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venerdì, agosto 28, 2020

Gocce d'inchiostro: Memorie postume di Bràs Cubas - Machado De Assis

Nella mia tabella di marcia, questo romanzo spiccava fra le letture del mese di agosto. Senza sapere cosa aspettarmi, fu così che in un pomeriggio di fine agosto mi approcciai a questa lettura nel quale la mia anima rispose a bruciapelo, entusiasta e padrona di sé, e per una manciata di giorni tenuto stretta alla sua morsa. Una morsa che devo dire non è stata emotivamente coinvolgente, ma immerso in un silenzio che fischia nelle orecchie, lascia quasi inebetiti, come un surrogato schiamazzante e borbottante.
Ecco Bras Cubas, vecchio volpone desideroso di liberarsi di nient’altro che del fardello della morte, intrappolato in un limbo d’ombra in cui fu inevitabilmente costretto a vagare come uno spettro, da cui il tono solenne, letargico, quasi piatto non cela quella vena sarcastica dietro al quale lo stesso protagonista si rifugia da frecciate di false apparenze. Un uomo qualunque, dalla vita qualunque il cui racconto tuttavia mi ha coinvolta come non avrei immaginato. Se la vita, secondo Bras, è lo stare nel mondo è pur vero che bisogna essere in grado di starci con un particolare scopo nella vita. Una visione che personalmente ho condiviso, e di cui queste riflessioni sono degli squarci di vita vissuta in cui ognuno di noi può rispecchiarsi. Corteggiando ed accarezzando l’arte della scrittura come forma di sopravvivenza, beneficio per l’anima continuamente tartassata da ferite che affondano nelle viscere della natura. 
 
Titolo: Memorie postume di Bràs Cubas
 Autore: Machado De Assis
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18, 50 €
N° di pagine: 300
Trama: Come è possibile intuire dal titolo di questo sorprendente romanzo, il narratore, Bràs Cubas, è già morto. Non ha niente da perdere e può permettersi di raccontare la storia della sua vita senza preoccuparsi delle norme sociali o del giudizio dei suoi contemporanei; si dedica quindi alla stesura di queste sue “memorie postume” in barba a qualunque convenzione, non solo sociale, ma anche letteraria. Così, a cominciare dal suo funerale, si dipana l’esistenza di Bràs Cubas: un’esistenza ordinaria, priva di particolari meriti o demeriti, vissuta tra i salotti dell’alta società carioca di metà Ottocento. Il protagonista – narratore non si esime dal raccontarci con autoironia ogni dettaglio della sua vita, senza tralasciare i suoi vizi e fallimenti: l’indulgente educazione borghese ricevuta in famiglia, le ambizioni politiche frustrate a causa della sua mancanza di determinazione, lo scarso interesse verso la possibilità di un buon matrimonio – ossessione, invece, di sua sorella Sabina -, la passione giovanile per una prostituta che lo porterà quasi alla follia, il grande amore per Virgilia, sposata a un importante e onorevole membro del governo. E ancora, a inframezzare i ricordi, le elucubrazioni sul senso della vita, alimentate dalla filosofia “humanista” inventata di sana pianta dal suo amico Quincas Borba. Alla luce degli eventi, soppesando gioie e dolori, rimpianti e momenti felici, Bràs Cubas dalla posizione privilegiata della sua tomba, non si sente in diritto di insegnarci alcunchè, ma ci ricorda, con sagacia e spensieratezza, che in fondo l’unica vera disgrazia è quella di non essere mai nati.

La recensione:

È proprio questo a fare di noi i padroni della terra, il potere di riesumare il passato per toccare con mano la volubilità delle nostre impressioni e l’insensatezza dei nostri sentimenti.

Tutto estremamente affascinante. La vera letteratura, a volte, ci pone dinanzi a delle riflessioni di carattere filosofico, politico o sociale che alla fine si rivelano per ciò che effettivamente sono: piccoli gioiellini. Be, quasi tutti i romanzi di questo canone, per mia esperienza personale, si sono rivelati delle inestimabili gemme. E quantomeno, ricchi di significati, messaggi, temi, parole, suoni o parole che fungono da squarci dell’anima di chi li ha scritti.
Questo fu anche il caso di Memorie postume di Bràs Cubas, dell’autore spagnolo Machado De Assis, di cui non ne sapevo nemmeno l’esistenza ma che, da più di un mese, mi incuriosiva leggere di questo suo figlio di carta sorpreso a vagare lungo la riva dell’assurdo con nient’altro vani tentativi di edificare e poi distruggere, infiammare o raggelare ciò che lo circonda. Forma diversa di un male diverso che attanaglia lo stomaco, il pensiero, in cui la chimera della felicità sfugge perennemente dalle sue mani.
Non così difficile da immaginare. Il suo è un tipo di esistenza proiettata in uno scenario estremamente desolante, che riflette la monotonia della disgrazia, e in cui la felicità, la quiete spirituale, la quietescenza, è quello squarcio di luce in mezzo a paesaggi grigi o nefasti. Tutto qui. Eppure guardare questo tizio scrivere, parlare, esprimersi dinanzi a gente che non lo ascoltano è stato davvero affascinante. Perché? Perché talvolta non c’è bisogno di parole per esprimersi. E Bràs è esattamente un uomo di poche parole, la cui inutilissima vita è un esempio di inutilità e ombrosità, che osserva dalla finestra della sua anima il mondo non tenendo conto degli effetti che questo tipo di solitudine gli procura. La solitudine del cuore, la disperazione provocata da una sorta di voluttà morbosa, sono alcuni degli aspetti negativi che lo hanno fatto annegare nei sogni di chi ama rivivere il passato, poiché l’essere umano è quella materia effimera miscelata in mezzo a tutte le altre cose. È riduzione e finalità, in mezzo a qualunque cosa lo spregiudica, lo induce ad ottenere ciò che vorrebbe raggiungere. La voglia di brillare, di spiccare in mezzo a masse di carne, è qualcosa che ha a che fare con la grandezza assoluta. E Bràs, inconsapevolmente, aspira a tutto questo dinanzi a un mondo che sembra cospirare contro di lui. Eppure, a rendere << grazioso >> tutto questo è la consapevolezza di non poter vivere in eterno e dunque lotta affinchè prolunghi questo momento. Queste lettere, queste memorie, per l’appunto, rivelano questa sua posizione << scomoda >> e il suo essere perennemente solitario, incompreso, ma bramoso di raggiungere quelle glorie celesti, quei piaceri effimeri che avrebbero dovuto estirpare qualunque voluttà del malumore.
Magari Bràs si comportava così per essere lasciato in pace. E per qualche capitolo ho creduto anche io fosse così. Ma adesso sono certa che la sua non è stata nient’altro che una corazza, dietro al quale si è rifugiato, per combattere gli assalti esterni e inaspettati della vita. Ecco chi è Bràs Cubas. Che peccato che chi lo ha visto in carne e ossa non abbia potuto comprenderlo completamente. Ci ho pensato. Ci sto pensando persino adesso che ripongo queste poche righe. Non avrei mai immaginato che un romanzo apparentemente semplice, dotato di una sottile asprezza, sarcastico e filosofico, potesse essere così “profondo”. Sebbene di profondo Bràs possiede poco e niente. Persino l’amore che riserva alla sua Marcella, alla sua Virgilia è pio, casto, esclusivo, puro. Eppure, c’è stato qualcosa di estremamente efficace in queste pagine. Di preciso non lo so, però ha sollevato un polverone di domande, riflessioni, che sono uno squarcio sull’anima. È stato così sin dal primo momento lo conobbi e che l’ho conosciuto maggiormente. Mi basta pensare a lui, alla sua infelice esistenza, per ricordare di lui e dell’istinto – quasi animale – di mettere a posto qualcosa dentro di se La scrittura, a questo proposito, sarebbe stato quel giusto e appropriato surrogato che avrebbe messo in contatto il mondo di qua con quello di là. Ne sono oramai certa. Credo che scrivere metta a posto qualcosa dentro di noi. Emozioni, sensazioni, pensieri, la storia della nostra vita. Questa è l’unica risposta possibile. Ciò che mi domando è come Bràs e l’autore si conobbero, e cosa lo spinse  a narrare di lui. Non lo so, ma Memorie postume di Bràs Cubas non è certamente una lettura che non incrina, da cui si trae svariate emozioni. Insomma, il tutto che si riduce ad un'unica domanda. Perché l’uomo esiste? Machado De Assis evidenzia questo aspetto guardando al di là del possibile, del necessario. Posa gli occhi su qualcosa che è al di là della ragione, del visibile ad occhio nudo, affinchè ci dimostra che siamo vivi, oltre che imperfetti e finiti.
L’anima del romanzo era racchiusa in un guazzabuglio di esperienze, raccolte di memorie che esplicano certi concetti pur di non perderli nel tempo, farli sprofondare nell’oblio. La sensazione di essere stati rimossi dal mondo, e poi di farne parte, osservare il tutto come spettatori in cui il lutto, la perdita di una persona cara, l’amore sono interiorizzati ai limiti del superficiale, sono isolati in una bolla invisibile di tenebre e oscurità che ci induce a restare intrappolati in una spirale di pensieri, sprazzi di vita che ci inseguono, rincorrono.
Quella di Machado De Assis è stata una lettura che mi ha condotta dinanzi alla soglia di un sentimento burrascoso, trascinante, disarmante, ricco di umor ma dotato di una sottile asprezza in cui non vi sono personaggi veri e propri ma conversazioni interiorizzate, sprazzi di pensieri rivolti a nessuno in particolare, se non al lettore, che hanno reso il tono confidenziale più intenso e introspettivo di quel che credevo, la scrittura una forma confidenziale che non ha però una vera  e propria forma.
Una patina di insoddisfazione, tenerezza, comprensione ha graffiato il mio corpo. È innegabile che la storia di Bràs mi ha trasmesso una certa malinconia, non proprio concerne alla tristezza shakesperiana, bensì come qualcosa di piuttosto affine. Una certa drammaticità che converge con l’impossibilità di Bràs di ottenere alla fine ciò che più desidera, e che sedimenta nel suo cuore e nell’anima di chi legge con estrema cura. Ed ecco i motivi per cui Bràs mi ha conquistata, per cui mi ha indotta a lasciarvi un segno del mio passaggio, come l’emissione di una tacita rassegnazione.
In una cornice di una melodia che non ha effettivamente una sua collocazione, premuroso a tenerci ancorato a quelle note che rivelano quella parte fragile e precaria della sua anima.

Cadrete, miserabili foglie del mio cipresso, come qualsiasi altra foglia bella e appariscente; se ancora avessi gli occhi, verserei per voi una lacrima di rimpianto. È il grande vantaggio della morte, che se non lascia bocca per ridere non lascia nemmeno occhi per piangere.

Valutazione d’inchiostro: 4

4 commenti: