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mercoledì, settembre 22, 2021

Gocce d'inchiostro: Moby Dick - Herman Melville

Perché leggere un romanzo come
Moby Dick? Perché se un lettore curioso desidera accrescere il suo bagaglio culturale c’è un susseguirsi di situazioni, eventi che lo inducono a dover affrontare qualunque difficoltà, qualunque ostacolo: ostacoli da cui sa ne esce con i mano qualcosa. Che si tratti poi di qualcosa di positivo o negativo spetta a noi giudicarlo, confutarlo. Quando decisi di approcciarmi ad una lettura mastodontica come quella di Moby Dick era in corso un progetto di lettura che non ammetteva cambiamenti. La vita però è imprevedibile, e pur quanto mi ostini ad essere sempre sul pezzo, pronta e preparata talvolta mi lascio sedurre da tentazioni che non hanno un suo perché. Moby Dick, infatti, ha avuta una sua rilevanza esclusivamente nel momento in cui non mi imbarcai a bordo di una nave che mi avrebbe condotta chissà dove. Difficile, sostenibile ma bellissimo. Del resto, chi sa cosa aspettarsi quando ci si immerge in capisaldi di questo tipo? Cosa o chi ce lo garantisce che la nostra anima resti intatta o intaccata da fattori a fine lettura non so nemmeno io dare una spiegazione? Eppure un sogno in mare aperto, uno splendore, un urlo dalla soglia morale della nostra coscienza dove ogni cosa è affidata alla mano assoluta di Dio, dalla combinazione di entità fisiologiche o etiche che largamente hanno intralciato la mia avanzata lenta. Il tutto in una catena di eventi che hanno generato ammirazione e disgusto, compassione e vendetta, sorpresa e orrore per questa Terra Promessa che una volta scoperta è la proclamazione della creazione, la conservazione di elementi da cui se ne esce a fatica.

Titolo: Moby Dick
Autore: Herman Melville
Casa editrice: Bur Rizzoli
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 703
Trama: Un uomo e mostruoso cetaceo si fronteggiano: è il conflitto più aspro, accanito e solitario mai immaginato, è la storia di ogni anima che si spinga a guardare oltre l’abisso. Moby Dick è un gigantesco capodoglio, candida fonte di orrore e meraviglia; Achab è un capitano che, ossessionato da follia vendicatrice, lo insegue fino all’ultimo respiro; ismaele, un marinaio dall’oscuro passato imbarcato sulla baleniera Pequod, è il narratore e, forse, l’eroe della tragedia. Sullo sfondo, il ribollire sordo e terribile dell’oceano, il vociare cosmopolita dell’equipaggio le descrizioni anatomiche delle balene e i puntuali resoconti di caccia. Così, pagina dopo pagina, i personaggi del dramma diventano i protagonisti di una nuova epica, con il fascino ambiguo e controverso di un destino contemporaneo.

La recensione:

 

Non c’è minimo atomo che si agiti o viva nella materia senza avere un duplicato raziocinante nella mente dell’uomo.

 

Che splendore! Vista dal basso la nave che mi ha accompagnato in questo straordinario viaggio, dove mi sono recata per una settimana, è un sogno di mare, un tuffo nell’esplorare l’anima, con le sue grandi braccia di legno, i pavimenti rovinati e puzzolenti, le vele spiegate. Mi recai a bordo di questa nave perché ero curiosa di vedere con i miei stessi occhi questa fantomatica balena: tanto temuta, quanto amata così sommersa dal fondale maligno del mare la cui esperienza fu un’esperienza di vita che sciorina svariate lezioni: quella del peccato, della durezza del cuore, dell’improvviso risvegliarsi dei timori, della rapida punizione, il pentimento, la preghiera, la liberazione e poi la felicità. La proclamazione di una Terra Promessa. Da qui deriva l’unità di Dio, la glorificazione, la richiesta del perdono poiché ineluttabilità della volontà, l’abisso in cui si sprofonda. Quasi un esilio dell’anima ma infinito.
I marinai a bordo non furono esattamente di alta qualità. Avevano una preparazione alle spalle di livelli marittimi, sapevano quando prendere in mano una lancia e scagliarla contro un enorme e gigantesco cetaceo, quando parlare e soprattutto quando stare zitti. Ma, in particolare, sapevano che una volta abbracciata questa avventura si è come invasi da una vibrazione arcana: fantasma inafferrabile della vita che sta dietro a tutto e tutti. Spingersi per mare equivale a gestire un certo prestigio, ma soprattutto ascendere a una delle più grandi paure mai affrontate: abbattere il Male. Perché questa balena, per l’autore e i suoi protagonisti, equivale al male più assoluto, incarnato nei personaggi mediante svariate motivazioni: per il capitano Archi, mutilazione di un arto che la vita non gli renderà mai più; per Ismael l’incapacità di comprendere cosa siamo e qual è il nostro specifico ruolo su questa terra. Fra vie desolate, blocchi di oscurità riversate qua e là da blocchi di luce, quasi un aspetto trasandato che conferisce miseria, disagio. Non si tiene conto del fatto che una volta preso il mare si potrebbe non più fare ritorno. Incuneato in giorni freschi, oscurati e dolorosi ma la delizia allettante dell’imbarco più forte di qualunque cosa. La Morte è certamente qualcosa relativa alla spedizione dell’uomo nel lungo cammino dell’Eternità. Quaccheri, rozzi, giganti in elementi estranei ed eterogenei dominati quasi da strane immutabilità mancate.
Ho trascorso una settimana a bordo di questa grande nave fra ammirazione e interesse, svariati momenti di noia e tedio, in cui il futuro era l’invenzione di qualcosa di sconosciuto. L’intelligenza, l’arroganza, non bastano a raggiungere le proprie ambizioni, i propri obiettivi. Quest’opera nacque come esperienza di vita vissuta dallo stesso autore in cui vi sono redatti annotazioni, riflessioni, descrizioni inutili relativi al mare e alle sue creature che in un certo senso hanno mantenuto quell’aura misteriosa che circondano le sue pagine, ma sorretto da saldi principi morali che ci inducono a solcare i mari come un valoroso Catone che si gettò sulla spada. L’autore così descrisse alcuni aspetti esaurienti delle balene, la loro forma, le loro caratteristiche, il loro essere figure degne e fiere, quell’assoluto che l’uomo non può conoscere e non conoscerà mai. Perché è lui che trasformerà queste quasi mille pagine in un porto sull’equatore al centro di un mondo ricco di modernità, che in un certo senso è stato modellato, manipolando il suo secolo e il pensiero, proiettato dagli stessi personaggi. Melville mise in piedi questo arazzo di sistema che solca gli infiniti spazi dell’infinito. Non c’è dubbio che siamo dinanzi a un grande capolavoro.
Il prezzo? Un viaggio che è un’esperienza di vita, che non credo ripeterò nell’immediato ma in un futuro imprecisato, magari fra qualche anno, le cui apparenze sono molto simili a quelli di una grande metropolitana in cui i suoi abitanti sono anime che si muovono mediante una mano invisibile. Quella di Dio. Siamo tutti un po' bucati, necessitiamo di riparazione, come se convertiti ad una fede cui bisogna farsi carico. La vita è una massima parte di un’impressionante azione pantomimica, anziché in snervati capitoli altisonanti. L’uomo appare così detestabile per le sue azioni, furfante, sciocco, assassinio, ignobile e insignificante che non coincide con quella di una creatura nobile e splendente, grandiosa e luminosa. Benchè ritratto appartenente a una grande comunità, una democrazia che non lascia adito a dubbi su chi detiene il potere. Da lettrice curiosa per come sono, non ho potuto fare a meno di chiedermi se fosse stato possibile soffocare nel nascere certe conseguenze, se qualcuno avesse preso il controllo di ogni organo di questa truppa, riscrivendo magari la storia dimenticando il passato.
Le continue disgressioni marinaresche, temi quali la ricerca verso l’ignoto, la religione, il forte senso di scovare speranza, il raggiungimento della redenzione, la possibilità di riscattarsi, la paura, sono tutte condizioni individuali passano dinanzi agli occhi di Ismaele come una folata di vento. Come ogni romanzo classico che si rispetti, il suo processo lento e sincopato non ha alimentato quella scintilla di forte interesse che avevo gelosamente custodito nella prima metà del romanzo, ma descrizioni dettagliate di questi giganteschi cetacei, le modalità d’uso per arpionarli, la descrizione della stessa nave generano nient'altro che fastidio, tedio senza più tante remore nel credere che Moby Dick possa affermarsi con una certa prepotenza fra quei classici che considero preferiti. Disgraziatamente non è stato così, ma, alla fine, come ogni progetto o obiettivo che si desidera raggiungere, la sua lettura mi ha sortito l’effetto desiderato: soddisfazione. Contentezza nell’aver scandagliato i mari di questo immenso Oceano, visto con i miei stessi occhi questo fantomatico cetaceo, senza tante cerimonie affermato anche io la mia presenza, il mio esserci fra le sue pagine. Così potente e immenso che in un certo senso mi ha resa potente, onorata di avervi soggiornato per una manciata di giorni.

Valutazione d’inchiostro: 4+

2 commenti: