Pages

lunedì, aprile 12, 2021

Gocce d'inchiostro: Il gatto che voleva salvare i libri - Sosuke Natsukawa e Prima persona singolare - Murakami Haruki

La letteratura giapponese da sempre  esercita in me un certo fascino, e le mie spericolate avventure continuano a condurmi il più spesso possibile nello splendido e magico Giappone. A volte, quasi inconsapevolmente, con il mio amato Murakami Haruki, a volte con opere i cui autori sono sconosciuti, altre ancora con sfide indette da qualche sfida di lettura oppure con tutti e tre insieme, dove si scorgono i sintomi o i segni di qualcosa che non possiede niente di speciale ma in cui la quotidianità cozza con un chè di surreale e trascendentale. Magia, immensità, complessità rispondono alle tematiche dei romanzi giapponesi, dai quali trapelano sentimenti contrastanti, sempre che ci siano o riescano a entrare o scombussolare il tuo universo personale. Con Murakami, anni e anni fa, accadde esattamente questo. Perciò quando mi imbatto nella lettura di un opera giapponese confido che nella soffitta della mia anima possa esserci qualcosa che coltivi una nuova forma d’amore, appassionandomi così tanto da divenire uno stile di vita. Questi piccoli libriccini scandagliano qualunque intento di memorabile o straordinario, in quanto mentre il romanzo di Natsukawa è una favola moderna che evidenzia l'amore per i libri e il potenziale che c'è dietro, quello di Murakami ha valicato qualunque confine - di nuovo. Niente di così sconvolgente; nulla da togliere a Natsukawa, ma rintanata in una Giappone che strizza l’occhio alla prosa murakamiana, ho riconosciuto però come disgraziatamente valga meno, con la sua dolce storia dell’amore per i libri e le biblioteche che mi diede la possibilità di varcare un confine per niente sconosciuto. Ho vissuto placidamente in compagnia ragazzi introversi e silenziosi, rockstar incompresi ma talentuosi, amanti dei libri e della letteratura, professori di letteratura inglese divorati da un vuoto incolmabile, che in una zona sconosciuta del paese,  mi hanno indotta a non mollarli per un secondo se non quando giunsi alla fine dell’ultima pagina. Incorniciata, dopo un lungo viaggio, con dei servili gesti di conformità alla realtà circostante, che hanno illuminato il mondo della letteratura e il suo potenziale.

 Titolo: Il gatto che voleva salvare i libri
Autore: Sosuke Natsukawa
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 180
Trama: La libreria Natsuki è un luogo speciale: un negozio polveroso e solitario, dove gli amanti della lettura possono trovare, tra le pagine dei grandi capolavori di tutto il mondo, un’oasi di pace, un rifugio lontano dal frastuono della quotidianità. Quando il proprietario, uomo colto e appassionato, muore improvvisamente, il nipote Rintaro, un ragazzino timido e introverso, eredita la libreria. Il nonno si è preso cura di lui dopo la morte di sua madre e, ora che è scomparso, Rintaro deve imparare a fare a meno della sua saggezza dolce e pacata. La libreria è sull’orlo del fallimento: un’eredità pesante per il ragazzo, anche perché i segnali dal mondo sono piuttosto scoraggianti: poca gente è davvero interessata alla lettura. Un giorno, mentre Rintaro si crogiola malinconico nel ricordo del nonno, entra in libreria un gatto parlante. Nonostante le iniziali perplessità del ragazzino, il gatto lo convince a partire per una missione molto speciale: salvare i libri dalla loro scomparsa. Inizia così la storia di un’amicizia magica: un’avventura che li porterà a percorrere quattro diversi labirinti per risolvere altrettante questioni esistenziali sull’importanza della lettura e sulla forza, infinita e imperscrutabile, dell’amore.


La recensione:

 

 << Molte persone vivono la loro quotidianità senza accorgersi di cose ovvie. “ Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”>>.

 

