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mercoledì, agosto 26, 2020

Gocce d'inchiostro: La brughiera - Thomas Hardy

Questa è la parte più bella di tutta la letteratura, a mio parere. Thomas Hardy ha scritto un capolavoro di estimabile bellezza, che saggiamente e delicatamente mi ha immersa nella quiete apparente di un mondo stabile, immobile, in cui la materia, gli odori, i suoni sono frutto di immagini, diapositive che sono un tutt'uno col paesaggio circostante. È stato mai possibile che un uomo di lettere come Thomas Hardy abbia potuto pararsi di fronte al mondo e snocciolare la bellezza di un sogno romantico che richiama costantemente i miti classici, eroi d’epoca che immersi in una sconfortante fantasticheria domina con una furia cieca, un certo abbandono che infervorano il cuore, ammaliano per la sua straordinaria bellezza. In altre parole, fino a che punto spingersi oltre se sogno e realtà convergono in un unico elemento? La risposta è stata piuttosto ovvia, e i miei sentimenti al riguardo parecchio nitidi tant’è che il libro è divenuto indimenticabile come qualche mese fa accadde con Tess dei D’Urbeville, che leggerei e rileggerei all’infinito. Anche La brughiera esplica questa bellissima magia, e con sommo ardore è stato questo che ho inconsapevolmente chiesto: amare ed essere amata.



Titolo: Ritorno alla brughiera
Autore: Thomas Hardy
Casa editrice: Garzanti
Prezzo: 14 €
N° di pagine: 427
Trama: Una brughiera semideserta e desolata fa da sfondo alla vicenda di due uomini e due donne, che vedono i propri destini incrociarsi tra loro. È l’ambientazione di un romanzo davvero singolare e suggestivo: scritto nel 1878, Hardy in queste pagine ci accompagna attraverso storie che si svolgono nel sud ovest dell’Inghilterra, a Edgon Heath, una landa che diventa la vera protagonista del racconto grazie alla dovizia di particolari con la quale è descritta. La puntigliosa ricerca del dettaglio, l’alternanza di colline e avvallamenti, le varietà delle piante e l’altenarsi di lunghi inverni e rapide estati sono si la descrizione geografica di un luogo preciso, ma in un senso più ampio rappresentano un vero e proprio paesaggio dell’anima. E, insieme a esso, la storia di gente dura, segnata dalla nebbia e dalla pioggia, di donne belle e del passato ingombrante: quello del poeta britannico è un mondo fatalista, crudele come può essere solo un ambiente abitato da individui che hanno perso ogni traccia di fede.



La recensione:

Erano come quelle stelle doppie che ruotano perennemente l’una attorno all’altra e da  lontano sembrano una sola. L’assoluta solitudine in cui vivevano intensificava i pensieri reciproci. Si sarebbe potuto tuttavia obiettare che aveva lo svantaggio di consumare l’affetto di entrambi con temibile prodigalità.

Finora ho avuto parecchie occasioni di restare sola con Thomas Hardy, e questa nuova lettura mi procurò una certa contentezza. Per la prima volta in tanti anni che La brughiera riposava sullo scaffale, silente e quasi indifferente al mio occhio vigile, senza nulla di concreto da obiettare, nulla che mi inducesse a distinguere un amore letterario da un altro. Non ho mai prestato attenzione ai classici come in questo periodo della mia vita in cui ho constatato come vanno a braccetto col mio mondo interiore, della cui esistenza tuttavia ero a conoscenza dall’età di diciassette anni, ma come un’entità ignota, inesplorata e pertanto meravigliosa e bellissima che avrei dovuto prendere parte. Da che ricordo, la storia della dolce Tess si mosse velocemente e dirimpetto nel mio cuore, studiandone la scorza, l’intensità di sentimenti che, sin dalle prime pagine, mi hanno indotta a comprenderne le passioni, le emozioni che muovono le cose, che hanno mosso questa giovane eroina dinanzi all’abisso del nulla, del terrificante e del tragico, considerando le possibilità di constatare la bellezza di certe tematiche in altri romanzi scritti dall’autore. Ho goduto di questi momenti indimenticabili con i personaggi hardyani, per cui ad ogni suo romanzo sono consapevole mi ci approccerò con una certa esigenza. E fino ad ora ho fatto più che bene, specialmente con il nostro unico incontro, dichiarando senza incertezze il mio incommensurabile amore per la poetica hardyana, così perfettamente in sintonia ai miei sentimenti, che non hanno indugiato – nemmeno per un istante – a guardare altrove. E ora all’improvviso, col mondo ancora sottosopra e distante dal mio cerchio personale, senza nient’altro che carta e inchiostro, mi sono concentrata su cose che i miei occhi non avevano ancora visto, sulla magnificenza di certi paesaggi che mi erano ancora sconosciuti. Se << bellezza >> a questo punto diviene una parola forse fin troppo ripetitiva, eccessiva, un termine troppo blando per esprimere tutto ciò, può però avvicinarmi a ciò che ho provato leggendo La brughiera. Irresistibile attrazione per questo paesaggio circostante, avvolta da qualcosa di asettico, ameno, che prende vita solo nei giorni festivi, il cui umore tocca apici di gaiezza e contentezza. Raggiunse la sua intensità in maniera alquanto solenne in cui la solitudine, lo sconforto, il rancore,  sembrano trasparire dal suo aspetto facendoci così sentire accolti con un violento abbandono, una forma di repressione immersa in una condizione d’inerzia o ristagno. Prendendo parte ad un episodio stravagante in cui la stessa si intravede appena sullo sfondo di una trama appassionante. Perché è proprio qui che è come se si guardasse dinanzi a uno specchio, che rivela e denuncia nelle sue caducità e illusioni chi sono i veri personaggi, e che osservandoli osserviamo anche noi stessi. La vita di ognuno di noi, il nostro sentirci perpetuamente insoddisfatti di voler raggiungere qualcosa che effettivamente non avremo mai, e che ci è sempre sfuggito di mano. La traiettoria della luce che questa brughiera ben presto sarà immersa, è il modo per cui la poetica hardyana prende il sopravvento. Riverbera nella notte, nella solitudine del cuore, nella ricerca affannosa di vivere e sopravvivere, in sconfortanti fantasticherie che pulsano nel cuore, mettono a posto qualcosa dentro di noi. In un epoca di recuperi, in cui si abbracciono le tradizioni, false imitazioni, in cui le passioni vivaci, impetuose, scuotono l’anima con una certa irruenza, pazienza, disperazione. Scosso da eventi che non hanno un loro perché ma dentro al quale si dispiegono i brevi e tormentati transiti della passione umana. La stessa Egdon Heath è una città immaginaria del Wess, tessuta come un sogno che immutato nel suo remotismo, stabilisce un contatto tra ciò che è arcaico e ciò che è tragico.
Quello di La brughiera è un vasto tesoro di immaginazione visionaria che mi ha invitata a fiondarmi immediatamente fra le sue pagine con la consapevolezza che, a lettura terminata, ha lasciato uno spazio vuoto che ha la forma di una persona. Una strisciante angoscia, il propagarsi di tanto dolore, catena di eventi e fatti che alla fine non avranno un suo perche, di coincidenze miracolose, il tutto immerso in una staticità che lega tuttavia ogni cosa entro i limiti del possibile. Come un caso fantasmagorico di voci e volti, vaghi e possenti fantasmi corporei apparsi nel minaccioso silenzio di una brughiera, La brughiera è stata quell’ennesima bellissima lettura hardyana che, zeppa di distrazioni realistiche, tragiche e amorose, ha richiamato alla mia mente le tragedie omeriche, penetrato a tal punto tale d’immergermi in uno stato fra il fascino e l’ammaliamento. Come in Tess dei D’Urbeville, l’essere umano è in bilico fra estasi e sogno, sebbene immerso in un mondo zeppo di meschinità, ipocrisia, cattiveria che rivelano l’intento dell’autore di esaminare il senso della vita. Ed, intrappolato nel lungo limbo delle convenzioni sociali, incorre esclusivamente l’ideale dell’uomo forte, libero, capace di vedere la netta differenza fra verità locale e verità universale, come una complicata emozione che ha racchiuso nel suo palmo due amanti nella sfera insondabile dell’amore.
Valutazione d’inchiostro: 5

2 commenti: