Nella mia tabella di marcia,
questo romanzo spiccava fra le letture del mese di agosto. Senza sapere cosa
aspettarmi, fu così che in un pomeriggio di fine agosto mi approcciai a questa
lettura nel quale la mia anima rispose a bruciapelo, entusiasta e padrona di sé,
e per una manciata di giorni tenuto stretta alla sua morsa. Una morsa che
devo dire non è stata emotivamente coinvolgente, ma immerso in un silenzio che
fischia nelle orecchie, lascia quasi inebetiti, come un surrogato schiamazzante
e borbottante.
Ecco Bras Cubas, vecchio
volpone desideroso di liberarsi di nient’altro che del fardello della morte,
intrappolato in un limbo d’ombra in cui fu inevitabilmente costretto a vagare
come uno spettro, da cui il tono solenne, letargico, quasi piatto non cela
quella vena sarcastica dietro al quale lo stesso protagonista si rifugia da
frecciate di false apparenze. Un uomo qualunque, dalla vita qualunque il cui
racconto tuttavia mi ha coinvolta come non avrei immaginato. Se la vita,
secondo Bras, è lo stare nel mondo è pur vero che bisogna essere in grado di
starci con un particolare scopo nella vita. Una visione che personalmente ho
condiviso, e di cui queste riflessioni sono degli squarci di vita vissuta in
cui ognuno di noi può rispecchiarsi. Corteggiando ed accarezzando l’arte della
scrittura come forma di sopravvivenza, beneficio per l’anima continuamente
tartassata da ferite che affondano nelle viscere della natura.
Titolo: Memorie postume di Bràs
Cubas
Autore: Machado De Assis
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18, 50 €
N° di pagine: 300
Trama: Come è possibile intuire
dal titolo di questo sorprendente romanzo, il narratore, Bràs Cubas, è già
morto. Non ha niente da perdere e può permettersi di raccontare la storia della
sua vita senza preoccuparsi delle norme sociali o del giudizio dei suoi
contemporanei; si dedica quindi alla stesura di queste sue “memorie postume” in
barba a qualunque convenzione, non solo sociale, ma anche letteraria. Così, a
cominciare dal suo funerale, si dipana l’esistenza di Bràs Cubas: un’esistenza
ordinaria, priva di particolari meriti o demeriti, vissuta tra i salotti dell’alta
società carioca di metà Ottocento. Il protagonista – narratore non si esime dal
raccontarci con autoironia ogni dettaglio della sua vita, senza tralasciare i
suoi vizi e fallimenti: l’indulgente educazione borghese ricevuta in famiglia,
le ambizioni politiche frustrate a causa della sua mancanza di determinazione,
lo scarso interesse verso la possibilità di un buon matrimonio – ossessione,
invece, di sua sorella Sabina -, la passione giovanile per una prostituta che
lo porterà quasi alla follia, il grande amore per Virgilia, sposata a un importante
e onorevole membro del governo. E ancora, a inframezzare i ricordi, le
elucubrazioni sul senso della vita, alimentate dalla filosofia “humanista”
inventata di sana pianta dal suo amico Quincas Borba. Alla luce degli eventi,
soppesando gioie e dolori, rimpianti e momenti felici, Bràs Cubas dalla
posizione privilegiata della sua tomba, non si sente in diritto di insegnarci
alcunchè, ma ci ricorda, con sagacia e spensieratezza, che in fondo l’unica
vera disgrazia è quella di non essere mai nati.
La recensione:
È proprio questo a fare di noi i padroni della terra, il potere di
riesumare il passato per toccare con mano la volubilità delle nostre
impressioni e l’insensatezza dei nostri sentimenti.
Tutto estremamente
affascinante. La vera letteratura, a volte, ci pone dinanzi a delle riflessioni
di carattere filosofico, politico o sociale che alla fine si rivelano per ciò
che effettivamente sono: piccoli gioiellini. Be, quasi tutti i romanzi di questo
canone, per mia esperienza personale, si sono rivelati delle inestimabili
gemme. E quantomeno, ricchi di significati, messaggi, temi, parole, suoni o
parole che fungono da squarci dell’anima di chi li ha scritti.
Questo fu anche il caso di Memorie postume di Bràs Cubas,
dell’autore spagnolo Machado De Assis, di cui non ne sapevo nemmeno l’esistenza
ma che, da più di un mese, mi incuriosiva leggere di questo suo figlio di carta
sorpreso a vagare lungo la riva dell’assurdo con nient’altro vani tentativi di
edificare e poi distruggere, infiammare o raggelare ciò che lo circonda. Forma
diversa di un male diverso che attanaglia lo stomaco, il pensiero, in cui la
chimera della felicità sfugge perennemente dalle sue mani.
Non così difficile da
immaginare. Il suo è un tipo di esistenza proiettata in uno scenario
estremamente desolante, che riflette la monotonia della disgrazia, e in cui la
felicità, la quiete spirituale, la quietescenza, è quello squarcio di luce in
mezzo a paesaggi grigi o nefasti. Tutto qui. Eppure guardare questo tizio
scrivere, parlare, esprimersi dinanzi a gente che non lo ascoltano è stato
davvero affascinante. Perché? Perché talvolta non c’è bisogno di parole per
esprimersi. E Bràs è esattamente un uomo di poche parole, la cui inutilissima
vita è un esempio di inutilità e ombrosità, che osserva dalla finestra della
sua anima il mondo non tenendo conto degli effetti che questo tipo di
solitudine gli procura. La solitudine del cuore, la disperazione provocata da
una sorta di voluttà morbosa, sono alcuni degli aspetti negativi che lo hanno
fatto annegare nei sogni di chi ama rivivere il passato, poiché l’essere umano
è quella materia effimera miscelata in mezzo a tutte le altre cose. È riduzione
e finalità, in mezzo a qualunque cosa lo spregiudica, lo induce ad ottenere ciò
che vorrebbe raggiungere. La voglia di brillare, di spiccare in mezzo a masse
di carne, è qualcosa che ha a che fare con la grandezza assoluta. E Bràs,
inconsapevolmente, aspira a tutto questo dinanzi a un mondo che sembra cospirare
contro di lui. Eppure, a rendere << grazioso >> tutto questo è la
consapevolezza di non poter vivere in eterno e dunque lotta affinchè prolunghi
questo momento. Queste lettere, queste memorie, per l’appunto, rivelano questa sua
posizione << scomoda >> e il suo essere perennemente solitario,
incompreso, ma bramoso di raggiungere quelle glorie celesti, quei piaceri
effimeri che avrebbero dovuto estirpare qualunque voluttà del malumore.
Magari Bràs si comportava così
per essere lasciato in pace. E per qualche capitolo ho creduto anche io fosse
così. Ma adesso sono certa che la sua non è stata nient’altro che una corazza,
dietro al quale si è rifugiato, per combattere gli assalti esterni e
inaspettati della vita. Ecco chi è Bràs Cubas. Che peccato che chi lo ha visto
in carne e ossa non abbia potuto comprenderlo completamente. Ci ho pensato. Ci
sto pensando persino adesso che ripongo queste poche righe. Non avrei mai
immaginato che un romanzo apparentemente semplice, dotato di una sottile asprezza,
sarcastico e filosofico, potesse essere così “profondo”. Sebbene di profondo
Bràs possiede poco e niente. Persino l’amore che riserva alla sua Marcella,
alla sua Virgilia è pio, casto, esclusivo, puro. Eppure, c’è stato qualcosa di
estremamente efficace in queste pagine. Di preciso non lo so, però ha sollevato
un polverone di domande, riflessioni, che sono uno squarcio sull’anima. È stato
così sin dal primo momento lo conobbi e che l’ho conosciuto maggiormente. Mi
basta pensare a lui, alla sua infelice esistenza, per ricordare di lui e
dell’istinto – quasi animale – di mettere a posto qualcosa dentro di se La
scrittura, a questo proposito, sarebbe stato quel giusto e appropriato
surrogato che avrebbe messo in contatto il mondo di qua con quello di là. Ne
sono oramai certa. Credo che scrivere metta a posto qualcosa dentro di noi.
Emozioni, sensazioni, pensieri, la storia della nostra vita. Questa è l’unica
risposta possibile. Ciò che mi domando è come Bràs e l’autore si conobbero, e cosa
lo spinse a narrare di lui. Non lo so,
ma Memorie postume di Bràs Cubas non
è certamente una lettura che non incrina, da cui si trae svariate emozioni. Insomma,
il tutto che si riduce ad un'unica domanda. Perché l’uomo esiste? Machado De
Assis evidenzia questo aspetto guardando al di là del possibile, del
necessario. Posa gli occhi su qualcosa che è al di là della ragione, del
visibile ad occhio nudo, affinchè ci dimostra che siamo vivi, oltre che
imperfetti e finiti.
L’anima del romanzo era racchiusa
in un guazzabuglio di esperienze, raccolte di memorie che esplicano certi
concetti pur di non perderli nel tempo, farli sprofondare nell’oblio. La
sensazione di essere stati rimossi dal mondo, e poi di farne parte, osservare
il tutto come spettatori in cui il lutto, la perdita di una persona cara,
l’amore sono interiorizzati ai limiti del superficiale, sono isolati in una
bolla invisibile di tenebre e oscurità che ci induce a restare intrappolati in
una spirale di pensieri, sprazzi di vita che ci inseguono, rincorrono.
Quella di Machado De Assis è
stata una lettura che mi ha condotta dinanzi alla soglia di un sentimento
burrascoso, trascinante, disarmante, ricco di umor ma dotato di una sottile
asprezza in cui non vi sono personaggi veri e propri ma conversazioni
interiorizzate, sprazzi di pensieri rivolti a nessuno in particolare, se non al
lettore, che hanno reso il tono confidenziale più intenso e introspettivo di
quel che credevo, la scrittura una forma confidenziale che non ha però una vera e propria forma.
Una patina di insoddisfazione,
tenerezza, comprensione ha graffiato il mio corpo. È innegabile che la storia
di Bràs mi ha trasmesso una certa malinconia, non proprio concerne alla
tristezza shakesperiana, bensì come qualcosa di piuttosto affine. Una certa
drammaticità che converge con l’impossibilità di Bràs di ottenere alla fine ciò
che più desidera, e che sedimenta nel suo cuore e nell’anima di chi legge con
estrema cura. Ed ecco i motivi per cui Bràs mi ha conquistata, per cui mi ha
indotta a lasciarvi un segno del mio passaggio, come l’emissione di una tacita
rassegnazione.
In una cornice di una melodia
che non ha effettivamente una sua collocazione, premuroso a tenerci ancorato a
quelle note che rivelano quella parte fragile e precaria della sua anima.
Cadrete, miserabili foglie del mio cipresso, come qualsiasi altra
foglia bella e appariscente; se ancora avessi gli occhi, verserei per voi una
lacrima di rimpianto. È il grande vantaggio della morte, che se non lascia
bocca per ridere non lascia nemmeno occhi per piangere.
Valutazione d’inchiostro: 4
Non lo conosco, ottima recensione, grazie
RispondiElimina🤗🤗
EliminaNon conoscevo questo libro, grazie del consiglio :)
RispondiEliminaGrazie a te 🤗🤗
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