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sabato, agosto 21, 2021

Gocce d'inchiostro: La casa del tempo sospeso - Mariam Petrosian

Chi mi conosce sa che romanzi che hanno un chè di ipnotico dalla copertina subiscono un processo di analisi nel valutare se, al di là delle belle figure, dei colori o addirittura lo stesso titolo, possa accadere qualcosa che vada oltre le mie previsioni. Una ragione in più per accrescere il mio interesse nei riguardi di un opera. Talvolta rido di me stessa per aver messo su una certa dose di buonsenso, ho come un certo intuito nel comprendere se un romanzo faccia o meno al caso mio. L’esperienza, gli anni di letture intense e spasmodiche mi hanno messo in piedi, hanno designato un percorso che oramai intraprendo ad occhi chiusi. Una situazione analoga accadde con La casa del tempo sospeso, che prima di entrarci, prima di accogliermi, ha fatto una folgorante carriera nel mondo letterario, diventando rivelante poi anche per me. E questo fattore fu l’espediente a indirizzarmi fra le sue pagine, ad ospitarmi per più tempo di quel che credevo. Questa favola moderna, onirica, quasi trascendentale non credo però sia quel tipo di esperienza che rifarei. C’è qualcosa di misterioso e di malinconico in cui gli inquilini di questo posto sono bambini la cui vita è stata disgraziatamente segnata da anomalie e malformazioni varie, e da cui sembra non esserci alcuna via di scampo. Questa Casa sembra l’unica << amica >>, l’unico luogo che li faccia sentire normali. Addentrarsi nella storia non è stato semplice. Dietro una facciata grigia e vecchia, questa storia sopravvive e perpetua nel tempo per i tanti messaggi disseminati, che mi hanno raccolta, accolta come non credevo. Racconta storie comuni che possiedono un chè di magico, parte invisibile di una vita adulta e bellissima attraverso cui ci si strugge dal desiderio di scendere o non muoversi dal posto.

Titolo: La casa del tempo sospeso
Autore: Mariam Petrosjan
Casa editrice: Sonzogno
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 879
Trama: Nella periferia di una città qualunque, una Casa si staglia tra le altre, ordinria e un po’ inquietante. È un istituto dove, per qualche tempo, si raccolgono ragazzi disabili, dall’infanzia all’adolescenza. Ma dal momento in cui varcano quella soglia, tutto cambia. La realtà cessa di esistere e viene rimpiazzata da un altro mondo con regole, leggi e riti spesso crudeli e oscuri. I nuovi eroi – Fumatore, Tabaqui, Lord, Sfinge, Cieco e gli altri – si conoscono e si dividono in gruppi, ingaggiano epiche battaglie nei luoghi a un tempo sconfinati e ristretti della Casa: il Solaio, la Foresta, il Tetto diventano gli scenari di una guerra di desideri, di speranze e di immaginazione, dove la posta in gioco è scegliere se tornare al mondo esterno o rimanere, sospesi per sempre in una realtà fantastica. Nella Casa tutto è possibile: l’amore, l’odio e la morte; la perdita, il dolore e la gioia; nella Casa i ragazzi sono liberi, il tempo si ferma e si dilata smisuratamente. Alla fine, perduta l’infanzia, essi si troveranno di fronte alla prova più difficile: credere alla promessa dell’età adulta e lasciare la Casa o rinunciarvi e rifiutarsi di crescere.


La recensione:

 

I sorrisi non si possono afferrare, stringere fra le mani, studiare millimetro per millimetro, imprimere nella memoria.. scivolano via, li si può indovinare.

 

Il luogo in cui si snodano le vicende di questo romanzo ebbero sede in un quartiere imprecisato della Russia. Chiunque volesse inoltrarsi fra queste pagine dovrebbe evitare di porsi pregiudizi, dubbi o perplessità, ma assorbire la quiete, la bontà che si conforma in un cerchio di pienezza da cui sarebbero penetrati mani pallide, di quelle che confondono l’anima. Poichè al di là di esso balena l’Esteriorità, pullulano creature selvagge che nonostante la certezza di essere mostruosi si scova il modo per soffermarsi. La presenza, la sua costanza è la vera e propria linfa. E sarà sempre così, per coloro che si inoltreranno fra queste mura, uno dei grandi nodi del mondo dell’autrice. Un nodo vulnerabile ma bellissimo.
È bastato infatti aprire una porta invisibile, una porta cigolante e ingrigita dall’incuria del tempo, per farsi trasportare da un flusso di pensieri, leggi che sorreggono ogni cosa in quanto non si può fare ciò che si vuole per adattarsi. La vita all’Esterno è quasi un supplizio, un confronto. La vita appare così qualcosa di mancato ma finto, tattile ma predisposto a comprenderne i meccanismi. Purchè accada ciò bisogna essere risucchiati. In ogni scena, azione descritta c’è una serietà definita. Si perde la volontà e si diventa schiavi di questa cosa. Con la presenza costante della fantasia, che in un certo senso confonde la stessa realtà, si alena ad uscire da tutto questo. Essere diversi equivale a non poter essere immuni da pregiudizi vari. Ad essere assoluti da malori verbali che differenziano dal prossimo, anziché renderci uguali.
Questo è il romanzo. Un continuo estraniarsi dal mondo, osservando altri con occhi di uno sconosciuto su cui sembra muoversi in un tempo sospeso. Un tempo in cui ogni cosa sembra avere una sua immobilità, così assurda e bizzarra  la cui veridicità non è sicura o fondata. E mi ha depresso terribilmente l’idea che non potesse esserci un futuro per questi ragazzini, ma quello di poveri reietti intrappolati in un Isola che non c’è da cui non vogliono fare più ritorno. La sua autrice, infatti, ci aiuta a pensare, ci insegna soprattutto a domandarci se ritenersi fortunati o meno delle poche cose che abbiamo e se nel caso siamo soddisfatti di ciò. Ma che cosa succede a una società che cresce così, irrispettosa per il prossimo, con una serie di distinzioni, e solo con la consapevolezza che potrebbe esserci un mondo migliore di questo. Cosa succede nella testa di bambini che crescono con l’impressione di non essere adatti al prossimo?. Che soluzione c’è per un problema così crudele?
L’insoddisfazione, l’impossibilità di essere integrati nel mondo degli altri, la comprensione, la concezione che nulla è lasciato al caso, in quanto  ammantato di una coltre di magia, in quanto si alimenta di storie, di tradizioni inverosimili che non lasciano nulla ma attraverso cui si trasforma il dolore in superstizione. La superstizione che diventa tradizione quasi defraudata da questa vita, da questa infanzia selvatica. Scritto sotto un potere taumaturgico, ponderoso, descritto e attraversato da leggi divine impossibili da stemperare, quasi lo stesso lettore sembra imprigionato in un sistema di cristallizzazione in un presente infinito.
Il romanzo della Petrosian, una favola moderna sofisticata e bella, erse da un luogo imprecisato, indefinibile, in un borgo depravato e lurido, apparentemente ambientato ai giorni nostri che finì per sedurmi, come non credevo potesse fare. Questa volta però dovetti fare i conti con un’altra faccenda, con la lettura di un romanzo apparentemente semplice ma diverso da ciò che mi ero immaginata. Non si trattava di qualcosa che doveva essere sottovalutato. Bensì qualcosa in cui l’anima è sperduta, vaga in luoghi remoti, lontani milioni di chilometri, la cui assenza di << persone >> quasi sembrava soffocarmi. Eppure  a me tutto questo ha sortito un certo fascino: la Petrosian, in un’intervista, afferma che questo è stato e sarà il suo primo e ultimo romanzo, la cui stesura la impegnò per oltre diciotto anni, che ha realizzato ed estrapolato dal nulla rimasugli di anime sgretolate, perdute, sparse, che si perdono per poi riscoprirsi con un bagaglio di affetti o emozioni. Metafora di libertà, di evasione in un mondo sempre uguale a se stesso, bizzarro e strambo che inevitabilmente alena completamente qualunque forma o parvenza di normalità.
Un forte odore di tempo trascurato, sospeso, affetti perduti e poi ritrovati che denotano un certo desiderio di poter lasciare un pezzo di sé stessi, un segno del nostro passaggio in un mondo che forse non sa nemmeno della stessa esistenza, quasi lasciando dietro di se un vuoto incolmabile, una voragine nel petto che niente e nessuno riesce ancora a colmare. Soffocante e stritolante al punto in cui ci si domanda come facciano i suoi personaggi a svolazzare attorno tranquilli, strisciando nel sentiero impervio della vita senza avere alcuna dignità. Questa Casa è la mera parvenza, il pallido riflesso di uno specchio, di cui gli stessi protagonisti evidenziano il loro essere intrappolati in fasti e tristi eventi. La sua autrice, abile poetessa dell’anima, seppur in maniera alquanto semplice, ti costringe a insegnare a tenersi stretti ogni cosa. Qualunque forma o significato essi abbiano, soprattutto gli affetti.

Valutazione d’inchiostro: 4

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