Non mi ci è voluto poi molto per prendere confidenza con un ragazzino introverso e silenzioso come Rintaro, fare << comunione >> con la sua anima da poco dilaniata dalla morte del suo caro nonno, ma la sfida di lettura di questo mese mi interessò particolarmente tant’è che mi ci immersi senza nemmeno rendermene conto, essendo piena di romanzi ancora da leggere e vivere, facendo una presunta TBR di ciò che mi avrebbe accompagnato in questo mese e poi, con l’aiuto di una ferrea forza di volontà, avrei osservato il tutto con gli occhi di chi ama gironzolare fra i meandri della letteratura. Per interpretare questo tipo di letteratura, però, spesso da sola o con la voce gracchiante dell’autore, o a volte proiettata in un mondo più grande di me, ho letto questo piccolo libriccino come un resoconto degli incauti sussulti di un cuore giovane, appassionato, amante dell’arte e della lettura le cui immagini sono ancora vivide, impresse nella mia mente, anche mentre ripongo ora queste poche righe. Un romanzo che parla di libri, in questo salotto virtuale, non è propriamente una novità: come dice il mio amato Zafon, è uno specchio riflesso di ciò che siamo, il tutto condensato in fiumi di parole che concepiscono l’idea che l’arte del racconto sia qualcosa di straordinario, sofisticato e bello che mi ha salvato la vita, mi inducono quasi sempre a pensare come senza la lettura, i libri io non potrei proprio farne a meno. Perché niente è più di un’occasione persa nel leggere un romanzo che parla di libri, ma non sa parlare di libri. Il manoscritto che una volta completata la stesura finale, ti accorgi che non possiede nulla di speciale. Per sua fortuna, questo non è stato il caso di Il gatto che voleva salvare i libri, che ci parla di libri e biblioteche come necessità di appartenenza e sostentamento. Piuttosto è stato un approccio basato sulla visione quantitativa e potenziale dei libri, quei libri che abbiamo letto e amato anni fa, e fra tutti l’argomento che domina con insistenza i miei pensieri, che in queste poche pagine non valica la magia di cui ci parla Zafon nel suo Cimitero dei libri dimenticati. Eppure è stato bello esserci, starci, nascondersi in questo complesso labirinto in cui si appresta a scorgere nient’altro che un gesto d’amore, di comprensione, affetto in cui i libri fungono da ponte, da comunione a legare il mondo di qua con quello di là.
Abbracciare, proseguire e concludere un romanzo apparentemente innocuo come questo, semplice ma non insulso, ultimando questo mio improvviso viaggio con la narrazione della visita a sorpresa dell’anziana donna che darà come eredità a Rintaro la libreria del nonno, carica di promesse e di bellissimi romanzi, proiettò in me l’insana voglia di smarrirmi presto in un altro romanzo giapponese che esplicasse l’amore per i libri. È un circolo vizioso, ma questo è ciò che capita quando mi imbatto in certe tipologie di romanzi. Ma parlando di questo piccolo libriccino, cosa c’è da dire che analizza i motivi per cui una lettura si rivela potente, esprime una realtà incorruttabile quanto colma quel vuoto inestimabile causata dalla morte di una persona cara. Non c’è filosofia, non c’è pensiero in tutto questo. Solo slanci del cuore, sentimenti, ricordi estrapolati dal tempo. Poiché l’atto del leggere coincide con quello della memoria, nella magia di suscitare un certo coinvolgimento emotivo che ispira il mondo. I limiti dell’immaginazione e della fantasia cozzano contro la realtà circostante, ed inevitabilmente si compioni riflessioni importanti che nel suo piccolo si distinguono dagli altri cercando di intrappolare il tutto su nient’altro che un semplice foglio bianco.
Cosa stia scrivendo, cosa voglio ottenere, francamente non so. Probabilmente non c’entra niente con il romanzo in questione, ma questo è ciò che mi impartisce la scrittura. E Sosuke Natsukawa in un certo senso lo sa. Conosce il brivido dell’eccitazione, quel momento in cui il pensiero è catturato su carta. Non contagia per via di un tono essenzialmente piatto ma confidenziale, nel momento d’iniziazione alla vita drammatica e intensa del piccolo Rintaro, ma il tutto immerso in un atmosfera ovattata con la quale la fugacità di un misero atto d’amore investe inevitabilmente anche l’atto più insignificante.
Una favola moderna che, in una manciata di pagine, divine quella sede d’attrazione per una serie infinita di personaggi e il terreno ideale per l’indagine accurata del rapporto fra l’esistenza e la sua rappresentazione fra letteratura e vita. Nel romanzo descritti esilmente, ma al cui interno sono celati un’infinità di verità fondamentali che pochi individui sono in grado di comprendere.

Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo



🌺🌺🌺🌺🌺


Titolo: Prima persona singolare
Autore: Murakami Haruki
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 152
Trama: Murakami Haruki è da solo in viaggio nel nord del Giappone quando decide di fermarsi per la notte in un ryokan, le tipiche locande di montagna giapponesi. Ad accoglierlo un locandiere vecchissimo e di poche parole e un gatto che appare altrettanto decrepito. Ma che importa, il posto è accogliente e poi non c’è altro disponibile nei dintorni: anzi, Murakami decide di approfittare del bagno termale per rilassarsi. Ed è lì, tra i vapori dell’acqua calda, che entra una scimmia: << Buonasera >>, dice la scimmia, << vuole che le lavi la schiena? >> La scimmia ha imparato a parlare del suo antico padrone, un professore di Shinagawa, un quartiere di Tokyo, ama ascolare Bruckner ( apprezza in particolare il terzo movimento della Settima sinfonia ) e ha una vita molto interessante alle spalle. La racconterà al nostro narratore poco dopo, in camera, mentre si bevono una Sapporo come due vecchi amici che, complice la notte, aprono il loro cuore intorno al tema dei temi: l’amore, l’amore romantico e quello erotico, la solitudine e il suo opposto, il desiderio e ciò che significa nella vita degli esseri viventi.


