le letture, organizzate a seconda del mio umore, delle mie predisposizioni, dei miei progetti, due mesi di piacevolissime scoperte, viaggi avvincenti dall’inizio di marzo sino a fine aprile, ovvero il massimo divertimento che ho potuto concedermi dopo aver preso consapevolezza che sarei rimasta lontana da tutto, da tutti, da ogni cosa, e questo sarebbe stato quel giusto compenso che ha coperto queste settimane monotone e ripetitive. Fra questi immancabili scoperte, ci sono stati romanzi che mi hanno concesso l’opportunità di immergermi il più possibile e inevitabilmente in mondi straordinari e indimenticabili che hanno padroneggiato sulla mia coscienza, come il fulcro fondamentale per il quale si muovono le cose. Tra questi, due letture che mi hanno piacevolmente stupito, una di uno scrittore la cui conoscenza avevo approfondito qualche anno fa, e un'altra che fu quel ponte che collegò un mondo inesplorato e mai visto. Per me, fu la prima volta de Il barone rampante e di Niente, con un repentino viaggio di attaccare discorso con gente che legge libri, conversa con personaggi fantastici o eccentrici, osservano il mondo con occhi diversi a dispetto del prossimo, in pagine che sono un guazzabuglio di idee strambe, assurde o divertenti che avranno sfogo nella coscienza del prossimo, perpetuate con pazienza e parsimonia.

Titolo: Il barone rampante
Autore: Italo Calvino
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 11 €
N° di pagine: 240
Trama: Il 15 giugno del 1767 il baroncino Cosimo Piovasco di Rondò decide di salire su un albero del suo giardino e da lì non scenderà per il resto della sua vita. Quello che all’apparenza sembra un capriccio per evitare di mangiarsi su un piatto di lumache preparato dalla sorella Battista si tramuta in un gesto ribelle che rivoluzionerà la sua intera esistenza. Né minacce di castighi né promesse di perdono gli faranno cambiare idea e tutti i suoi famigliari dovranno alla fine rassegnarsi e accettare la sua scelta assurda quanto incomprensibile. Sugli alberi, Cosimo vivrà giorni liberi, all’insegna dell’avventura e dell’intraprendenza, imparerà a badare a se stesso e ad amare e proteggere la natura che lo circonda, e non mancheranno certo amicizie stravaganti.







La recensione:
Non ci sono mosche né zanzare fra le pagine di Il barone rampante, l’aria magica, surreale e malinconica che si respira odora di fiabesco, come piccole pastiglie dolci/amare al gusto di eucalipto perché riposto in un unico luogo, un albero maestro e immortale, il cui profumo penetrante pulì le mie cavità nasali ogni volta che inspiravo. Cosimo Piovasco di Rondò, stabilitosi sulle fronde di questo albero maestro nel bel mezzo della campagna di un piccolo luogo immaginario, fu l’unico ad aver discosto una tendina invisibile che mediante affetti o legami osserva il mondo circostante.
Il mondo ritratto dall’autore in questo splendido romanzo, mi è sembrato bizzarro non tanto quanto un posto assurdo quanto un posto reale, un presidio urbano che accolse migliaia di lettori di qualunque sesso o età, progettato da una mente acuta e perspicace che non tollerava il fatto che il ricordo di un suo caro amico non potesse essere perpetuato nel tempo, cosa che invece rese Il barone rampante una lettura magnifica e indimenticabile. Un pittoresco viaggio << da poltrona >> i cui svariati episodi delineano la vera e propria identità di un piccolo grande uomo, mediante il quale è stato possibile tendere l’orecchio. Ascoltare un frastagliato respiro, in cui si cerca di immaginarlo protetto nell’alveola famigliare, osservando minuscole scenografie di una galleria di immagini, suoni e colori che riesumeranno un frammento di vita che si credeva perduto. Disgraziatamente per me, non vi ho soggiornato per troppo tempo, sebbene il mio fosse un intento con ogni onore possibile, versato inaspettatamente come un liquido incandescente nel mio cuore, principalmente perché sono convinta che questo è davvero un classico per eccellenza. Dotato di un sottile incanto, una forte somiglianza con quei romanzi di stampo medievale che, riflettendoci, è un insegnamento di vita, piccolo ma peculiare e morale che ci rende unanimi nell’osservare il cielo come quello sprazzo di vita in cui vi è ricamato il nulla. Assomiglia allo stesso filo d’inchiostro col quale l’autore ci avvolge nella bellezza di un sogno ricco di idee e parole finite. Forse è qualcosa che ha a che fare con l’amore, intenso non nel vero e proprio senso del termine bensì nell’atteggiamento peculiare di ammirazione e ammaliamento nell’aver potuto osservare uno spettacolo comune, moderno, nel quale l’uomo è nel momento più vulnerabile della sua vita. Sempre manovrato da un abile marionettista, spinto dalla voglia di rinascere, sfuggire da un mondo che concede poco e niente.
Ed è così che, alla fine, mi sono arrampicata anche io in questo prorompente albero maestro. Entusiasta di aver conosciuto e stretto amicizia con questo impavido e bizzarro personaggio, che trascorrerà i giorni della sua vita sulla cima di un frondone, prima oziando tutto il giorno poi esplorando il mondo circostante come un fine conoscitore di svariati argomenti, non solo di chi stanziava per qualche momento sotto le sue fronde ma anche di chi ha fatto parte dell’infanzia di Cosimo, del modo diverso di osservare le cose mediante immaginazione, del piacere e la frustazione di accettare quella sfida che ci insegna come, per svariati motivi, talvolta è necessario esporsi per risparmiarci l’umiliazione di essere delusi, per usare un eufemismo. Perché nessuno dotato di buon senso accetterebbe chi o cosa lo sovrasta senza combattere, senza far sentire la propria voce in un mondo che non ha voce. Ed io, come Cosimo, ho sempre odiato riscontrare nei personaggi dei classici che più amo, questa inutile impasse che ti induce a non credere alla vita, a ciò per cui vale la pena combattere. Alla folle idea che bisogna avere paura, timore, e non poter combattere quando sarebbe stato necessario.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

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Titolo: Niente
Autore: Janne Teller
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 8, 50 €
N° di pagine: 119
Trama: “Se niente ha senso, è meglio non far niente piuttosto che qualcosa “ dichiara un giorno Pierre Anthon, tredici anni. Poi, come il barone rampante, sale su un albero vicino alla scuola. Per dimostrargli che sta sbagliando, i suoi compagni decidono di raccogliere cose che abbiano un significato. All’inizio si tratta di oggetti innocenti: una canna da pesca, un pallone, un paio di sandali, ma presto si fanno prendere la mano, si sfidano, si spingono più in là. Al sacrificio di un adorato criceto seguono un taglio di capelli, un certificato d’adozione, la bara di un bambino, l’indice di una mano che suonava la chitarra come i Beatles. Richieste sempre più angosciose, rese vincolanti dalla legge del gruppo. È ancora la ricerca del senso della vita? O è una vendetta per aver dovuto sacrificare qualcosa a cui si teneva davvero? Abbandonati a se stessi, nella totale inesistenza degli adulti e delle loro leggi, gli adolescenti si trascinano a vicenda in un’escalation d’orrore. E quando i media si accorgono del caso, mettendo sottosopra la cittadina, il progetto precipita verso la sua fatale conclusione.

La recensione:

E' tutto inutile. perché tutto comincia solo per finire. Nel momento in cui siete nati avete cominciato a morire. Ed è così per tutto.

Nel periodo di letture che intercorse da un romanzo a un altro, una storia e un'altra, nella mia wishlist svettava quella di un autrice danese che con il suo romanzo, Niente, suscitò scalpore e controversie con quelle che io sono solita chiamare << fumo negli occhi >>, che riempiono talvolta testate giornalistiche di vari ipotesi o critiche per invitare il lettore a stare all’erta, se desideroso di andare a fondo in qualcosa di poco rassicurante: descrizioni di personaggi, eventi o conseguenze il cui effetto hanno spesso quello della luce sulla neve. Monologhi con la voce di altre persone per diventare quella dell’autrice mediante il quale si prova a comprendere a fondo qualunque controversia, cosa ci sia alla base di una storia.
Personalmente, ho sempre creduto si trattino di imitazioni di lettori vecchi o invidiosi che, nell’opera di quell’autore, riscontrano qualcosa di inimitabile, qualcosa che sarà impossibile comporre nuovamente, usando un verbo al posto di un altro. Ma, pur quanto sono sempre stata estimatrice di questa idea, credo che Niente questa volta personifica esattamente questo ruolo. La sua autrice ha cioè composto qualcosa di tangibile, basato su una vecchia fabula medievale, per sentire i ritmi, il battito, le ossa di un suo figlio di carta, impelagato in vicende che si spostano di capitolo in capitolo, cambiando a seconda degli incontri o dei personaggi, in un caos di scrittura automatica che conferisce – come ne Il barone rampante – la sensazione di osservare un mondo intriso di malinconia, melodramma, con una certa inadeguatezza, solitudine, ma l’idea assurda che l’individuo è niente, sebbene i numerosi tentativi di non esserlo, il quale avrà sfogo nella coscienza del prossimo, radicato sin dall’infanzia.
La Teller ha come schiarito le idee a quegli affezzionati lettori de Il barone rampante, evidenziando come il sentirsi bloccato di Cosimo, il suo esser vulnerabile, fosse un espediente per valutare, osservare e conoscere qualcosa che non cambierà mai. Nonostante gli innumerevoli tentativi, nonostante quelle ragioni che valutano ogni forma di ribellione, come monito a una stramba forma di solitudine radicata nell’anima di ognuno di noi: ogni individuo è un essere solitario che si muove in questa nuda terra con parsimonia e razionalità. Ma cosa lo rende davvero tale? Cosa lo gratifica, giorno dopo giorno?
Queste parole conferiscono un quadro raffinato, semplice ma elegante di una forma dispotica di malinconia che niente e nessuno potrà mai estirpare. Personalmente, credo che ognuno di noi è attanagliato da quel forte senso di vuoto, inquietudine che assale, quando il mondo non ruota attorno a noi. La vita ci riserva, giorno dopo giorno, spiacevoli sorprese. Incomprensioni, dubbi o perplessità. Eppure, in Niente i suoi personaggi bruciano la possibilità di combattere, per non lasciarsi andare. E, disgraziatamente, ho odiato quasi tutto questo. Non credo che l’individuo sia dotato di stupidità e senza talento e che non concluderà mai niente nella sua vita, ma la Teller non conferisce alle sue figure di carta il cosidetto concetto di non demordere. Le sue macchiette in bianco e nero non hanno nemmeno consapevolezza di poterlo fare, sforzandosi piuttosto a crogiolarsi nell’idea che dietro al niente non cia effettivamente alcunchè. E il risultato, seppur non nella sua interiorità, è stato deludente perché comprendo che talvolta ci si lascia contagiare dalla malinconia, dall’insana idea che siamo anime dannate costrette a vagare lungo la riva dell’assurdo senza alcuna possibilità di adempiere diversamente. Ma comprendo anche che bisogna arrendersi solo quando non vi è alcuna speranza, alcuna ragione per sopravvivere, pur di diventare i lottatori che dovremmo essere, più di quanto immaginiamo.
Il risultato è il ritratto di un frammento di vita che disgraziatamente acquisisce connotati bruttini, pessimistici, non riscontrando alcuna affinità con il bellissimo romanzo di Calvino se non che Pierre Anthon stanzierà su un albero di susine per il resto della sua vita, anche se persino questa scelta si rivelerà abominevole. Perché la verità è che Pierre non ha scelta bensì decide di non aver scelta, scrittore di un destino infausto, perché nonostante le fatiche e l’insoddisfazione per aver tentato, crogiolarsi nel dolore lo ha fatto sentire più vivo che mai. E quando la malinconia prese il sopravvento, si rintanò nel suo guscio ed osservò il mondo circostante sentendosi esposto, inutile di presiedere in questa mera vita, non essendoci alcuna bellezza, alcun motivo per non annullarsi e scappare dal terribile mondo che fervette dentro di lui.

Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo

10 commenti:

  1. Voglio leggerli assolutamente entrambi!

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  2. il barone rampante l'ho letto tantissimi anni fa, invece l'altro titolo mi manca!

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    1. Quello di Calvino è bellissimo, ma a mio avviso un pó meno il secondo ☺️☺️

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  3. Ciao Gresi, ho letto "Il barone rampante" e mi è piaciuto molto, il secondo libro non lo conosco ma m'incuriosisce, anche se vedo che non ti ha soddisfatta molto...
    Buona domenica :-)

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  4. Conosco Il Barone Rampante, ma non il secondo; ottime recensioni comunque

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