La recensione:

 

   A volte succedono, queste cose. Cose senza senso e senza spiegazione, che riescono però a turbarti profondamente. Quando capitano, bisogna chiudere gli occhi e lasciarle passare senza pensare a nulla, senz fare nulla. Come se scivolassimo sotto una grande onda.

 

Come sempre, leggere i romanzi di Murakami Haruki sortiscono sensazioni stranissime e particolari. Irrimediabilmente ci si sente annicchiliti, da parole che si divoncolano fra le tue braccia e fanno qualche passo indietro, ma nulla di così sconcertante da impedirmi di amare l’ennesimo ritratto surreale / onirico dell’autore. Perché Prima persona singolare sposa concetti, tematiche, elementi che prevedono il rievocare ricordi che si credevono perduti, ma in cui una buona dose di << magia >>, romanticismo, squarci dell’anima sono attigue alle stanze buie del suo stesso spirito.
La prassi adoperata è sempre la stessa. Murakami è il giovane studente, romanziere, marito appena divorziato, professore che abita nella luminosa Tokyo nella guida di figure davvero bizzarre e impensabili che denotano un certo squilibrio interiore, un mutamento che sconvolgono e raddrizzano qualunque forma o assetto sociale, qualunque certezza, metafore da cui sorgono vari malintesi, segreti che necessitano di essere svelati in cui ad un certo punto gli ostacoli posti dinanzi al cammino insidioso della tua vita svaniscono ocme nebbia al sole. L’introverso autore che amo così tanto, che non ha mai nessuna voglia di parlare di se e della sua vita privata di dividere una fetta di essa con i suoi amati lettori, riuscendo a farsi beffa persino di se stesso dichiarando come tale necessità scaturì dalla potenza dei ricordi. Squarci di pensieri, rimasugli di un anima che si appresta a chiudere il cerchio della vita, che nasce dall’esigenza di proiettarci in un tempo lontanissimo.  In realtà, nel corso degli anni, noi lettori siamo stati fortunati ad occuparlo, a studiarlo questo spazio, sebbene invalicabile nella maggior parte dei casi, ma così immenso e meraviglioso da lasciare un solco profondo nell’anima di chiunque. Murakami non ha mai voluto dimostrare niente in particolare, solo acquietare qualcosa dentro di lui. Per me, consolidate in forme meravigliose e straordinarie di arte, letteratura, in cui la musica, i gatti, il Giappone sono linfa vitale e di sostentamento.
Il problema di non apparire prolissa e ripetiva, in questo caso, si rivelò un concetto problematico, in quanto scrivere qualche frase riguardo l’ennesimo ritratto onirico surreale è davvero impossibile. Perlomeno per me, che ho abbracciato la sua natura di autore incompreso ma straordinario come quella sfida da voler assolutamente vincere, quel modus operandi che mi aiuta a comprendere me stessa e il mondo circostante e forme di assestamento – quali la scrittura e la letteratura -, che mi accompagnano dall’inizio alla fine, finendo per indurmi a focalizzare l’attenzione maggiormente sul mondo di là anziché quello di qua. Ma è proprio questo mondo di coesione che così contingenti riescono a strapparmi dal mondo reale per proiettarmi in un luogo che evoca altre persone, altri tempi, di cui io mi sento far parte da tantissimo tempo.
Questo piccolo libriccino lo si può definire come quella imperscrutabile faccenda che ha a che fare col mondo onirico, misterioso, ma che intriso di spontaneità e naturalezza, è un meccanismo preciso ma imperfetto proiettato in una dimensione piuttosto ristretta in cui ci si perde facilmente. Il ritratto di un uomo, che si spoglia dai suoi panni di scrittore, colmo di speranze e anche una discreta dose di malinconia che sottopone maniacalmente l’autore ad espellere qualunque forma negativa del suo essere.
 

L’amore a un certo punto può finire, certo. Oppure non portare a nessun risultato. Ma anche se si spegne, anche se non è più corrisposto, possiamo sempre conservare il ricordo di aver amato qualcuno, di essere stati amati. E questo diventa una fonte di calore. Senza la quale il cuore di una persona diventerebbe gelido e deserto come una landa selvaggia.


Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti: